“Un giorno, è un giorno d’estate, facciamo il bagno nelle acque di Montaubry vicino a Le Creusot, nuotiamo uno a fianco dell’altra, e non posso fare a meno di parlarti anche nell’acqua, ho sempre mille cose da dirti, e mi viene in mente, nell’acqua, sotto il sole, questa definizione di te, sapendo che sfuggi ad ogni definizione, ti dico, vuoi sapere chi sei tu per me, e allora ecco: tu sei colei che mi impedisce di bastarmi.
Ho una grande capacità di solitudine. Posso restare solo per giorni, per settimane, per mesi interi. Sonnolento, tranquillo. Sazio di me stesso come un neonato. È questa sonnolenza che sei venuta a interrompere. È questa capacità che hai rovesciato.
Come potrei mai ringraziarti? Possiamo dare molte cose a coloro che amiamo. Parole, riposo, piacere. Tu mi hai dato la cosa più preziosa di tutte: la mancanza. Mi era impossibile fare a meno di te, anche quando ti vedevo mi mancavi ancora. La mia casa interiore, la casa del mio cuore era chiusa a doppia mandata. Tu hai infranto i vetri e l’aria vi ha fatto irruzione, quella gelata, quella ardente, e ogni forma di luminosità.
Tu eri quella lì, Ghislaine, lo sei ancora oggi, quella attraverso la quale la mancanza, la frattura, la lacerazione entrano in me con mia somma gioia. È il tesoro che mi lasci: mancanza, frattura, lacerazione e gioia. Un tesoro così è inesauribile. Dovrebbe bastarmi per andare di «adesso» in «adesso» fino all’ora della mia morte”.
Christian Bobin, da “Più viva che mai”, 2010
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Vilhelm Hammershøi, “Le quattro stanze”, 1914