Al di là di Ghor si estendeva una città i cui abitanti erano tutti ciechi. Un giorno, un re arrivò da quelle parti, accompagnato dalla sua corte e da un intero esercito, e si accamparono nel deserto. Ora, questo monarca possedeva un possente elefante, che utilizzava sia in battaglia sia per accrescere la soggezione della gente.
Il popolo era ansioso di sapere come fosse l’elefante e alcuni dei membri di quella comunità di ciechi si precipitarono all’impazzata alla sua scoperta.
Non conoscendo né la forma né i contorni dell’elefante, cominciarono a tastarlo alla cieca e a raccogliere informazioni toccando alcune sue parti.
Ognuno di loro credette di sapere qualcosa dell’elefante per averne toccato una parte.
Quando tornarono dai loro concittadini, furono presto circondati da avidi gruppi, tutti ansiosi, e a torto, di conoscere la verità per bocca di coloro che erano essi stessi in errore.
Posero domande sulla forma e l’apparenza dell’elefante, e ascoltarono tutto ciò che veniva detto loro al riguardo. Alla domanda sulla natura dell’elefante, colui che ne aveva toccato l’orecchio rispose: “Si tratta di una cosa grande, ruvida, larga e lunga, come un tappeto“.
Colui che aveva toccato la proboscide disse: “So io di che si tratta: somiglia a un tubo dritto e vuoto, orribile e distruttivo“.
Colui che ne aveva toccato una zampa disse: “È possente e stabile come un pilastro“.
Ognuno di loro aveva toccato una delle tante parti dell’elefante. La percezione di ognuno era errata. Nessuno lo conosceva nella sua totalità: la conoscenza non appartiene ai ciechi. Tutti immaginavano qualcosa, e l’immagine che ne avevano era sbagliata.
Pubblicato su www.sufi.it
*****
Foto di Sonia Simbolo