Riflessioni

Dante e… mia nonna

21.05.2020

Dante, il sommo, l’incommensurabile, l’inarrivabile…O forse no? Per carità, ferme restando le sue sublimi altezze rispetto alle quali “nui chiniam la fronte“, forse non ci rendiamo conto che i suoi versi fanno capolino anche nel comune modo di parlare di noi comunissimi mortali.

Me ne accorsi per caso anni fa, quando scoprii che molti dei riboboli di mia nonna, ormai entrati nel “lessico familiare” e anche in quello dei nostri amici, avevano radici… dantesche, zampillanti da quel “fiorentino spirito bizzarro” che il Vate incontra nell'”Inferno” (Canto VIII, v. 62).
Eppure mia nonna non era certo una persona di cultura: era una donna del popolo, fiorentina d.o.c., nata a San Frediano, dove visse mantenendosi col suo lavoro (era una “ricamatrice di fino“), finché un giorno mio nonno se ne innamorò follemente e volle sposarla. Ma siccome nel frattempo era scoppiata la guerra e lui era stato chiamato al fronte, fu costretto a farlo per procura. Quando, però, finalmente tornò a casa, si trovò la porta sbarrata dalla feroce suocera, che quel matrimonio-da-lontano non l’aveva mai mandato giù. Fu così che i due piccioncini furono costretti a sposarsi una seconda volta.
Tra i motti che mia nonna snocciolava più spesso c’era: “Un bel tacer non fu mai scritto“, con cui stigmatizzava chi, secondo lei, avrebbe fatto meglio a non proferir verbo. Alcuni attribuiscono questa frase a Dante, ma in realtà proviene più verosimilmente da Iacopo Badoer, scrittore e librettista italiano del ‘600: compare infatti nel suo “Il ritorno di Ulisse in patria” (Atto V, scena VIII).
Di più sicura ascendenza dantesca è invece “cosa fatta capo ha“, che il Divino mette in bocca ad un certo Mosca de’ Lamberti. Mosca, “chi era costui“?
Siamo nella Firenze del ‘200. Un nobile cavaliere, Buondelmonte de’ Buondelmonti, infrange la promessa di sposare una fanciulla della famiglia Amidei. L’onta è gravissima e va tempestivamente lavata con la punizione del fedifrago. Gli Amidei si consultano con altre famiglie del loro rango, ma i pareri sono discordi. Ad un certo punto, il nostro Mosca, che non a caso Dante colloca tra i seminatori di scandalo e di discordie (“Inferno”, cerchio VIII, nona bolgia, vv. 103-111), suggerisce di farlo fuori, onde evitare una possibile (e molto probabile) ritorsione da parte sua. Si comincia, quindi, già ad intuire cosa possa significare l’espressione: “cosa fatta capo ha“. La conferma, però, ci viene da un cronista del tempo, certo Paolino Pieri, che, nelle sue “Croniche della città di Firenze“, al Cap. 55, spiega che ogni azione può provocare conseguenze imprevedibili quanto pericolose, per cui è meglio, come si direbbe oggi, “tagliare la testa al toro“.
Curiosamente, però, mentre i nostri dizionari spiegano la frase con diverse sfumature di significato (“ciò che è stato fatto non può più essere cambiato”; “a cosa fatta non c’è più rimedio“, e via dicendo), mia nonna la usava proprio in senso “dantesco“.

E “Stai fresca?” Mi sembra quasi di rivederla, mia nonna, quando pronunciava questa frase in tono vagamente minaccioso, mani sui fianchi e aria corrucciata .A suggerirgliela, ma da molto lontano, è sempre il nostro Dante, che ci scaraventa di nuovo nell'”Inferno“, questa volta nella sua parte più profonda, di fronte alle acque ghiacciate del lago Cocito, dove vengono puniti i traditori (“Inferno“, XXIII, 117). Per fortuna, quando ero piccola, non conoscevo tutto ciò, altrimenti lo “stai fresca” di mia nonna si sarebbe aggiunto ai miei incubi peggiori!
Anche “Non mi tange” era un’espressione che ricorreva di frequente nel linguaggio di mia nonna, che la pronunciava con aria di sussiego, aggrottando le sopracciglia e schioccando la lingua.
Lasciamo mia nonna e torniamo ancora una volta nell'”Inferno“. Alla domanda di Virgilio, preoccupato nel veder scendere Beatrice “quaggiusu” lasciando le sublimi altezze del Paradiso, lei risponde:

Io son fatta da Dio, sua mercè, tale,
Che la vostra miseria non mi tange

(Dante, “Inferno“, II, v. 92).

Anche a mia nonna “non tangevano“, ossia non interessavano molto le umane cose, che guardava dall’alto (si fa per dire!) del suo metro e cinquanta di altezza e della sua saggezza popolare.
Semmai, le rare volte in cui perdeva veramente la calma, la sentivamo esclamare: “Ahi serva Italia!“, a cui mio nonno faceva eco con un lugubre “Di dolore ostello“. E come ti sbagli? Dante, “Purgatorio, VI, v. 76.
Ce l’avevano tutti e tre con la situazione italiana, a quanto pare rimasta, nonostante i secoli di distanza, “nave senza nocchiere in gran tempesta, non donna di province, ma bordello“.

 

Maddalena Vaiani

Disegno di Feda

 

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