Giuseppe Ungaretti, “Senza più peso“, da “Il sentimento del tempo”
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Foto di Mario Ditiz
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I trentatre nomi di Dio
Mare al mattino
Rumore della sorgente nelle rocce sulle pareti di pietra
Vento di mare a notte su un’isola
Ape
Volo triangolare dei cigni
Agnello appena nato – bell’ariete – pecora
Il tenero muso della vacca – Il muso selvaggio del toro
Il muso paziente del bue
La fiamma rossa nel focolare
Il cammello zoppo che attraversò la grande città affollata andando verso la morte
L’erba – l’odore dell’erba
Disegno, asterischi o stelline
La buona terra – La sabbia e la cenere
L’airone che ha atteso tutta la notte, intirizzito, e che trova di che placare la sua fame all’aurora
Il piccolo pesce che agonizza nella gola dell’airone
La mano che entra in contatto con le cose
La pelle – tutta la superficie del corpo
Lo sguardo e quello che guarda
Le nove porte della percezione
Il torso umano
Il suono di una viola o di un flauto indigeno
Un sorso di una bevanda fredda o calda
Il pane
I fiori che spuntano dalla terra a primavera
Sonno in un letto
Un cieco che canta e un bambino invalido
Cavallo che corre libero
La donna – dei – cani
I cammelli che si abbeverano con i loro piccoli nel difficile wadi
Sole nascente sopra un lago ancora mezzo ghiacciato
Il lampo silenzioso – Il tuono fragoroso
Il silenzio fra due amici
La voce che viene da est, entra dall’orecchio destro e insegna un canto.
Marguerite Yourcenar, “I trentatre nomi di Dio”
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Signore insegnami
“Signore, insegnami
a intraprendere un nuovo inizio,
a rompere gli schemi di ieri,
a smettere di dire a me stesso:
“non posso” quando posso,
“non sono” quando sono,
“sono bloccato” quando sono totalmente libero.”
Rabbi Nachman di Braslav (1772-1810), teologo e rabbino ucraino
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Volturno Morani, “Le sette opere del Padre Nostro”
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Preghiera laica
“Dio benedica le rovine, le macerie, le certezze che crollano, i rapporti che vanno a puttane.
Dio benedica la rabbia, quando si trasforma in successo. E i fallimenti, che ti
danno l’esatta misura di quanto, ognuno di noi, sia meravigliosamente umano.
Dio benedica i punti esclamativi, messi lì a dire: “Basta!”
Benedica i calci in culo. Quelli presi e quelli dati.
Dio benedica la parola “fine”, quando questa è sinonimo di “liberazione”.
Dio benedica i sensi di colpa, se equivalgono ad un esame di coscienza.
Dio benedica gli esami di coscienza, perché implicano la tacita necessità di
averne una.
Dio benedica le nevrosi, quando la pazienza non è più la virtù dei forti, ma la
rassegnazione di chi si è arreso, o l’indifferenza di quanti non si lasciano toccare dalla vita e dalle sue storie.
Benedica le urla. Perché non è vero che: “chi tace, acconsente”. Talvolta, chi
tace è semplicemente uno che non ha coraggio abbastanza per dire.
Dio benedica l’amore che logora e che fa male. Le cicatrici serviranno a
ricordare che molti dolori te li sei cercati. Ora smetti, per favore.
Dio benedica l’attesa, se la sola alternativa è scegliere di accontentarsi.
E’, senza dubbio, preferibile l’assenza di ciò che ami davvero alla presenza di ciò che ti convinci di volere.
Dio benedica i sassolini nelle scarpe. Quando, finalmente, puoi liberartene.
Benedica i coglioni che si rompono. E i cantastronzate di cui è pieno il mondo.
Dio benedica la distruzione. Poiché da essa, e da essa soltanto, nasce la trasformazione.”
Antonia Storace, “Preghiera laica”, da “Donne al quadrato”
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Padre nostro
“Padre nostro,
che sei nei cieli,
scendi!
Siediti,
prendici
e poi tienici,
con le braccia possenti,
sollevaci come solo i padri,
e ascoltaci come fossi dentro,
come se
tu fossi.
Esisti,
resisti,
insisti
e poi insegna
a fare uguale.
Dacci il pane,
dacci tempo,
dacci un talento;
oppure
solo amore,
consueto,
consensuale,
mansueto e congeniale,
e che duri
che non spergiuri
che ci veda e che si veda,
che ci creda.
E liberaci dalla paura,
dallo squillo
del telefono
di notte,
dalle botte,
dalle notti dei giorni,
dal non essere capaci,
dal sentirci meno belli,
o inadatti o soli o inetti,
dal non essere migliori,
dal non sentirci tuoi figli tutti,
dal non sentire i battiti,
i nostri e quelli
degli altri;
dalle porte chiuse,
dal non aprire,
Liberaci dal male.
Liberaci.”
Beatrice Zerbini
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Salvador Dalì, “L’ ultima cena”, 1955
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Insegnami l’arte dei piccoli passi
“Insegnami l’arte dei piccoli passi
Non ti chiedo né miracoli né visioni
ma solo la forza necessaria per questo giorno!
Rendimi attento e inventivo per scegliere
al momento giusto
le conoscenze ed esperienze
che mi toccano particolarmente.
Rendi più consapevoli le mie scelte
nell’uso del mio tempo.
Donami di capire ciò che è essenziale
e ciò che è soltanto secondario.
Io ti chiedo la forza, l’autocontrollo e la misura:
che non mi lasci, semplicemente,
portare dalla vita
ma organizzi con sapienza
lo svolgimento della giornata.
Aiutami a far fronte,
il meglio possibile,
all’immediato
e a riconoscere l’ora presente
come la più importante.
Dammi di riconoscere
con lucidità
che le difficoltà e i fallimenti
che accompagnano la vita
sono occasione di crescita e maturazione.
Fa’ di me un uomo capace di raggiungere
coloro che hanno perso la speranza.
E dammi non quello che io desidero
ma solo ciò di cui ho davvero bisogno.
Signore, insegnami l’arte dei piccoli passi.”
Antoine de Saint-Exupéry
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Preghiera
“Che le cose rimangano come sono
nel luogo più semplice che conosci.
Che le persiane chiuse
mantengano l’aria fresca come essenza di gelsomino.
Che tu non possa mai scordarti di ascoltare
il gualcito sussurrare delle lenzuola
che modellano la tua forma dormiente.
Che i cuscini siano sempre argentei
di pelo di gatto e della tenue percussione
del respiro di un amante.
Che l’orologio a muro
continui a decretare
che la tua provvidenza
è dieci minuti in ritardo.
Che niente venga disturbato
nel luogo più semplice che conosci
perché è qui nel silenzio fetale
che i progetti si dissolvono
e cominciano le poesie,
e la fede si diffonde come il ronzio dei grilli,
fede in un tempo
in cui le mappe sbiadiranno,
la nostalgia cesserà,
e la veglia sarà finita.
E che i vasti campi screziati di luna,
le montagne opalescenti di neve inondata di sole,
risuonanti del riso di tutti i buddha,
non siano mai più lontani di un sogno.”
Arundhathi Subramaniam, “Preghiera”, da “A una poesia non ancora nata”
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Quando Dio è un viaggiatore
(riflettendo su Kartikeya/Muruga/Subramania, che si chiama come me)
“Confida nel dio
tornato dai viaggi,
nella sua voce di crusca
(e di camomilla),
nel suo neem, albero di saggezza,
nel suo pavone dalle piume sudate,
appisolato nell’ombra.
Confida in lui
che siede muto sulle panchine
ad ascoltare le grida dei bimbi
dissolversi all’imbrunire,
nello sguardo svuotato di erranza,
nel cuore privo di possesso.
Confida in lui
che ha visto abbastanza –
rivoluzioni, promesse, la luce disperata
dei centri commerciali, stanze d’ospedale,
manifesti, teologie, il gusto ferroso
del sangue, i grandi crateri nel mezzo all’amore.
Confida in lui
che non rivendica più
il premio al fratello,
la partigianeria ai genitori.
Confida in lui
che ha corso la sua corsa,
ma ancora gli resta il viaggio,
in lui che svetta irrorato di linfa
sapendo di essere lui l’albero
che dà frutti, festoso
di sole.
Confida in lui
che ti riconosce –
augurante, abbondante, ferita in battaglia,
viva –
e che sa da dove vieni.
Confida nel dio
pronto a fare ancora il giro del mondo
senz’altra ragione
che vederlo, stavolta,
attraverso i tuoi occhi.”
Arundhathi Subramaniam, da “A una poesia non ancora nata”
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Giulio Romano, “La Sala dei Giganti”, 1532-1535 (Palazzo del Te, Mantova)
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Preghiera
“Per i miei giorni chiedo,
Signore dei naufragi,
non acqua per la sete, bensì la sete,
non sogni
bensì la voglia di sognare.
Per le notti,
tutta l’oscurità necessaria
per affogare la mia oscurità.”
Piedad Bonnett (poetessa colombiana), “Preghiera”, da “Stratagemmi del debole”
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Preghiera di un disoccupato
“Padre,
dai cieli scendi, ho dimenticato
le preghiere che m’insegnò la nonna,
poverina, lei adesso riposa,
non deve più lavare, pulire, non deve
preoccuparsi d’andare di giorno per i vestiti,
non deve più fare le nottate, pena e pena
pregare, chiederti delle cose, brontolarti dolcemente.
Dai cieli scendi allora, se sei lì, scendi
che muoio di fame in quest’angolo,
che non so a che mi serve di esser nato,
che guardo le mie mani rifiutate,
che non c’è lavoro, non c’è,
scendi un po’, guarda
questo che sono, questa scarpa rotta,
questa angoscia, questo stomaco vuoto,
questa città senza pane per i miei denti, la febbre
che mi scava la carne,
questo dormire così,
sotto la pioggia, castigato dal freddo, perseguitato
ti dico che non capisco, Padre, scendi,
toccami l’anima, guardami
il cuore!
io non ho rubato, non ho assassinato, fui bambino
e invece mi colpiscono e mi colpiscono,
ti dico che non capisco, Padre, scendi
se sei lì, che cerco
rassegnazione in me e non trovo e vado
a farmi prendere dalla rabbia e ad affilarla
per colpire e vado
a urlare col sangue al collo.”
Juan Gelman, “Preghiera di un disoccupato”
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Preghiera di un soldato di notte
“Chi ha costruito una casa nuova e non l’ha abitata
chi ha piantato una vigna e non ne ha raccolto
chi ha una ragazza promessa e non l’ha presa
vada alla sposa, all’uva, al focolare
e ne goda possesso per un anno
prima di unirsi agli altri nella guerra.
Infine chi ha paura, chi è tenero di cuore
resti a casa e non sciolga il coraggio
ai suoi fratelli in guerra.
Ho letto queste regole nei libri sacri
e ho avuto desiderio di appartenere a un popolo antico
di buon cuore con la gioventù.
Perché ho lasciato il raccolto in fiore
la casa senza tetto
e la ragazza al treno.
Sono di sentinella sulla notte
da una cresta di vetta
in una guerra insonne.
Le mitraglie sfracellano ghiaccio a lume di luna
aspetto che mi scuota il tremito del gelo
per tremare senza la vergogna.
Ho paura del cielo, che non faccia giorno
ho paura del suolo, che m’inghiotta vivo
ho paura del fiato che sale bianco al buio
e fa di me un bersaglio,
ho paura Signore: perché a me questo?
Perché non ho diritto a vivere
e devo invece chiedere in ginocchio ?
Non mi basta il domani, io voglio la durata
abituarmi agli anni, andare alle nozze dei figli
e in questa notte di bestemmia anche alle loro tombe.
Voglio avere sonno accanto alla ragazza
quando avrà i capelli bianchi.
Perché ti devo chiedere in ginocchio
di vivere, sfruttare fino a feccia
la vita che mi riempie ?
Chi di noi avrà diritto a questo
non sarà il più giusto, né il migliore,
potrei essere anch’io, Signore, le tue stelle
spegnile con le nuvole
ch’io resti invisibile alla mira
e al casaccio di schegge, ma pure se non puoi
proteggermi o non vuoi
non mi lasciare il corpo sopra i sassi
e gli occhi non li dare ai corvi.
Non mi chiedere conto delle collere
contro di te, non so pregare in pianto.
Quando gela non escono le lacrime,
piangerò in primavera.
Erri de Luca, “Preghiera di un soldato di notte”
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Preghiera del miscredente
“L’importante è pregare, non importa chi,
che le domande siano le preghiere
del pensiero, piantino i loro semi
nella nostra solitudine, e non ci sia pace
che, a forza di insistere, sia capace
di non esistere, non abbia altra scelta
che rispondere alla voce di chi la chiama.
Che Dio non esista, è
forse una ragione per non credere in lui?
Dio è il nome della sete, il destino
e la voglia di questa solitudine
che entrambi siamo.
Di nessuno parlo con dio, di dio con nessuno.
Lo scrivo con attenzione e con la minuscola.
Io sono ateo e laico ogni giorno.
Ma ci sono notti amniotiche
in cui la mia anima prega in ginocchio
non importa chi,
chiede, spera, implora.
E la mia anima in ginocchio è una candela
alla cui luce, nella cui notte, scrivo.”
Juan Vicente Piqueras, “Preghiera del miscredente”
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Preghiera del buonumore
“Dammi, o Signore, una buona digestione
ed anche qualcosa da digerire.
Dammi la salute del corpo,
col buonumore necessario per mantenerla.
Dammi o Signore, un’anima santa,
che faccia tesoro di quello che è buono e puro,
affinché non si spaventi del peccato,
ma trovi alla Tua presenza
la via per rimettere di nuovo le cose a posto.
Dammi un’anima che non conosca la noia,
i brontolamenti, i sospiri e i lamenti,
e non permettere che io mi crucci eccessivamente
per quella cosa troppo invadente che si chiama “io”.
Dammi, o Signore, il senso dell’umorismo,
concedimi la grazia di comprendere uno scherzo,
affinché conosca nella vita un po’ di gioia
e possa farne parte anche ad altri.”
Thomas More, “Preghiera del buonumore”
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Vesa Stella (artista rumena)
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Alba
“Non so quando spunterà l’alba
non so quando potrò
camminare per le vie del tuo paradiso
non so quando i sensi
finiranno di gemere
e il cuore sopporterà la luce.
E la mente (oh, la mente!)
già ubriaca, sarà
finalmente calma
e lucida:
e potrò vederti in volto
senza arrossire.”
David Maria Turoldo, “Alba”, da “Canti ultimi”
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Preghiera d’aprile
“Preghiamo
per il risveglio del serpente,
per il cane e la lumaca,
per le cose che si dicono gli alberi.
Preghiamo
per chi ha le vene più sottili della luce,
per i fiumi spariti, per le rocce frantumate,
Preghiamo
per chi non è più amato,
per chi non lo è stato mai,
per chi è stanco di essere spaccato in due,
per chi ama la gioia e cerca i guai.
Preghiamo
per chi non si è fatto ramo,
nuvola, imbuto, per chi non
arrivato e non arriverà mai
nel circo equestre del creato.
Preghiamo
per ogni destino, per la timidezza
dei bambini, per i sogni
che non ricordiamo, per i panni
pesanti del nostro io.
Preghiamo
per i baci, per i canti, per le poesie,
per il mare e per il cielo,
per ogni cosa che si muove
e per questo prodigio
presto o tardi muore.”
Franco Arminio, “Preghiera d’aprile”
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Mattutino
“Padre irraggiungibile, quando all’inizio fummo
esiliati dal cielo, creasti
una replica, un luogo in un certo senso
diverso dal cielo, essendo
pensato per dare una lezione: altrimenti
uguale… la bellezza da entrambe le parti, bellezza
senza alternativa… Solo che
non sapevamo quale fosse la lezione. Lasciati soli,
ci esaurimmo a vicenda. Seguirono
anni di oscurità; facemmo a turno
a lavorare il giardino, le prime lacrime
ci riempivano gli occhi quando la terra
si appannò di petali, qui
rosso scuro, là color carne…”
Louise Glück, “Mattutino”
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Il contadino parla a Dio
“La mia falce ha mietuto le Tue messi,
il mio sudore ha bagnato le Tue viti,
è sera, accendi le luci delle stelle.
Il mio silenzio ha onorato l’uva e l’erba,
le falci, le botti, la mucca e la cantina,
i miei occhi a Te son ora rivolti.
Il mio aratro ha arato i Tuoi campi,
il Tuo dito ha arato il mio volto,
al mio desco c’è ora un posto che T’attende.
Siedi e dividi la mia cena,
poi riscuoti quel che Ti debbo.
E sia fatta la Tua volontà.”
Alojz Gradnik, “Il contadino parla a Dio”
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O Dio, mandaci dei folli
“O Dio, mandaci dei folli,
che si impegnino a fondo,
che dimentichino,
che amino non soltanto a parole,
che si donino per davvero sino alla fine. Abbiamo bisogno di folli,
di irragionevoli,
di appassionati capaci di tuffarsi nell’insicurezza,
l’ignoto sempre più spalancato della povertà!
Abbiamo bisogno dei folli del presente,
innamorati della semplicità,
amanti della pace,
liberi dal compromesso,
decisi a non tradire mai,
che non amino soltanto la propria vita,
capaci di accettare qualsiasi lavoro,
di andare in un posto qualsiasi:
obbedienti e insieme
spontanei e tenaci, forti e dolci.
Dio, mandaci dei folli.”
Louis Joseph Lebret
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Dispersione
“È che Dio si è fatto prudente
non parla più agli uomini
ma alle api alle maree
ad alberi ostaggi del cemento
a nuvole sudate di petrolio.
E dice Dio alla Natura:
“Riprenditi la tua Terra
appesta il cibo ai gaudenti
asciuga le loro sorgenti,
non avere quiete finché l’alba
certifichi il loro tramonto.
Ecco l’ultimo comandamento:
che l’uomo conquisti l’universo
e là vi si disperda “.
Gianni Pollini, “Dispersione”, da “Contenere la piena”, 2019
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Preghiera ai pesci di Cutro
“Cari pesci
che nuotate, nuotate e non sapete cos’è affogare,
abbiate pietà, almeno voi, dei bambini
scoppiati col fasciame del barcone e morti in mare,
non mangiateli con tutte le scarpe come orchi con le pinne,
lasciate che i corpi tocchino la riva
dove qualcuno legherà un palloncino rosso
alla caviglia, al polso, a qualche arto riconoscibile
e sarà già qualcosa.
Amici pesci
Dio vi salvi, siamo tutti pezzi d’onda,
ma saltate il banchetto, questa volta,
il banchetto offerto dal nostro disservizio,
non buttatevi sui bambini e neanche sul garbuglio
degli adulti, si sa che non sapete quello che fate,
il pesce grosso mangia quello piccolo,
ma non prendete a morsi quelli grossi morti, se potete,
girate al largo, per favore, non siate squali come ce n’è quassù,
siate pesci dialoganti come con Francesco, Antonio
e Gesù, che vi moltiplicò sfilettando in parti uguali
due di voi pronti al sacrificio,
non ne cercò altri per il refettorio.
Signori pesci
date tempo ai bambini, ai problemi,
agli sbandati con i piedi nella nafta
di reincarnarsi in allodole, fiori di cotone,
acqua di fonte, in qualcosa che non sia distanza
nell’enormità dell’esistenza,
fate voi da mano santa come l’Apostolo
che cavò dalla bocca del san pietro
la moneta d’argento per Cesare.”
Ennio Cavalli, da “Amore manifesto”, Teseo 2022
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Illustrazione di Eva Pieroni Harouach, 2022, studentessa del Triennio in Graphic Design e Art Direction, NABA, Nuova Accademia di Belle Arti
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Pensiero d’autunno
“Fammi uguale, Signore, a quelle foglie
moribonde, che vedo oggi nel sole
tremar dell’olmo sul più alto ramo.
Tremano, sì ma non di pena: è tanto
limpido il sole, e dolce il distaccarsi
dal ramo, per congiungersi alla terra.
S’accendono alla luce ultima, cuori
pronti all’offerta; e l’agonia, per esse,
ha la clemenza d’una mite aurora.
Fa ch’io mi stacchi dal più alto ramo
di mia vita, così, senza lamento,
penetrata di Te come del sole.”
Ada Negri
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Tienimi l’ultimo posto, Dio
“Tienimi l’ultimo posto, Dio.
Quello che non dà troppo nell’occhio,
in fondo alla tavola,
più vicino ai camerieri che ai festeggiati.
Perché non so stare con le persone importanti.
Non so vincere.
Non sono capace a far festa come gli altri.
Tienimi l’ultimo posto, Dio.
Quello che nessuno chiede.
Giù, in fondo al bus sgangherato
che trasporta i pendolari della misericordia
ogni giorno
dal peccato al perdono.
Tienimi l’ultimo posto, Dio.
Quello in fondo alla fila.
Aspetterò il mio turno
e non protesterò se qualche prepotente
mi passerà davanti.
Tienimi l’ultimo posto, Dio.
Per me sarà perfetto
perché sarai tu a sceglierlo.
Sarò a mio agio.
e non dovrò vergognarmi
di tutti i miei errori.
Sarà il mio posto.
Sarà il posto di quelli come me.
Di quelli che arrivano ultimi,
e quasi sempre in ritardo,
ma arrivano
cascasse il mondo.
Tienimi quel posto, Dio mio.”
Eric Pearlman, “Tienimi l’ultimo posto, Dio”
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Un giorno potremo
“Un giorno potremo
dire che un dio
ci ha abitato, un dio
che voleva parlare
col mondo
e sentire il piacere
attraverso la carne,
il dolore, il limite
che non gli appartiene
vedere il cuore
che sbianca, la voce
tremare, l’accendere
i sensi, il morire.”
Filomena Shedir Di Paola
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Se tu potessi Dio
“Se tu potessi Dio
dalla tua apparente lontananza
scrivermi poche righe
che mi riportino al tuo pensiero fresco
alla tua approvazione o al tuo rimprovero.
Invece sto qui in silenzio
aspettando un segno
che sembra non venire.
Immerso in questa solitudine dorata,
in questo gioco di società
che è sempre la vita degli uomini
aspetto il suono di un verbo
che mi riporti alla vera realtà
e preluda alla tua sfolgorante presenza.”
Giovanni Gastel
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Preghiera dell’insegnante
“Fa che io sia più madre di una madre
nel mio amore e nella difesa del bambino
che non è sangue del mio sangue.
Aiutami affinché ognuno
dei “miei” bambini
diventi la poesia migliore.
E nel giorno in cui non canteranno più
le mie labbra,
lascia dentro di lui o di lei
la più melodiosa delle melodie.”
Gabriela Mistral, “Preghiera dell’insegnante”
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Marilyn Monroe con una scultura di Degas, la “Petite danseuse”, a casa del produttore cinematografico William Goetz
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Preghiera per Marilyn Monroe
“Signore
accogli questa ragazza conosciuta in tutta la terra con il nome di Marilyn Monroe
anche se questo non era il suo vero nome
(ma Tu conosci il suo vero nome, quello dell’orfanella violentata a 9 anni
e la piccola commessa che a 16 aveva voluto ammazzarsi)
e che adesso si presenta davanti a Te senza nessun maquillage
senza il suo Addetto Stampa
senza fotografi e senza firmare autografi
sola come un astronauta davanti alla notte spaziale
Essa sognò da bambina che si trovava nuda in una chiesa
(secondo quel che racconta il Time)
davanti a una folla prostrata, con le teste sul pavimento
e doveva camminare in punta di piedi per non pestare le teste.
Tu conosci i nostri sogni meglio degli psichiatri.
Chiesa, casa, antro, sono la sicurezza del seno materno
ma anche qualcosa più di ciò…
Le teste sono gli ammiratori, è chiaro
(la massa di teste al buio sotto il fiotto di luce).
Ma il tempio non sono gli studi della 20th Century Fox.
Il tempio – in marmo e oro – è il tempio del suo corpo
in cui sta il Figlio dell’Uomo con una frusta in mano
a cacciare i mercanti della 20th Century Fox
che hanno fatto della Tua casa di preghiera un covo di ladri.
Signore
in questo mondo contaminato di peccati e di radioattività
Tu non incolperai soltanto una piccola commessa.
Che come ogni piccola commessa ha sognato di essere una stella del cinema.
E il suo sogno divenne realtà (ma come la realtà del technicolor)
Essa non fece altro che agire secondo il copione che le demmo
– Quello delle nostre stesse vite – Ed era un copione assurdo.
Perdonala Signore e perdona noi
per la nostra 20th Century
per questa Colossale Super-Produzione nella quale tutti abbiamo lavorato.
Essa aveva fame di amore e le abbiamo offerto tranquillanti.
Per la tristezza di non essere santi
le venne raccomandata la Psicoanalisi.
Ricorda Signore la sua paura crescente della macchina da presa
e l’odio per il maquillage – mentre insisteva a truccarsi ad ogni scena –
e come divenne più grande l’orrore
e più grave la mancanza di puntualità negli studi.
Come ogni piccola commessa
sognò di essere una stella del cinema.
E la sua vita fu irreale come un sogno che uno psichiatra interpreta e archivia.
Le sue storie d’amore furono un bacio con gli occhi chiusi
che quando si aprono gli occhi
si scopre che è stato sotto i riflettori
e spengono i riflettori!
e smontano le due pareti della stanza (era un set cinematografico)
mentre il Regista si allontana col suo quaderno
perché la scena è ormai stata girata.
O come un viaggio in yacht, un bacio a Singapore, un ballo a Rio
il ricevimento nella dimora del Duca e della Duchessa di Windsor
visti nella stanzetta dell’appartamento miserabile.
Il film terminò senza il bacio finale.
La trovarono morta sul letto con una mano sul telefono.
E i detectives non seppero chi stava per chiamare.
Fu
come uno che ha fatto il numero dell’unica voce amica
e sente solo la voce di un disco che gli dice: WRONG NUMBER.
O come uno che ferito dai gangsters
allunga la mano verso un telefono staccato.
Signore
chiunque fosse quello che stava per chiamare
e non chiamò (e forse non era nessuno
o era Qualcuno il cui numero non sta nella Guida Telefonica di Los Angeles)
rispondi Tu al telefono!”
Ernesto Cardenal Martinez (poeta, teologo e sacerdote nicaraguense), “Preghiera per Marilyn Monroe”, da “Oraciòn por Marilyn Monroe, y otros poemas”
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Preghiera
“Dammi, oh Signore,
un silenzio profondo
e un denso velo
sugli occhi.
E un mondo si chiuderebbe:
un isola oscura;
scaverò dentro me stessa dolorosamente
come nella terra dura.
E quando sarò dissanguata,
agile e chiara sarà la mia vita.
E come un fiume sonoro e trasparente
scorrerà liberamente
il canto imprigionato.”
Alaìde Foppa, “Preghiera”, (poetessa e femminista spagnola)
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Parlami di Dio
«Dissi al mandorlo: parlami di Dio.
Ed il mandorlo fiorì.
Dissi al povero: parlami di Dio.
Ed il povero mi offrì la sua casa.
Dissi al sogno: parlami di Dio.
Ed il sogno si fece realtà.
Dissi all’usignolo: parlami di Dio.
E l’usignolo si mise a cantare.
Dissi ad un soldato: parlami di Dio.
Ed il soldato lasciò le sue armi.
Dissi alla natura: parlami di Dio.
E la natura si coprì di bellezza.
Dissi al bambino: parlami di Dio.
Ed il bambino lo chiese a me.
Dissi all’amico: parlami di Dio.
E l’amico mi insegnò ad amare.
Dissi ad un piccino: parlami di Dio.
Ed il piccino sorrise.
Dissi al dolore: parlami di Dio.
Ed il dolore cominciò a ringraziare.
Dissi alla mano: parlami di Dio.
E la mano si trasformò in servizio.
Dissi alla fonte: parlami di Dio.
E sgorgò l’acqua.
Dissi alla voce: parlami di Dio.
E la voce non trovò parole.
Dissi a mia madre: parlami di Dio.
E mia madre mi baciò.
Dissi al predicatore: parlami di Dio.
Ed il predicatore mi consegnò la Bibbia.
Dissi alla Bibbia: parlami di Dio.
E la Bibbia perse la voce per tanto parlare.
Dissi a Gesù: parlami di Dio.
E Gesù recitò il Padre Nostro.
Dissi al sole calante: parlami di Dio.
Ed il sole si nascose senza dirmi nulla.
Ma il giorno dopo, all’alba,
quando aprii la finestra, tornò a sorridermi».
Nikos Kazantzakis
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Orazione
“Signore,
io ti amo
perché giochi pulito:
Senza imbrogli – senza miracoli -;
perché lasci che esca
poco a poco,
senza trucchi – senza utopie -;
carta a carta,
senza scambi,
il tuo formidabile
solitario.”
León Felipe (poeta messicano), da “Versi e orazioni del viandante” (1920-1930)
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Liberaci dal bene
“Ogni domenica mattina la signora che abita sotto di me va alla messa.
Di fronte alla chiesa c’è il centro di accoglienza, lei spera che prima o poi lo spostino altrove, troppi arabi e neri da queste parti, una volta non era così, dice.
Mentre ritorna a casa ci incrocia sulle scale e nemmeno saluta. Tanto per oggi si è già garantita il suo pezzetto di paradiso.
Ogni domenica mattina Roberto pittore va in osteria, poche decine di metri più in su nella via.
Quando in casa si rompe qualcosa lui viene subito.
Ieri ha perso tutto il pomeriggio per aggiustarmi un rubinetto, doveva proprio andare ma è rimasto.
Ha chiesto solo dieci euro. Io ho insistito ma lui: per tre bicchieri di rosso bastano e avanzano, ha detto.
Padre Nostro che sei nei cieli, tanto in alto nei cieli da non riuscire a vedere Piazzutta e la sua cucciolata di case.
Nel giorno del Giudizio dimenticami, io stesso l’ho fatto con te.
Della signora fai quello che vuoi.
Ricordati invece di Roberto pittore, perché la vita è una somma algebrica di piccole salvezze.”
Francesco Tomada, “Liberaci dal bene”, da “Portarsi avanti con gli addii”, 2014