“Le città come i sogni sono costruite di desideri e di paure, anche se il filo del loro discorso è segreto, le loro regole assurde, le prospettive ingannevoli, e ogni cosa ne nasconde un’altra.“
Italo Calvino, da “Le città invisibili”, 1972
Le città della paper artist giapponese Ayumi Shibata sono invece merletti di carta, rigorosamente bianca e tagliata secondo il metodo tradizionale. La spiegazione di queste scelte affonda le sue radici nella religione scintoista, che considera la carta un materiale sacro: nella lingua giapponese, infatti, la parola “Kami” (“carta”) racchiude anche il significato di “divinità”, che pervade la terra, il cielo ed ogni essere.
Le città di Ayumi Shibata sono quindi affidate alla fragilità del vetro, diluite nella luce oppure sciolte nell’ombra più fitta, perché, come dice l’artista, “il bianco esprime lo yang, la luce. Il processo di taglio esprime lo yin, l’ombra. Quando il sole splende su un oggetto, nasce un’ombra. Anteriore e posteriore, yin e yang, due facce della stessa medaglia“
(Ayumi Shibata).
Ma le città di carta realizzate da Ayumi Shibata rappresentano molto di più e per capire il loro profondo significato bisogna scavare nella cultura nipponica. Nella lingua giapponese la parola “Kami”, ovvero “carta”, significa anche “dio”, “divinità” e “spirito”. Questi kami, secondo la religione scintoista, ci circondano sempre, risiedendo nel cielo, nella terra e in tutti gli elementi attorno a noi, dagli alberi alle rocce. Così, con con uno dei materiali considerati sacri per questa religione, ovvero la carta bianca, Ayumi Shibata realizza opere attraverso le quali analizza il profondo legame presente tra l’uomo e il mondo che ci circonda e il rapporto reciproco che esiste tra queste due entità.