Nel mondo ci sono i suoni, i nostri rumori e quelli delle vite degli altri.
Nella pratica meditativa, si impara ad ascoltare suoni e rumori da una radicale trasparenza.
Come fossimo uno sfondo limpido, ascoltiamo i suoni sorgere, restare un certo tempo, svanire.
Cerchiamo di non soffermarci sulla causa che li ha prodotti, ma di prestare piuttosto attenzione alla loro vibrazione e alla reazione immediata che suscitano in noi: piacere, dispiacere, indifferenza.
Anche queste reazioni sono rumori.
Il Maestro thailandese Ajahn Chah diceva: «Non uscite a disturbare i suoni».
Spesso, le nostre reazioni sono molto piú rumorose del rumore stesso.
Ogni suono sorge su uno sfondo di silenzio e svanisce in uno sfondo di silenzio.
Un detto zen confida: «Il silenzio che precede la musica e quello che la segue sono musica».
Imparare a percepire lo sfondo di silenzio esterno aiuta ad avvertire anche lo sfondo interno, quello che precede la reazione, il pensiero, il giudizio.
Addestrarsi a stare con i suoni e i rumori come energie che sorgono, sostano e scompaiono insegna a stare con i pensieri con lo stesso atteggiamento di partecipazione impersonale, al di là della persona, senza appropriazione, ma in intimità, non con il contenuto e il commento al contenuto, ma con la scia che un pensiero porta con sé, con la sua tonalità affettiva.
Stare con i suoni del mondo, con la sua sinfonia, fa percepire paesaggi sonori e ci leva dalla tirannia della vista.
La mente si purifica, diventa piú vasta e morbida e il cuore si sintonizza con il cuore del mondo, con le vite degli altri, i loro echi, le loro scie.
C’è un suono particolare, intenso, e soprattutto per chi vive in città anche frequente, è il suono delle ambulanze.
Io invito a non ascoltarlo come un suono tra gli altri, ma come il segnale dell’emergenza, qualcuno ha bisogno di me, almeno del mio pensiero: «So che sei lí, so che sei in pericolo, non sei solo, ti sento, ti mando il mio augurio di bene».
Allenati a sostare sui rumori e i suoni, piano piano si percepisce un suono sullo sfondo, continuo, sottile, misterioso: la voce del silenzio.
È impossibile essere distratti e sentirlo, è impossibile volerlo afferrare e sentirlo, ha bisogno di presenza, ma anche di apertura, di vastità, se c’è desiderio di appropriazione scompare.
È un suono che ricarica, che ricorda qualcosa di antichissimo e di perduto e nutre un bisogno senza nome insegnandoci ad abbandonarci anziché ad andare a caccia. Insegna senza contenuti, si torna piú saggi dopo averlo frequentato, ma non si sa di cosa.
Chandra Livia Candiani, “I suoni del mondo”, da ”Il silenzio è cosa viva”, 2018