«Regina reginella,
quanti passi devo fare
per arrivare al tuo castello
con la fede e con l’anello,
con la punta del coltello?»
Ve lo ricordate? Un gioco che chissà quanti di noi hanno fatto da bambini. E chissà quante volte. C’è una regina (oppure un re) e poi ci sono gli ambasciatori, che devono raggiungerla. E la regina o il re di turno regalano ad ogni ambasciatore un certo numero di passi, che possono essere, per esempio, lunghi e potenti come quelli del leone, o piccolini e incerti come quelli della formica. Passi che saltano agilmente come il canguro o che costringono ad arretrare, come fa il gambero.
Il re o la regina sono sovrani, di nome e di fatto, per cui possono assegnare quanti e quali passi vogliono. Di solito la scelta è dettata dalla simpatia o dall’antipatia che i “regnanti” nutrono per gli ambasciatori. Io, per esempio, che non ero certo un tipetto simpatico, di solito mi facevo il cammino di Santiago!
Né mi ricordo di essere mai arrivata a regnare… Che sia nata da qui la mia passione libertaria?
Resta comunque il fatto che questo è un gioco poco o per nulla apprezzato dagli educatori: “Non va bene per i bambini. – Mi spiegò una volta una maestra. – Troppo arbitrario, troppo basato sulle simpatie individuali. È decisamente diseducativo“. Infatti, a quanto mi risulta, sta gradatamente scomparendo.
Ed è uno dei pochi giochi di cui non si conosce l’origine: si dice, infatti, che sia nato spontaneamente, forse dall’inventiva di qualche bambino. Ne dubito. In genere i bambini, pur nella loro selettività, sanno essere più democratici.
Eppure c’è, in questo gioco, una sorta di sapienza antica, o meglio, di saggezza. C’è sempre qualcuno che regna nella nostra vita: padre, madre, marito, moglie, amante. C’è sempre qualcuno che assecondiamo, il più delle volte senza esserne consapevoli, o addirittura riuscendo a convincere noi stessi che non sia così e che siamo liberi di scegliere come e quanto vogliamo. E i passi assegnati dipenderanno dalla qualità dell’amore che riceviamo. La mancanza dell’amore, il troppo amore, l’amore “malato” non ci faranno mai arrivare da nessuna parte. Oppure ci costringeranno a retrocedere.
C’è sempre qualcuno o qualcosa che ci detta le regole da seguire: famiglia, religione, società, legge. E i passi saranno stabiliti dalla fortuna, dalla posizione sociale, dalla ricchezza, qualche volta perfino dal merito.
Ma chi decide chi sarà il primo re o la prima regina? Dio, la vita, il caso?
Accade come nella filosofia di Platone, impigliata tra libertà e necessità: l’anima, come racconta il mito di Er (Platone, “Repubblica“), ha la possibilità di scegliere in quale corpo incarnarsi, ma una sola volta. E questa scelta iniziale resterà definitiva. “Ananke“, la Necessità, impone le sue regole, forse in questa stessa ipotetica “scelta” iniziale dell’anima e poco importerà cosa “accadrà” in seguito.
“Il tempo” – scrive Eraclito – è un bambino che gioca a dadi col mondo“.
Ma forse il vero sovrano è proprio lui, il gioco, di cui accettiamo le regole senza neppure tentare di ribellarci, che subiamo, o meglio, che accettiamo di subire. Giochiamo – direbbe Gadamer – ma essendo in realtà giocati, “vogliamo ciò che il gioco vuole” e che pretende da noi. Ben poco, insomma, il gioco ha di ludico: è piuttosto uno specchio del nostro esistere, “nel quale spesso in modo sorprendente e spesso in modo estraneo, ravvisiamo noi stessi: come siamo, come potremmo essere e che cosa ne è di noi” (Hans-Georg Gadamer, “Attualità del bello“).
Il gioco, quindi, possiede una sua intrinseca verità. La “mimesis” che mette in atto non è pura e semplice “imitazione“, ma è il “riconoscimento” della verità.
“Nella rappresentazione del gioco viene in luce ciò che è. In essa viene tratto in luce ciò che altrimenti si sottrae e si cela” (H. G. Gadamer, “Verità e metodo“).
Forse davvero “Regina reginella” racchiude il senso di un’esistenza che oggi ci appare priva di senso, con quell’allusivo, irrisolto e irresolvibile mistero del primo re o della prima regina.
Gli dei, la natura, la sorte?
E quanto al resto, sta a noi dargli un senso, magari scegliendo da soli quanti e quali passi intendiamo fare nel mondo.
“La struttura ordinata del gioco assorbe in sé il giocatore e lo libera dal dovere di assumere l’iniziativa, dovere che costituisce il vero sforzo dell’esistenza“.
«Regina reginella, quanti passi devo fare…»
Maddalena Vaiani
Foto di Sonia Simbolo