“Mia nonna faceva parte del primo movimento femminista del Mali. Sono cresciuto con questa educazione e formazione politica. Per me è un dovere civico combattere un sistema che oggi non va bene né per gli africani né per gli occidentali. Ovunque sarò, continuerò la mia lotta politica contro il sistema capitalista.”
Si chiama Soumaila Diawara, è nato nel 1988 a Bamako, dove ha conseguito la laurea in in Scienze Giuridiche e una specializzazione in Diritto Privato Internazionale.
“Dopo sei anni di lavoro con il partito [il partito di opposizione al governo malese: “Solidarité Africaine pour la Démocratie et l’Indépendance”. N.d.r.], avevamo creato una rete con la gioventù all’interno di altri partiti. Questa rete dava molto fastidio al governo perché forniamo una comunicazione chiara alla gente, raccontandogli come stavano realmente le cose. Abbiamo continuato a combattere il sistema, fin quando non è scoppiata la guerra in Libia. Da quel momento la Nato ha messo in mano ai ribelli 40 tonnellate di armi, che sono arrivate fino in Mali dove è scoppiata la guerra, a cui, ancora una volta, è seguito un colpo di Stato nel marzo del 2012. Durante la transizione democratica abbiamo organizzato una conferenza nazionale dove avremmo deciso chi fosse il Presidente, carica occupata nel frattempo dal Presidente del Parlamento. L’aggressione a quest’ultimo era una scusa per far fuori l’opposizione e così tante persone sono finite in carcere o scappate come me.”
Costretto ad abbandonare il Mali nel 2012, segue il destino di tanti altri disperati, tentando la fuga su un gommone. Due anni dopo, arriverà in Italia.
“Oggi si vive una situazione abbastanza difficile. Sento dire che essere un immigrato è sinonimo di inferiorità e che è colui che deve lavorare nei campi o fare lavori sottopagati. Negli ultimi anni sono cambiate tante cose nella politica italiana e questo ha portato molte persone, che non capiscono quali siano i reali problemi del Paese, ad avere un atteggiamento d’odio nei confronti di altri esseri umani come loro, che non hanno colpe e vivono la stessa condizione di povertà.”
“Sogni di un uomo” è il suo primo libro: una raccolta di poesie.
“Ma quando mi chiedono che tipo di poesie sono gli dico che le mie sono diverse, sono politiche, non siete abituati a sentirle. Il mio sogno è che ognuno possa vivere in sicurezza, abbia il diritto alla casa, all’istruzione, non muoia di fame o sia costretto a dormire per strada, come accade in Africa, soprattutto ai bambini. Bambini che sono il futuro di questo mondo e che invece di essere sfruttati nelle miniere dovrebbero andare a scuola.”
(Brani tratti da un’intervista di Youssef Hassan Holgado: “Sogni di un uomo: la storia di Soumalia Diawara“, inserita sul sito “Generazione Zero” il 03/04/2019)
Mio nonno
Ricordo un insegnamento di mio nonno.
“Tutti lotteranno contro tutti.
Come i maialini per il cibo,
così gli uomini per il potere.
Chiunque veda negli altri un nemico,
non è altro che un uomo
inconscio di esserlo.
Privo di logica e desideroso
di essere veduto.
È per questo che bisogna opporre
il mare alla bombe,
l’aria alle pallottole,
il cielo all’odio.
E per farlo, è necessario essere coscienti.
Consapevoli della stessa valenza
che hanno gli altri.
Del loro stesso sangue rosso.
Delle loro differenze.
Dei loro usi e valori,
derivati da una nascita
non da loro programmata.
Da’ vita a loro ed avrai esistenza.
Poiché il fiato, senz’acqua,
è mera illusione.”
È piacevole il suono di noi
“Così tanto da usarlo, il noi.
senza ritegno alcuno
nel giustificare atti e fatti,
che a volte vanno oltre l’orrore.
Il noi è il plotone di esecuzione;
dieci fucili per un corpo.
Dieci pallottole per togliere una vita.
Il Noi toglie il rimorso. Giustifica il male.
Noi dell’Italia.
Noi del Sud.
Noi Maliani.
Noi Africani.
Si perde la propria identità
per l’interesse di un gruppo
Poiché il proprio essere si percepisce
come inadatto, piccolo.
La paura spinge all’alleanza.
Fa abbandonare parte di se stessi
per potersi ricongiungere in un tutto
che non capiamo appieno,
ma di cui godiamo.
Godiamo, per la sensazione di insieme
che ci procura e, dunque, di forza.
Noi, che viviamo, siamo.
Esistiamo.
Noi, non siamo diversi da voi.
Respiriamo, abbiamo progetti.
Vorremmo essere felici.
Noi siamo come voi
e vediamo voi come noi,
chiunque siate.
Noi, siamo il popolo della terra.
Uomini, donne e bambini.
Adulti ed anziani.
E non abbiamo muri,
ma cuori.”
Le belle persone
“Ho sempre pensato che le ‘belle’ persone
non siano né facili né scontate.
Le belle persone non sono
nemmeno per tutti, perché non si fanno attraversare da tutti
e nemmeno tutti sono in grado di farlo.
Le immagino come una rosa.
Non le puoi raggiungere sentendo
solo il profumo o ammirandone i colori.
Non le conosceresti mai a fondo.
Le belle persone spesso hanno passati
ingombranti, la pelle graffiata.
Per arrivare al cuore
devi passare dalle spine.
Graffiarti, mischiare il sangue,
asciugare le lacrime che bagnano il cuore,
scambiarci la pelle, l’odore.
Sono infatti convinto
che le belle persone non profumano.
Le belle persone lasciano segni.
Graffiano.”
Rispetto per me
“Abbiate rispetto per me.
Non per il deserto,
tanto meno per il mare.
Che niente sono dinanzi alla solitudine.
Mostrate rispetto,
perché io ho lasciato tutti
e voi mi lasciate solo.
Ed in quella bolla del nessuno,
il freddo è il mio compagno,
il buio suo figlio.
Abbiate rispetto per me,
un uomo che sognava umanità
e ha trovato un carcere.
I figli costretti
L’occidente costringe i figli dell’Africa
a scegliere tra tre viaggi.
Il più veloce e sicuro
Quello provocato dalle pallottole micidiali
e dalle bombe fabbricate da mani straniere.
Poi quello lento ed asfissiante
della fame e della malattia.
Che lascia la pelle sulle ossa.
E rende anche i raggi del sole
un peso sulle spalle.
Infine c’è il deserto e il mare.
Dove le probabilità,
un poco
sono più alte.
La nostra ombra
“Persino la nostra ombra,
ci rende simili.
È il buio dentro di noi
a far differenza.
Perciò, siate luce per l’oscurità altrui.
E non tenebre.”
Soumaila Diawara, poesie tratte da “I sogni di un uomo“
“Non basta parlare la stessa lingua
per capirci, l’arringa è verbo,
la fiducia è cuore”