”E’ incredibile quello che hanno visto ieri sera i miei occhi, per non più di cinque minuti, fin troppo esaurienti, alla televisione. In quei cinque minuti stavo cenando in fretta, e i miei occhi non potevano non cadere sul “video” acceso, proprio davanti alla tavola (mia madre e mia zia sono tra i dannati che vedono la televisione tutte le sere).
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Acri, erano dunque i miei occhi, ma tutto sommato abbastanza distratti e lontani. Ho realizzato solo dopo un po’ quello che stavo vedendo: due donne molto simili una all’altra, stavano facendo delle evoluzioni, d’una assoluta facilità […]. Due o tre mossucce idiote, incastonate in un ritmo, che voleva essere gioioso e invece era soltanto facile. A cosa alludevano quelle mossucce, quei colpetti di reni e quelle tiratine di collo? Non si capiva bene, ma certo a qualcosa di estremamente convenzionale comunque: a un’allegria collegiale e orgiastica, in cui la donna appariva come una scema, con dei pennacchi umilianti addosso, un vestituccio indecente che nascondeva e insieme metteva in risalto le rotondità del corpo, così come se le immagina, se le sogna, le vuole un vecchio commendatore sporcaccione e bigotto . Tutto ciò, che si presentava come leggero, era invece pesantemente volgare. La “disparità dei sessi” era sbandierata spudoratamente come una legge fatale e prepotente di un “sentimento comune” (Si lotta per il divorzio, e poi si continua a volere e vedere la donna come una buffona, vestita e agghindata come per un mercatino delle schiave?).
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Non è questione di bruttezza o di bellezza. E’ questione di volgarità. E la volgarità della televisione deriva dalla sua sotto-cultura. Non è neanche vero che la televisione modestamente sostituisca la “tombola” delle serate in famiglia. In ciò c’è solo una parte (del resto molto deprimente) di verità. Infatti la “tombola” delle vecchie sere, durate fino ad alcune decine di anni fa, aveva ancora una sua ragione culturale di essere. Era un infimo atto di cultura di una civiltà contadina, coi suoi forzati coprifuochi, la sua stasi, la sua povertà. La televisione non è questo: essa ha nella sua funzione culturale tutta la prepotenza del potere; del potere industriale; che vuole, e determina e condiziona una serata familiare che non ha nulla a che vedere con le serate familiari del mondo antico. […] Oggi il riferimento di quelle belle serate in famiglia, davanti al video non è locale, concreto – modesto ma profondo – alla realtà di una piccola patria, ma alla realtà produttiva di una intera nazione, che altera il significato della famiglia, e ne fa non più un nucleo di innocenti conservatori, ma un nucleo di ansiosi consumatori ”.
Pier Paolo Pasolini, Da “Il Tempo”, 1° novembre 1969