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Sotto il burka

08.11.2021
Sotto il burka
“Mamma com’è il tuo volto
solo talvolta in casa
me lo mostri
non so se piangi o ridi
non ti vedo invecchiare
mentre io cresco
mio padre fuma
seduto sulla mastaba
dicono che ti sei ammalata
adesso vado io al mercato per te
e porto grosse ceste
mentre i miei fratelli
più grandi fumano
seduti sulla mastaba
mio padre non mi parla
vede in me il peccato
di essere femmina
sola fra sette fratelli
i più grandi fumano
seduti sulla mastaba
ora madre sei morta
e io tengo nelle mie braccia
una figlia femmina
anche lei domani
si chiederà forse
com’è il mio volto
e intanto suo padre fuma
seduto sulla mastaba.”
Patrizia Defranceschi, “Sotto il burka”
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Foto di Farzana Wahidy
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Le donne di Kabul
Quando le bambine di Kabul si sveglieranno,
all’alba saranno già donne.
Si desteranno orfane di carezze
e cresceranno in fretta
ai margini dei confini.
Saranno donne premature.
Le donne di Kabul
hanno gli occhi da bambine.
La voce delle donne di Kabul
ha l’odore del vento
e rimbomba
sotto il velo sulle dune,
come una preghiera
in una terra maledetta,
nascondono la nostra vergogna.
Le donne di Kabul sono morte più volte.
Sono morte alla terra che le ha cresciute,
ai padri che le hanno generate.
Sono morte ai figli che hanno lasciato.
Con le lacrime agli occhi
asciugano il sangue sulle strade riversato.
Le donne di Kabul muoiono a se stesse
stuprate, violentate dagli occhi dell’Indifferenza
che sta a guardare.
Le donne di Kabul dimenticano l’amore
o amano di più la vita
per esistere e resistere alla sofferenza.
Hanno coraggio da vendere,
ad un prezzo che nessuno può comprare,
per accompagnare i propri figli oltre l’ego
e lasciarli andare.
Nascondono i propri figli
nel ventre della terra
li affidano all’acqua del mare,
nel silenzio gridano: “Pace”.
Piangono di notte
e seppelliscono la voce del pianto,
insegnano l’umanità, sono gentili.
Le donne di Kabul
sono lasciate sole,
ma sono pronte a salpare
per il viaggio verso la libertà
e stanno ad aspettare.
Le donne di Kabul hanno radici
e hanno piantato il cuore dell’umanità
nei loro occhi.
Chiamano l’Europa amica
e sperano in una mano tesa.
Le donne di Kabul
hanno diritto di scegliere,
e di scegliere la vita
Imma Schiena
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Disegno di Mauro Biani, 2022
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Voci
Un cumulo di voci oltrepassa
il muro del silenzio,
attraversa ogni pulsazione
sospinto da tonfe speranze.
In punta di piedi
è arrivato un domani
ad attendermi alla porta,
si è fatto strada
tra la sabbia del deserto
e il vuoto della mia casa.
E batte ancora qualcuno,
qualcosa, sulla soglia:
sarà la libertà
venuta in dono
o la morte dei miei sogni
ad assaporare le mie vesti?
Maria Teresa Cosi
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C’è molto sole
“C’è molto sole
sui paesi dell’Islam:
un sole bianco,
violento che acceca.
Ma le donne musulmane
non lo vedono mai:
i loro occhi
sono abituati all’ombra
come gli occhi delle talpe.
Dal buio del ventre materno,
esse passano
al buio della casa paterna,
da questa
al buio della casa coniugale,
da questa
al buio della tomba.”
Oriana Fallaci
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Foto di Farzana Wahidy
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Sorella mia bella!
“Sorella mia bella!
Finiranno questi giorni vedrai.
Con la speranza di diventare una farfalla,
mi rinchiudo in queste poesie,
pensando ai tuoi occhi sorridenti.
Mi basta solo sapere
che la seta di queste parole
non sarà mai più
il velo obbligatorio sui tuoi lunghi capelli neri.”

Alba Persiana (Jasmine Efte)

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 Foto di Farzana Wahidy
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E poi – Il mio sogno afghano
“E poi arriveranno le rose
ad adornare i cuscini
di quegli uomini spinati
che imprigionarono sogni
e distrussero conquiste
nel nome di un Dio ignoto.
E copriranno col profumo
il secco odore del fumo nero
davanti a lacrime di madri
che piangeranno figli e non banditi.
Sì, osserveremo le rose
davanti ai salici piangenti
sorrideranno i nuovi boccioli
e tutta quella polvere avrà
ali di farfalla, si chiamerà
donna, bambino, transgender
non importerà…sarà solo
un nome che sbadiglierà assonnato
davanti ai rumori delle bombe
ormai lontane e senza ritorno.”
Antonio Corona – Fonte: TUTTE NOI LA TERRA NON HA CONFINI QUESTO LUOGO- Iniziativa di Cartesensibili a favore delle donne afghane
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Afghana e donna
“Quel che resta di me
è un moncherino di gioia madido
in bende di negazione
ampie come lenzuoli – di cancellazione
aspre come fortezze di convivenza.
Quel che resta di me
è il feto-donna che viveva e poi
è tornato all’utero, murato.
Quel che resta di me è un frammento d’esistere
lo spettro nero che non vedete (più).
Che non vedete, la sovversiva
l’audace la portatrice d’eros
la libertà che fa spavento.
Quel che resta di me si ribellerà
all’ascia che ha tagliato i ponti
del camminare di là del male antropomorfo
inciderà le coltri su primavere calpestate.
Quel che resta di me è la voce bellissima
che continua a cantare, cieca luce
al cielo capovolto senza una musica.
Ma io non ho che questo canto
un canto-vento di apertura
di tutti i segreti che porto
mentre la vita soffoca – mentre vorrei a svegliarmi un’onda rosa,
entrare in me tutte
quelle che hanno avuto coraggio per me con i loro landai di lingua e cuore
restituirmi al mondo.”
Rita Stanzione – Fonte: Cartesensibili
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Foto di Giusi Bonomo
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In evidenza: Fotografia di Farzana Wahidy

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