Guarisci figlia mia
Hernàn Huarache Mamani, “La profezia della Curandera”
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John Bond Francisco, “Il bambino malato”, 1893
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Lente d’ingrandimento
Mahbubeh Ebrahimi, “Lente d’ingrandimento”
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Foto di Emily Garthwaite, “Mother & Daughter in Herat”
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Bambina mia
“Bambina mia,
Per te avrei dato tutti i giardini
del mio regno, se fossi stata regina,
fino all’ultima rosa, fino all’ultima piuma.
Tutto il regno per te.
E invece ti lascio baracche e spine,
polveri pesanti su tutto lo scenario
battiti molto forti
palpebre cucite tutto intorno.
Ira nelle periferie della specie.
E al centro,
ira.
Ma tu non credere a chi dipinge l’umano
come una bestia zoppa e questo mondo
come una palla alla fine.
Non credere a chi tinge tutto di buio pesto e
di sangue. Lo fa perché è facile farlo.
Noi siamo solo confusi, credi.
Ma sentiamo. Sentiamo ancora.
Sentiamo ancora. Siamo ancora capaci
di amare qualcosa.
Ancora proviamo pietà.
Tocca a te, ora,
a te tocca la lavatura di queste croste
delle cortecce vive.
C’è splendore
in ogni cosa. Io l’ho visto.
Io ora lo vedo di più.
C’è splendore. Non avere paura.
Ciao faccia bella,
gioia più grande.
L’amore è il tuo destino.
Sempre. Nient’altro.
Nient’altro. Nient’altro.”
Mariangela Gualtieri
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Andrei Popov, “Crescere un figlio”
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Figlio
Annarita Campagnolo, “Figlio”
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Thomas Benjamin Kennington, “Senzatetto”, 1890
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Per le figlie imperfette
Ijeoma Umebinyuo (scrittrice e poeta nigeriana)
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Tomba di Menna (Antico Egitto), Madre con il neonato nella fascia, 1422-1411 a.C. (Pittura parietale)
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Congedo
“Parti da te, figlio… da quello che sei.
Bisogna morire per imparare?
Mi chiedi.
Sì, figlio, per imparare qualcosa deve morire.
Tu non lo sai e non devi saperlo,
ma il cuore, con l’età, si restringe.
Non è più tanto capiente, immenso,
come all’inizio dei giorni.
Tra non molto gli abbandoni conteranno anch’essi.
Ma ora il tuo cuore è una piazza sconfinata,
e ti fa credere che sopravviverai
senza dover rinunciare a niente,
capirai, col tempo, quanto sia difficile trattenere
ogni cosa, ogni pensiero, ogni persona…
Sei nell’euforia di tutti gli inizi.
Qualcuno dovrà morire perché tu viva.
Domani, quando chiamerai, io non ci sarò,
ma solo perché tu possa esserci,
quando chiameranno te.”
Marcello Fois, “Congedo”, da “L’infinito non finire”
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Berthe Morisot, “La culla”, 1872
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Al figlio
“Io non potrò farci nulla quando il dolore ti colpirà
e farà con te come il mare fa con le alghe, la sabbia e gli scogli.
Starò male perché tu stai male ma attenderò vicino a te
che abbia prima o poi fine la notte in cui tutte le vacche sono nere.
Non potrò farci nulla neanche quando sentirai
che questo mondo, comunque sia, è stato fatto proprio per te
e la felicità ti renderà stupido come un animale
che per la prima volta vede un’eclissi di luna.
Sarò felice perché tu sarai felice e chiederò al primo dio
che accetterà la mia preghiera di perdonarti
se crederai che quell’attimo è l’eternità.
Mi chiederò qualche volta che ne sarà di te
quando non ci sarò più. E immaginerò quelli che verranno
dopo di noi, nati da noi, fra cento e mille anni.
Se saranno biondi, e se avranno occhi chiari o scuri,
e se saranno crudeli o teneri, come a seconda delle circostanze,
lo sono stato io, e lo sarai anche tu.
Fingerò di sapere anche che la morte non è la fine di tutto,
come vogliono i poeti, i santi e gli innamorati.
Giocherò con i tuoi figli e mi ci proverò a insegnare anche a loro
che si possono chiudere le stelle nelle mani e poi aprirle
e fare
paff!
e la stella è lì davanti a te, tutta tua,
prima di perdersi nel buio della notte.
Ma io non potrò farci nulla quando sarà l’ora di andare.
Ti lascerò solo con il tuo dolore. E con i ricordi
che mi faranno vivere ancora per trenta o sessant’anni
ogni volta che ti sembrerà di sentirmi vicino a te.
Poi sarà come se non fossi mai vissuto.
Lo stesso accadrà a te.
Fra due o trecento anni solo noi sapremo
d’essere vissuti, ma non potremo raccontarlo a nessuno.”
Henry Moonlock (eteronimo di Emilio Piccolo), “Al figlio”
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William-Adolphe Bouguereau, “Riposo”, 1879
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Figlia
“Conoscerai la luce, il mare mutevole
che è all’origine e al termine del mondo
le formiche laboriose sparse lungo il sentiero
che replicano l’inutile affanno degli uomini.
Conoscerai la sete di acqua e di vino
e quella dei corpi, molto più terribile
che non riuscirai a spegnere o forse non vorrai.
Conoscerai la fiamma, la rosa e il cristallo.
La felicità, naturalmente, ne conoscerai una parte,
soffice nuvola senz’ aria che passò o non è passata ancora,
la musica scatenata che è,
come il tempo, un artificio.
Non potrei dimenticare le ingiustizie che farai
e quelle che ti saranno fatte,
il grido, il muro, la folla,
le innumerevoli ore di trambusto quotidiano
necessarie per un minimo di tranquillità
e quella notte di pioggia in cui sarai molto sola.
Conoscerai anche la statua, il libro, lo specchio,
il lampo e la coppa,
il sangue che scorre in cerca di una via d’uscita
la mosca ostinata, l’ inevitabile morte
a cui non dovrai permettere di avvicinarsi.
Un sogno ineluttabile sa già dei tuoi giorni.
Numeri, padri, fiumi, ombre,
luna – splendido dolore –
ti aspettano.”
Fernando Aramburu (poeta e scrittore basco), “Figlia”
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Tamara de Lempicka, “Matenity”,1928
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Figlio
“Quanto sono misteriose le tue stanze
amore mio.
Le uniche che non riesco a spolverare e arieggiare.
Com’è impenetrabile
il silenzio nel tuo mondo
e per quanto tenda l’orecchio
nulla mi arriva dei sogni che fai.
Com’è quieto il tuo sguardo
sul futuro
e quanto generose le scoperte di oggi.
Vorrei essere il tuo sherpa
ma ho piedi piccoli
e spalle delicate
e ancora tante vette sospese
nei progetti passati.
Quando vorrai
mi troverai al campo base.”
Annarita Campagnolo, “Figlio”
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Non somigliarmi
“Non somigliarmi,
non avere, con me, niente in comune,
lascia che sia, ogni volta,
l’imprecisa dolcezza di un saluto
a condurre i tuoi passi
e quel tremore trepido che guarda
il niente per cui è dato consegnarsi.”
Francesco Scarabicchi, “Non somigliarmi”, da “Il prato bianco”
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Paul Gauguin, “La Orana Maria”, 1891
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Il figlio
Pablo Neruda, “Il figlio”
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Margarita Sikorkaia
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A mio figlio
Nazim Hikmet
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Fausto Pirandello, “Padre e figlio”, 1934
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E chi glielo dice adesso ai miei figli
“E chi glielo dice adesso ai miei figli
Che tutto questo rumigare nelle pieghe della vita.
Tutto questo frugare il femminile
Tutto questo lunghissimo fuggire.
Interrotto da brevissimi lampi di presenza.
Che tutto questo sostanzialmente
Si potrebbe definire come
Inutile
Stupendamente Stupefacentemente Meravigliosamente
Inutile
E chi glielo dice che mentre sono qui
In preda all’ansimare
Di una probabile fine della corsa
Se proprio devo dire cosa sento
Dico che di questa inutilità sono contento.
Niente
Non sei servito a niente
Non hai cambiato il mondo di un millimetro
Il mondo invece a te ti cambiato tante volte
E adesso sei qui tornato da dove eri partito
In modo che si potrebbe quasi dire
Che l’unico moto di rivoluzione che hai compiuto
E’ stato nel fare il giro di te stesso.”
Marco Armando Ribani
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Gino Severini, “Maternità”, 1916
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I vostri figli
“… E una donna che aveva al seno un bambino disse: parlaci dei figli. Ed egli rispose:
I vostri figli non sono figli vostri…
sono i figli e le figlie della forza stessa della Vita.
Nascono per mezzo di voi, ma non da voi.
Dimorano con voi, tuttavia non vi appartengono.
Potete dar loro il vostro amore, ma non le vostre idee.
Potete dare una casa al loro corpo, ma non alla loro anima, perché la loro anima abita la casa dell’avvenire che voi non potete visitare nemmeno nei vostri sogni.
Potete sforzarvi di tenere il loro passo, ma non pretendere di renderli simili a voi, perché la vita non torna indietro, né può fermarsi a ieri.
Voi siete l’arco dal quale, come frecce vive, i vostri figli sono lanciati in avanti.
L’Arciere mira al bersaglio sul sentiero dell’infinito e vi tiene tesi con tutto il suo vigore affinché le sue frecce possano andare veloci e lontane.
Lasciatevi tendere con gioia nelle mani dell’Arciere, poiché egli ama in egual misura e le frecce che volano e l’arco che rimane saldo.”
Kahlil Gibran, da “Il Profeta”
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I padri sono figli
“Una delle cose più belle dell’essere padre è
che non bisogna smettere di essere figli.
In effetti non c’è scelta.
I padri sono figli: entrambi soggetto e predicato,
che si godono il privilegio di essere due, in uno.
II padre-e-figlio fortunato può trovare
sostegno in due direzioni: saggezza, forza
e compassione nel padre, intuito e gioia nei figli.
Il bambino può essere padre dell’uomo, e se guardi
da vicino negli occhi di tuo figlio, probabilmente
vedrai gli occhi di tuo padre che ti restituiscono lo sguardo.”
Jon Steewart, “ I padri sono figli”
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Diego Rivera, “La noche de los pobres”, 1928
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In evidenza: Foto di Masoud Mirzaei