Durante un lungo ed estenuante viaggio, tre uomini avevano stretto amicizia. Avevano condiviso piaceri e difficoltà e messo in comune tutto ciò che possedevano.
Dopo aver camminato per giorni e giorni, i tre viaggiatori si accorsero che non rimanevano loro altro che un boccone di pane e un sorso d’acqua in fondo alla borraccia. Cominciarono a discutere per sapere a chi toccasse consumare le ultime provviste. Non riuscendo ad accordarsi, cercarono di dividere il pane e l’acqua, ma la divisione si rivelò impossibile.
Mentre la notte stava calando, uno di loro suggerì di andare a dormire; al risveglio, colui che avrebbe fatto il sogno più significativo avrebbe deciso sul da farsi.
La mattina seguente, i tre uomini si alzarono all’alba.
“Ecco il sogno che ho fatto, – raccontò il primo. – Sono stato trasportato in luoghi così meravigliosi e sereni che non ho parole per descriverli. Ho incontrato un saggio che mi ha detto: ‘Il cibo è tuo di diritto, perché la tua vita, passata e futura, è meritevole e suscita, giustamente, ammirazione‘”.
“Che strano! – disse il secondo. – Nel mio sogno ho visto svolgersi tutta la mia vita passata e futura. In quest’ultima ho incontrato un uomo che conosceva tutte le cose e che mi ha detto: ‘Sei tu che meriti di mangiare questo pane, perché sei più sapiente e più paziente dei tuoi amici. Devi essere ben nutrito, perché è tuo destino guidare gli uomini’“.
Il terzo viaggiatore, a sua volta, disse: “Nel mio sogno non ho visto nulla, non ho udito nulla e non ho detto nulla, ma ho sentito una forza irresistibile che mi ha spinto ad alzarmi, a prendere il pane e l’acqua e a consumarli all’istante. E così ho fatto“.
“I sogni e il pane” è uno dei numerosi racconti attribuiti a Shah Mohammed Gwath Shattari, che morì nel 1563. È l’autore del famoso trattato intitolato “Le cinque gemme“, nel quale le vie che permettono all’uomo di raggiungere gli stati superiori sono descritte con l’antica terminologia della magia e della stregoneria. Questo maestro era abilitato a iniziare i suoi allievi in almeno quattordici Ordini diversi, e l’imperatore indiano Humayun lo teneva in grande considerazione.
Benché molti lo considerassero un santo, le autorità religiose lo accusarono di aver trasgredito le sacre scritture in alcuni suoi scritti, e cercarono di farlo condannare. Alla fine fu prosciolto dall’accusa di eresia, in quanto le parole pronunciate in uno stato particolare non potevano essere giudicate secondo gli ordinari criteri scolastici. La sua tomba si trova a Gwalior, meta di pellegrinaggio sufi molto importante.
Si ritrova la stessa trama in alcuni racconti cristiani dei monaci medievali.
(Salvador Dalì, “Cestino di pane”, 1926)