Questa domanda l’ho fatta molte volte da bambino, ma la facevo solo a me stesso, non ai genitori, perché immaginavo che essi avrebbero sorriso della mia ingenuità, e che mi avrebbero dato l’unica risposta che non mi poteva convincere: “Le cose, quando non le guardiamo, sono uguali a quello che sembrano quando stiamo guardando”.
Ho sempre pensato che le cose, quando restavano da sole, fossero qualcos’altro.
Più tardi, quando ero ormai entrato nel periodo dell’adolescenza, ho creduto d’avere la risposta definitiva all’inquietudine metafisica che aveva tormentato i miei primi anni: pensavo che regolando una macchina fotografica in modo che scattasse automaticamente in una casa in cui non ci fossero presenze umane, sarei riuscito a prendere le cose alla sprovvista e quindi a conoscere il loro aspetto reale. avevo dimenticato che le cose sono più furbe di quello che sembrano, sanno molto bene che dentro ad ogni macchina fotografica c’è un occhio umano nascosto.
E poi, anche se l’apparecchio, avesse potuto captare l’immagine frontale di una cosa, il suo altro lato rimarrebbe sempre fuori della portata del sistema ottico, meccanico, chimico o digitale della registrazione fotografica. quel lato occulto sul quale, all’ultimo momento, ironicamente, la cosa fotografata avrebbe fatto passare la sua faccia segreta, sorella gemella dell’oscurità, quando in una casa immersa nell’oscurità totale accendiamo una luce, l’oscurità scompare.
Allora ci chiediamo: dov’è andata?
E la risposta può essere soltanto una: non è andata da nessuna parte.
L’oscurità è semplicemente l’altro lato della luce, il suo volto segreto.
È un peccato che non me l’abbiano detto quando ero bambino.
Oggi saprei tutto sull’oscurità e la luce, sulla luce e l’oscurità.
Josè Saramago, da “Dialoghi con il buio”