Perché parlare di stupidità? Forse proprio perché ne parliamo troppo, o troppo poco, oppure superficialmente, magari senza accorgercene, liquidando la questione con un epiteto affibbiato a qualcuno e talvolta perfino a noi stessi. Il punto, però, è che la stupidità è una cosa seria, molto più di quanto non saremmo disposti ad ammettere, soprattutto quando ci capita di imbatterci in qualche vero “stupido”, di quelli che non si limitano a farci sorridere o, all’estremo opposto, infuriare, ma di cui ci troviamo a sperimentare la potenziale pericolosità, tanto più nociva quanto il più delle volte imprevedibile. Perché, per la persona intelligente, non c’è nessuno di più imprevedibile e meno gestibile dello stupido. Prova ne sia il fatto che molti studiosi hanno cercato di definire i contorni della stupidità, cercando di catturarne l’essenza. Impresa non certo semplice, se perfino Umberto Eco sosteneva che “È difficile individuare lo stupido. Uno stupido può prendere anche il premio Nobel.”
E c’è chi della stupidità ha cercato anche di elaborare le leggi. Parlo di Carlo Cipolla (1922-2000), grande studioso di storia economica e noto al pubblico, oltre che per i suoi pregevoli saggi, anche per un “libretto” nato quasi per caso. Era il Natale del 1973 e Carlo, volendo fare un regalo agli amici, chiese alla casa editrice “Il Mulino“, quasi a titolo di favore personale, di stampare un suo piccolo testo in inglese sul commercio del pepe e di altre spezie.
Si dice che “repetita iuvant” e mai motto risultò più vero: due anni dopo, il nostro Carlo pregò la “sua” casa editrice di stampare una altro piccolo saggio in inglese, ancora una volta concepito come strenna per gli amici. Nacque così “The basic laws of human stupidity“. Un successo incredibile, complice il tam tam scattato tra amici e conoscenti. Così Cipolla, per quanto restio a pubblicare i due saggi, che diceva destinati solo allo “spirito inglese“, si rassegnò e nel 1988 uscì “Allegro ma non troppo“, che li comprendeva entrambi.
“Le faccende umane si trovano per unanime consenso, in uno stato deplorevole.” – esordisce Cipolla. Il che non sarebbe di per sé una grande novità. Ma il problema è che “Il pesante fardello di guai e miserie che gli esseri umani devono sopportare, sia come individui che come membri della società organizzata, è sostanzialmente il risultato del modo estremamente improbabile – e oserei dire stupido – in cui la vita fu organizzata sin dai suoi inizi“. Accade così che in questa gigantesca e sgangherata arca che è il nostro mondo, uomini ed animali siano accomunati dalla medesima “dose quotidiana di tribolazioni, timori, frustrazioni, pene e avversità“. In realtà non esattamente la stessa, perché, secondo Cipolla, gli esseri umani “hanno il privilegio di doversi sobbarcare un peso aggiuntivo, una dose extra di tribolazioni quotidiane, causate da un gruppo di persone che appartengono allo stesso genere umano“. Si tratta di un gruppo “molto più potente della Mafia o del Complesso industriale-militare o dell’Internazionale comunista (…) un gruppo non organizzato, non facente parte di alcun ordinamento, che non ha capo, né presidente, né statuto, ma che riesce tuttavia ad operare in perfetta sintonia come se fosse guidato da una mano invisibile, in modo tale che le attività di ciascun membro contribuiscono potentemente a rafforzare ed amplificare l’efficacia dell’attività di tutti gli altri membri”.
Qual è questo gruppo? Presto detto: gli stupidi.
Segue l’elaborazione delle famose “leggi della stupidità umana“, la prima delle quali recita:
“Sempre ed inevitabilmente ognuno di noi sottovaluta il numero di individui stupidi in circolazione“.
Ovvio? Non proprio, se si considera, avverte Cipolla, che perfino le persone che in passato sono state giudicate intelligenti, magari anche da noi stessi, possono rivelarsi “all’improvviso inequivocabilmente e irrimediabilmente stupide“. Senza contare poi il gran numero di “individui pervicacemente stupidi, che compaiono improvvisamente ed inaspettatamente nei luoghi e nei momenti meno opportuni“.
Passiamo alla seconda legge:
“La probabilità che una certa persona sia stupida è indipendente da qualsiasi altra caratteristica della stessa persona“.
Ciò avviene in virtù di un vero e proprio miracolo operato dalla Natura, che è riuscita a distribuire equamente il numero degli stupidi tra tutte le categorie sociali, indipendentemente da sesso, “razza“, grado di civiltà ecc. Insomma, ne potremmo dedurre che la stupidità sia la più democratica tra le caratteristiche umane, talmente democratica da interessare perfino (come diceva Eco) i vincitori dei premi Nobel, “una frazione” dei quali, conclude inesorabilmente Cipolla, “è costituita da stupidi“.
La terza legge, che il nostro Autore definisce “aurea“, recita:
“Una persona stupida è una persona che causa un danno ad un’altra persona o gruppo di persone senza nel contempo realizzare alcun vantaggio per sé o addirittura subendo una perdita“.
Il fatto è, osserva il nostro storico, che “ognuno di noi ha una sorta di conto corrente con ognuno degli altri. Da qualsiasi azione, o non azione, ognuno di noi trae un guadagno o una perdita, ed allo stesso tempo determina un guadagno o una perdita a qualcun altro.” Se, per esempio, abbiamo a che fare con una persona che si procura guadagni infliggendo danni a noi, possiamo essere certi che ci siamo imbattuti in “un bandito“. Se, invece, incontriamo un tizio le cui azioni procurano un danno a lui stesso e un vantaggio a noi, allora ci troviamo di fronte ad “uno sprovveduto“. Ben diversa è la “persona intelligente“, che riesce ad agire procurando benefici a se stesso e agli altri. Poi, però, accade, e anche frequentemente, che ci troviamo invischiati in vicende che comportano “perdite di denaro, tempo, energia, appetito, tranquillità e buonumore a causa delle improbabili azioni di qualche assurda creatura che capita nei momenti più impensabili e sconvenienti a provocarci danni, frustrazioni e difficoltà, senza aver assolutamente nulla da guadagnare da quello che compie. Nessuno sa, capisce o può spiegare perché quella assurda creatura fa quello che fa. Infatti non c’è spiegazione – o meglio – c’è una sola spiegazione: la persona in questione è stupida“.
Quarta Legge:
“Le persone non stupide sottovalutano sempre il potenziale nocivo delle persone stupide. In particolare i non stupidi dimenticano costantemente che in qualsiasi momento e luogo, ed in qualunque circostanza, trattare e/o associarsi con individui stupidi si dimostra infallibilmente un costosissimo errore“.
Ma perché siamo portati a sottovalutare il potere di uno stupido? “Auto-compiacenza”? “Disprezzo”? Sono più propensa a credere che la causa vada cercata in quello che Cipolla chiama l’”erratico comportamento dello stupido”, le cui azioni e reazioni sono talmente imprevedibili da rischiare di rimanerne “polverizzati”.
La quinta ed ultima legge ha anche un corollario:
“La persona stupida è il tipo di persona più pericoloso che esista.”
“Il corollario della legge è che: Lo stupido è più pericoloso del bandito.”
L’argomentazione di Cipolla è molto sottile: le azioni di un bandito comportano un puro e semplice trasferimento di ricchezza, “un più sul suo conto”, che, in un certo senso, va ad equilibrare il “meno”, ossia il danno causato ad altre persone. Se, paradossalmente, una società fosse costituita esclusivamente da banditi, ci limiteremmo ad assistere ad un massiccio trasferimento di ricchezze. Se poi tutti i membri della società vestissero, a turni regolari, i panni di un bandito, il risultato sarebbe una situazione tutto sommato stabile per l’intera società. Quanto agli sprovveduti, a riaccendere le speranze interviene il fatto che alcuni di loro sono sicuramente più intelligenti di altri. “Ma quando gli stupidi si mettono all’opera, la musica cambia completamente. Le persone stupide causano perdite ad altre persone senza realizzare dei vantaggi per se stessi. Ne consegue che la società intera si impoverisce.”
Prova ne sia il fatto che un altro grande economista, John Maynard Keynes, afferma che “Contro la stupidità anche gli dei sono impotenti. Ci vorrebbe il Signore. Ma dovrebbe scendere lui di persona, non mandare il Figlio; non è il momento dei bambini.”
“Inutile poi aggiungere che niente è più pericoloso di uno stupido che afferra un’idea, il che succede con una frequenza preoccupante. Se uno stupido afferra un’idea, è fatto: su quella costruirà un sistema e obbligherà gli altri a condividerlo.” (Ennio Flaiano, “La saggezza di Pickwick”, da “Diario Notturno”).
E noi ne sappiamo qualcosa, soprattutto di questi tempi in cui, come diceva Umberto Eco, “I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel. È l’invasione degli imbecilli.” E ancora: “La tv aveva promosso lo scemo del villaggio rispetto al quale lo spettatore si sentiva superiore. Il dramma di Internet è che ha promosso lo scemo del villaggio a portatore di verità”. E noi ne facciamo le spese, bombardati come siamo da specialisti/filosofi/virologi/tecnici, il più delle volte in formato “fai da te”.
Eppure la stupidità ha un suo fascino segreto: lo ammette Flaiano e lo conferma Robert Musil nel suo “Discorso sulla stupidità”: è “disarmante”, proprio come la bellezza e come la poesia, ma sempre e comunque problematica da capire. Basterebbe riflettere sul fatto che chiunque pretenda di spiegare cosa sia la stupidità, presume di essere intelligente, ma ostentare la propria intelligenza è già di per sé un segno di stupidità, il che dimostra, da un lato, che la stupidità si cela nella comparazione; dall’altro, che nessun tipo di pensiero è esente dal rischio di trasformarsi in stupidità. Intesa come superiorità vanesia e credulona, la stupidità è propria non solo del singolo individuo, ma anche della massa; ma non è definibile, avverte Musil, come mancanza di intelligenza, quanto piuttosto come sua “perversione”. E per uno scrittore che assiste all’escalation del nazismo (“Discorso sulla stupidità” viene pubblicato nel 1937), parlare di stupidità intesa come “perversione dello spirito” ha un senso violento e doloroso. “Gli uomini che dicono ‘noi’ dietro l’usbergo del Partito diventano stupidi, però si sentono forti”. È questa una sorta di stupidità di ritorno, ben diversa da quella innocente del bambino, ma pur sempre imputabile ad una profonda fragilità del pensiero umano. Ed è una stupidità pericolosa, disonesta, un “fallimento dell’intelligenza”, una “malattia della cultura”. Stupidità infantile, ma mostruosa e anaffettiva, di cui Eichmann è stato una delle tante incarnazioni. Eppure sono tante le “grandi epidemie storiche” di questo tipo di stupidità, ricorrenti, quasi come i “corsi e i ricorsi” di vichiana memoria.
Forse per questo motivo “Viviamo nel timore di essere stupidi verificando di continuo il nostro quoziente intellettivo. Ma la possibilità di misurare l’intelligenza umana è solo una chimera. Perché la verità è che non siamo abbastanza intelligenti per capire cos’è l’intelligenza“. (Hans Magnus Enzensberger, “Nel labirinto dell’intelligenza”)
Hans Magnus Enzensberger, quasi a far da eco a Musil, resta del parere che “anche il poeta farà bene a occuparsi piuttosto della sua eterna antagonista”, dedicando quindi alla stupidità alcuni versi pindarici:
“Potenza celeste che ti nascondi nelle pieghe dell’encefalo,
dote senza fondo elargita al genere umano in saecula saeculorum,
tu sei innumere come la via lattea
e molteplice come l’erba.
Potente gemella dell’intelligenza,
mano nella mano
celebri con essa una triste tiritera.
Si, è forte, come tu ci ispiri in sempre nuove guise,
come scemenza femminile e come idiozia maschile,
come sprizzi dagli occhi iniettati di sangue del picchiatore
e muovi passetti con aristocratica boria tossicchiante,
come ci fiati addosso con l’alito cattivo di una musa sbronza
e come polisillabo delirare nel seminano filosofico.
Cosa sarebbe l’uomo d’azione senza di te, stupidità granitica, totale e idiota,
che corri ardente per le sue vene come una overdose di amfetamina,
e cosa il ricercatore senza l’idea fissa che insegue
per i bianchi corridoi del suo istituto come la pantegana nel labirinto?
Senza contare la storia universale : di chi mai si ricorderebbe,
se non dei vincitori, nella sua ottusità napoleonica?
Sicché a noi sarà trasmesso lo stolido orgoglio del vincitore
e il rancore sordo del perdente, solo di quando in quando addolcito
dallo sproloquio ispirato dei sacerdoti delle sette,
dei comici e dei bevitori coatti. Stupidità,
tu spesso diffamata, che nella tua scaltrezza
ti fingi più stupida di quello che sei, protettrice di tutti i menomati,
solo agli eletti concedi il tuo dono più raro,
la benedetta semplicioneria dei sempliciotti.
Essi sono le pagine bianche nel tuo grande libro
che a nessuno di noi tu dissigilli”
(Hans Magnus Enzensberger, “Nel labirinto dell’intelligenza”)
Almeno in un punto tutti concordano: la stupidità, che sia individuale o di massa, è quanto mai funzionale al potere. Il che, peraltro, non immunizza neppure i politici dal contagio, di cui, anzi, spesso sono proprio loro gli untori.
E sulla stupidità dei politici ci va giù pesante anche Piergiorgio Odifreddi, perfino lui, accademico di fama mondiale, ammaliato dal canto di questa sirena, tanto da aver scritto addirittura un “Dizionario della stupidità” (sottotitolo: “Fenomenologia del non-senso della vita”). “Se vogliono conquistare voti, i politici devono dire alle persone ciò che si vogliono sentir dire. Tendenzialmente, delle stupidaggini. E Matteo Renzi è l’erede perfetto di Berlusconi: il Cavaliere ha imparato a farlo cantando sulle navi, lui esordendo alla Ruota della fortuna.” Grillo, invece, viene liquidato come “minus habens”: “ha iniziato a dire scemenze prima di cominciare a fare politica. Per dire: sosteneva che l’AIDS era una bufala, che l’OGM ammazza, che le radiazioni dei cellulari cuociono le uova. Ma lui ci crede. È questa la grande differenza tra Grillo e un politico di professione: che il politico deve dire delle cretinate per racimolare voti, lui le dice per convinzione.”
Stendiamo un velo di pietoso silenzio, “pietoso” non so se più per la stupidità o per la politica…
Resta però un interrogativo di fondo: “Perché la stupidità ci domina con tanta ostinazione?” La domanda è di Seneca e poiché “ubi maior, minor cessat”, mi ritiro in buon ordine e lascio a lui la risposta: “Punto primo: non la respingiamo con forza e non tendiamo con slancio alla salvezza; punto secondo: non abbiamo sufficiente fiducia nelle verità scoperte dai saggi, non le accogliamo nel profondo del cuore e ci dedichiamo con scarso impegno a una questione tanto importante. Come può imparare quanto serve per combattere i vizi chi si applica nei ritagli di tempo che i vizi gli lasciano? Nessuno di noi va a fondo; cogliamo solo quanto è in superficie e i pochi minuti spesi per la filosofia bastano e avanzano per gente tanto affaccendata”. (Lucio Anneo Seneca, “Lettere a Lucilio”, Libro VI).
Maddalena Vaiani
Immagine: René Magritte, “Ritratto di Stephy Langui”, 1961
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“Lo stupido più innocuo trova sempre un’eco favorevole nel cuore e nel cervello dei suoi contemporanei che sono almeno stupidi quanto lui: e sono sempre parecchi. Inutile poi aggiungere che niente è più pericoloso di uno stupido che afferra un’idea, il che succede con una frequenza preoccupante. Se uno stupido afferra un’idea, è fatto: su quella costruirà un sistema e obbligherà gli altri a condividerla.
Debbo precisare che la stupidità ha un suo fascino, si suol dire persino che è riposante. Difatti succede che le persone e i libri più sciocchi sono quelli che più ci ammaliano, che più ci tentano e che ci tolgono ogni difesa. L’esperienza quotidiana ci porta anzi a credere che la stupidità sia lo stato perfetto, originario, dell’uomo, il quale trova buono ogni pretesto per riaccostarsi a quello stato felice. L’intelligenza è una sovrapposizione, un deposito successivo, e soltanto verso quel primo stato dello spirito noi tendiamo per gravità o per convenienza. […]
Conclusione, la stupidità ha un limite. Oltre certi confini la mente umana si rifiuta di procedere. Ad un certo punto la Stupidità (forza attiva) diventa Idiozia (forza negativa) e non si vende più. […]
Ho un solo motivo di consolazione. Si crede comunemente che gli stupidi sodalizzino. Non è vero. Nessuno odia e disprezza tanto uno stupido quanto un altro stupido. Se così non fosse… ma il guaio è che siamo in
tanti.” (Ennio Flaiano,”La saggezza di Pickwick”, da “Diario Notturno”.
Potenza celeste che ti nascondi nelle pieghe dell’encefalo,
dote senza fondo elargita al genere umano in saecula saeculorum,
tu sei innumere come la via lattea
e molteplice come l’erba.
Potente gemella dell’intelligenza,
mano nella mano
celebri con essa una triste tiritera.
Si, è forte, come tu ci ispiri in sempre nuove guise,
come scemenza femminile e come idiozia maschile,
come sprizzi dagli occhi iniettati di sangue del picchiatore
e muovi passetti con aristocratica boria tossicchiante,
come ci fiati addosso con l’alito cattivo di una musa sbronza
e come polisillabo delirare nel seminano filosofico.
Cosa sarebbe l’uomo d’azione senza di te, stupidità granitica, totale e idiota,
che corri ardente per le sue vene come una overdose di amfetamina,
e cosa il ricercatore senza l’idea fissa che insegue
per i bianchi corridoi del suo istituto come la pantegana nel labirinto?
Senza contare la storia universale: di chi mai si ricorderebbe,
se non dei vincitori, nella sua ottusità napoleonica?
Sicché a noi sarà trasmesso lo stolido orgoglio del vincitore
e il rancore sordo del perdente, solo di quando in quando addolcito
dallo sproloquio ispirato dei sacerdoti delle sette,
dei comici e dei bevitori coatti. Stupidità,
tu spesso diffamata, che nella tua scaltrezza
ti fingi più stupida di quello che sei, protettrice di tutti i menomati,
solo agli eletti concedi il tuo dono più raro,
la benedetta semplicioneria dei sempliciotti.
Essi sono le pagine bianche nel tuo grande libro
che a nessuno di noi tu dissigilli.
Hans Magnus Enzensberger, “Inno alla stupidità”.
(René Magritte, “Ritratto di Stephy Langui”, 1961)
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“Lo stupido più innocuo trova sempre un’eco favorevole nel cuore e nel cervello dei suoi contemporanei che sono almeno stupidi quanto lui: e sono sempre parecchi. Inutile poi aggiungere che niente è più pericoloso di uno stupido che afferra un’idea, il che succede con una frequenza preoccupante. Se uno stupido afferra un’idea, è fatto: su quella costruirà un sistema e obbligherà gli altri a condividerla.
Debbo precisare che la stupidità ha un suo fascino, si suol dire persino che è riposante. Difatti succede che le persone e i libri più sciocchi sono quelli che più ci ammaliano, che più ci tentano e che ci tolgono ogni difesa. L’esperienza quotidiana ci porta anzi a credere che la stupidità sia lo stato perfetto, originario, dell’uomo, il quale trova buono ogni pretesto per riaccostarsi a quello stato felice. L’intelligenza è una sovrapposizione, un deposito successivo, e soltanto verso quel primo stato dello spirito noi tendiamo per gravità o per convenienza. […]
Conclusione, la stupidità ha un limite. Oltre certi confini la mente umana si rifiuta di procedere. Ad un certo punto la Stupidità (forza attiva) diventa Idiozia (forza negativa) e non si vende più. […]
Ho un solo motivo di consolazione. Si crede comunemente che gli stupidi sodalizzino. Non è vero. Nessuno odia e disprezza tanto uno stupido quanto un altro stupido. Se così non fosse… ma il guaio è che siamo in
tanti.” (Ennio Flaiano,”La saggezza di Pickwick”, da “Diario Notturno”.
Potenza celeste che ti nascondi nelle pieghe dell’encefalo,
dote senza fondo elargita al genere umano in saecula saeculorum,
tu sei innumere come la via lattea
e molteplice come l’erba.
Potente gemella dell’intelligenza,
mano nella mano
celebri con essa una triste tiritera.
Si, è forte, come tu ci ispiri in sempre nuove guise,
come scemenza femminile e come idiozia maschile,
come sprizzi dagli occhi iniettati di sangue del picchiatore
e muovi passetti con aristocratica boria tossicchiante,
come ci fiati addosso con l’alito cattivo di una musa sbronza
e come polisillabo delirare nel seminano filosofico.
Cosa sarebbe l’uomo d’azione senza di te, stupidità granitica, totale e idiota,
che corri ardente per le sue vene come una overdose di amfetamina,
e cosa il ricercatore senza l’idea fissa che insegue
per i bianchi corridoi del suo istituto come la pantegana nel labirinto?
Senza contare la storia universale: di chi mai si ricorderebbe,
se non dei vincitori, nella sua ottusità napoleonica?
Sicché a noi sarà trasmesso lo stolido orgoglio del vincitore
e il rancore sordo del perdente, solo di quando in quando addolcito
dallo sproloquio ispirato dei sacerdoti delle sette,
dei comici e dei bevitori coatti. Stupidità,
tu spesso diffamata, che nella tua scaltrezza
ti fingi più stupida di quello che sei, protettrice di tutti i menomati,
solo agli eletti concedi il tuo dono più raro,
la benedetta semplicioneria dei sempliciotti.
Essi sono le pagine bianche nel tuo grande libro
che a nessuno di noi tu dissigilli.
Hans Magnus Enzensberger, “Inno alla stupidità”.