“Essendo un filosofo, ho un problema per ogni soluzione“, diceva Robert Zend.
A quanto pare la filosofia, oggi, ne ha molti, di problemi. Stiracchiata da una parte e dall’altra, è difficile capire se sia più simile all’abito di Gesù Bambino (che, a quanto si dice, cresceva con lui) o a quello di Arlecchino, cucito con tante toppe colorate, una per ogni abito smesso.
Dunque, ricapitoliamo…
Nell’ormai lontano 1982, il filosofo tedesco Gerd B. Achenbach fondò la “Gesellschaft für die Philosophische Praxis“, con sede a Bergish Gladbach, nei pressi di Colonia. Prendeva forma così la “consulenza filosofica“, che intendeva dimostrare (qualora ce ne fosse ancora bisogno) che la filosofia, lungi dall’essere inutile, è perfettamente in grado di aiutare chi ricorre ai suoi “lumi“, a confrontarsi con i problemi della vita, a salvarsi dallo “spaesamento” che ci assedia, a scoprire il senso alle cose che sembrano non averne e soprattutto a ritrovare se stessi. Intendiamoci, avverte Achenbach, non è una nuova forma di terapia, né tanto meno vuol essere concorrenziale con la psicologia. Piuttosto rivendica la necessità che la filosofia torni ad essere “pratica, azione comunicativa, esplorazione e organizzazione dialogica dei problemi, critica della comunicazione distorta e di ogni trattamento.”
“Dove l’esterno – il comandamento, il dovere, il timore di Dio, le tavole del Sinai eccetera – non possiede più il potere di interferire con la nostra coscienza illuminata, là istanze interiori – voci, impulsi, desideri, blocchi, resistenze, costrizioni eccetera – sviluppano la loro efficacia (…). Dominati un tempo dall’alto, siamo ora sottomessi alle violenze interiori.” (G. B. Achenbach, “La consulenza filosofica“)
Questo “groviglio di vipere“, come probabilmente lo definirebbe Mauriac, unito alla perdita di interesse, alla sensazione costante di non riuscire a farcela, deve poter venire alla luce, ma per farlo è necessario che trovi uno spazio di comprensione. Non c’è da sorprendersi del fatto che questo compito venga assegnato proprio alla filosofia. Forse non tutti sanno che, negli anni settanta, il filosofo americano Matthew Lipman fondò il programma educativo “Philosophy for Children“, oggi tutelato dall’Unesco. Il progetto, che si ispira al concetto deweyano di “community of inquiry“, intesa come indagine di situazioni problematiche, impiega la ricerca filosofica per sviluppare la capacità di ragionare, di elaborare e di approfondire concetti. La figura di un formatore (o facilitatore), assume la guida di questo processo: tornando a rivestire il ruolo che in epoca socratica era quello del filosofo-maieuta, anima il dibattito, stimola la discussione, sollecita l’approfondimento dei problemi e orienta l’indagine filosofica.
E fin qui, la filosofia gioca in casa. Se però giriamo pagina, troviamo “Reti“, una società di consulenza e di business, che ha previsto, per i suoi clienti, la possibilità di affiancare al management delle sue aziende un pool di docenti di filosofia per “ripensarsi e ridefinire l’azione, partendo dal pensiero”. Quale ne sarebbe lo scopo? Ce lo spiega Giusi Gallotto, CEO (“Chief Executive Officer“) della “Reti,” mettendo l’accento sulla “necessità che abbiamo percepito, da parte delle aziende, di ricreare un senso di comunità, non soltanto di reagire ma di agire, anche perché le nuove modalità di lavoro agile hanno prodotto un senso di smarrimento”.
“L’idea non è quella di fare delle lezioni di filosofia in senso stretto, facendo salire in cattedra i filosofi o riportando i lavoratori e i professionisti sui banchi di scuola. Il nostro non è un approccio strettamente scolastico. E’ più una sfida. L’obiettivo non è insegnare l’azienda a pensare, ma porre l’accento sul tema della crisi del pensiero (…), l’idea è trovare un equilibrio tra una scienza umana come la filosofia tradizionale, però inserita in un contesto di novità”. (Giusi Gallotto)
Ancora una volta, insomma, la filosofia viene chiamata in causa per offrire soluzioni pratiche. Ma la filosofia non era forse “quella cosa con la quale e senza la quale il mondo rimane tale e quale“?
Ebbene, le sorprese non sono finite. Colpo di scena! La filosofia si presenta anche in veste di un’applicazione sviluppata da “Edipress” allo scopo di aiutare gli studenti, ma anche per venire incontro agli appassionati di questa disciplina.
“Viene rivisitata tutta la filosofia attraverso le epoche e i filosofi. Le radici della filosofia antica, la scolastica ma anche l’età del Rinascimento e dell’interesse filosofico per l’uomo. Il dubbio metodico come nuova scienza da Cartesio a Kant. Le correnti filosofiche e la loro incidenza sui movimenti dell’800 e del ‘900. Fichte, Hegel, Nietzsche e una nuova visione della filosofia. Fino a Freud e Sartre.”
Insomma, un modo “superfacile” di studiare e di apprendere la filosofia, che, in barba a Hegel, non sembra proprio paragonabile alla “nottola di Minerva” che “inizia il suo volo sul far del crepuscolo“. Che è come dire, poi, che serve a ben poco: al massimo potrebbe arrivare a spiegare una società, ma certo non a trasformarla. Peccato, però, che nel sistema scolastico italiano la filosofia venga insegnata soltanto nei licei, il che significa che istituti tecnici, professionali ecc. ne rimangono esclusi. Quindi? Come risolvere questo problema? La filosofia tornerà ad essere riservata ad un’élite? Con i tempi che corrono, c’è il rischio che l’istruzione intera sia ormai destinata a pochi!
Fortunatamente (si fa per dire!) tra tutti questi revival filosofici non manca il tentativo di rianimare la memoria dell'”agorà“, in cui sembra che la vecchia signora abbia mosso i suoi primi passi. In realtà si tratta di un parco, quello Appio, in cui debutta la manifestazione “Prendiamola con filosofia“, che si propone di essere proprio una “piazza virtuale di confronto sulla filosofia e sul dibattito culturale“. Il programma è molto nutrito: si va dai “Circles talk“, conversazioni animate da un filosofo, al “Tlon talk“, che intratterrà diversi personaggi del mondo della cultura; dai “Lyrics“, incontri filosofici che avranno per protagonista la musica; al “Tlon Show“, un talk show che mixerà filosofia, cultura e “mondo pop“. “Ai posteri l’ardua sentenza“, scriveva Manzoni. “Nui chiniam la fronte…” alla vecchia signora che durante i millenni non ha mai smesso di dispensarci i suoi “tesori nascosti”.
“Lo sappiano o no, tutti gli uomini hanno una filosofia. Certo, può ben darsi che nessuna delle nostre filosofie valga un gran che, ma la loro influenza sui nostri pensieri e sulle nostre azioni è grande, e spesso incalcolabile.” (Karl Popper)
Ma la vecchia signora non ha mai avuto la vita facile. Continuamente sballottata tra la “polvere” e gli “altar” (per dirla con Manzoni), ora esaltata, ora bistrattata, la poveretta rischia di cominciare a soffrire di bipolarismo. Vero è che, arrivata alla sua più che veneranda età, si dovrebbe essere abituata alle critiche più disparate e – diciamolo! – anche un tantino fantasiose, ma a volte la misura è proprio colma! Ecco quindi che oggi i suoi “sacerdoti” si sentono definire “catafratti e impermeabili all’esperienza immediata“, “manipolatori di coscienze“, “retori e ipnotizzatori“, intenti a “parlare di qualunque cosa senza neppure pensarci” (cfr. l’articolo “Il triste mondo dei filosofi-star ridotti a lanciare qualche idea e farne una bandiera“, pubblicato su “Il Foglio” a firma di Alfonso Berardinelli).
Proviamo a discuterne un po’…
Comincerei proprio dal sottolineare che definizioni del genere potrebbero adattarsi bene ad una nutrita schiera di personaggi di nostra conoscenza: virologi, scienziati, politici ecc., i cui giudizi risultano ben più pesanti (per non dire distruttivi) che non le sparate dei filosofi, tutto sommato innocue. Perché, detto fuori dai denti, mi sembra ben più grave sentirsi travolgere dal quotidiano e micidiale balletto di ipotesi sul coronavirus, con l’inevitabile alternanza di speranza e disperazione e con il rischio di dover scegliere tra il diventare ipocondriaci o paranoici, che non ascoltare Giorgio Agamben o Ginevra Bompiani, per i quali la pandemia sarebbe solo “un pretesto attivato dal Leviatano statale per uccidere le libertà sia individuali che sociali“. Chiedo scusa ai due personaggi in questione, ma sarebbe già incredibile trovare i famosi “venticinque lettori“, di manzoniana memoria, che possano onestamente dichiarare di aver letto almeno qualche pagina dei loro scritti.
Con questo non voglio sostenere che ai filosofi non sia mai capitato di dire corbellerie. Anzi, non c’è praticamente filosofo che non abbia accusato un collega di “bêtise” (stupidità) o che addirittura non l’abbia insultato: basterebbe pensare a Schopenhauer che definì la “trimurti” formata da Fichte, Schelling ed Hegel, “congrega dei cialtroni”. Ma in fondo, come diceva Rosa Luxembourg, “la libertà è sempre quella di colui che la pensa in modo diverso“, il che peraltro non include l’insulto.
Che poi i filosofi si possano definire “star, come i sofisti greci“, non potrebbe che essere commentato con un “magari!“, se non altro per riaccendere qualche speranza circa gli interessi di noi italiani…
Quanto poi ai Sofisti, sì, è vero che erano delle star, ma oserei dire… per fortuna! Furono quelli che, girando da una città all’altra, osarono mettere in discussione una tradizione secolare fondata sul mito, sull’autorità incontrastata della legge, sul carattere assoluto della morale, sull’esistenza di una verità universale.
E furono anche i primi ad accantonare lo studio della natura per concentrarsi sull’uomo, in un certo senso facendo da battistrada allo stesso Socrate; così “moderni” da parlare per la prima volta di relativismo della conoscenza, mettendo in evidenza quanto le leggi e gli stessi valori morali possano essere condizionati dalla società, dall’ambiente, dai costumi. Ci sarà pure un motivo se la Sofistica è stata definita l'”Illuminismo greco“!
Maestri di retorica? Sì, anche, ma la democrazia ateniese, pur nei suoi limiti, di questo aveva bisogno, di qualcuno che sapesse parlare, difendere una causa, sostenere una tesi, controbattere un’affermazione. Vogliamo metterli a confronto con le attuali star? Tronisti, influencer, opinionisti, il più delle volte incapaci di mettere insieme due parole in croce?
Ma c’è di più: identificare la cosiddetta “vocazione politica della filosofia“, con la pura e semplice “smania di lanciare sul mercato delle opinioni qualche idea da impugnare“, mi sembra francamente inaccettabile. Soprattutto se questo giudizio si ferma per un attimo a prendere in considerazione la…”statura“, quella etica, ben inteso, dei nostri politici, quotidianamente impegnati – loro sì! – a fare le star. In un mondo ammalato di apparenza e con l’ossessione della visibilità, perché accusare proprio i filosofi di cercarla? Tra tante stelle, stelline e stellette, più o meno splendenti, perché non concedere un pezzetto di cielo anche a loro? Magari se ne ricaverebbe una maggiore familiarità con il pensiero, merce – ohimè – sempre più obsoleta.
Per carità, non nego che siano a volte noiosi, talvolta criptici, perfino un po’ tronfi, ma sinceramente vi dirò che continuo a preferire loro ai tristi figuri che ogni giorno eleggiamo a nostri numi tutelari.
Maddalena Vaiani
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Nell’immagine: il retro di un tetradramma d’argento, coniato ad Atene nel VI secolo a.C., in cui campeggia una civetta, animale sacro alla dea Atena, la cui testa era raffigurata sul dritto della moneta