La danza più libera, più sciolta, più voluttuosa possibile m’apparve su uno schermo dove si mostravano alcune grandi meduse: non erano certo donne, e non danzavano.
Non donne, ma esseri di una sostanza incomparabile, traslucida e sensibile, carni di vetro follemente irritabili, cupole di seta ondeggiante, corone ialine, lunghi nastri vivi percorsi tutti da rapide onde, frange e increspature che esse piegano e spiegano; e intanto si voltano, si deformano, fuggono via, fluide quanto il fluido massiccio che le comprime, le sposa, le sostiene da ogni parte, fa loro posto alla minima inflessione e le sostituisce nella forma. Là, nella pienezza irriducibile dell’acqua che sembra non opporre alcuna resistenza, queste creature dispongono di una mobilità ideale, vi distendono e raccolgono la loro raggiante simmetria. Niente suolo, niente solidi per queste ballerine assolute: niente palcoscenico, ma un centro dove appoggiarsi in tutti i punti che cedono dove si voglia. Niente solidi, nei loro corpi di cristallo elastico, niente ossa, niente articolazioni, giunture invariabili, segmenti che si possono contare.
Mai nessuna ballerina umana, donna ardente, ebbra di movimento, del veleno delle sue forze eccedenti, della presenza infuocata di sguardi carichi di desiderio, mai ha saputo esprimere l’offerta imperiosa del sesso, l’appello mimico del bisogno di prostituzione, come questa grande medusa che, con gli scatti ondulatori del suo flutto di gonne e festoni, che alza e rialza con insistenza strana e impudica, si trasforma in sogni di Eros. E ad un tratto, rigettando tutti i vibranti falpalà, le sue vesti di labbra frastagliate, si rovescia e si espone, furiosamente aperta. Ma subito si riprende, freme e si propaga nel suo spazio, e come una mongolfiera sale verso la vietata regione luminosa dove regnano l’astro e l’aria mortale.
Paul Valéry, da “Degas Danse Dessin”, 1936
Immagine: Edgar Degas, “L’étoile”, 1876-1877