Linguaggi

Traslare di emozioni…

08.11.2021
“Con la mente grido.
Con il cuore penso.
Con lo sguardo amo.
Con il petto vedo.
Con l’anima mi trasformo.”
Jack Kerouac
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Perenne navigare di sostanze
“Perenne navigare di sostanze, da nome a nome…”
Subito si cuce questo niente da dire
ad una voce che batte.
Vuole palpitare ancora,
forte, forte forte,
dire sono, sono qui,
e sentire che c’è fra stella e rami
e piuma e pelo e mano
un unico danzare approfondito,
e dialogo di particelle mai assopite,
mai morte, mai finite.
Siamo questo traslare,
cambiare posto e nome.
Siamo un essere qui,
perenne navigare di sostanze
da nome a nome.
Siamo.”

Mariangela Gualtieri

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Sono stata una ragazza nel roseto

“Sono stata una ragazza nel roseto, una ninfa.
Quasi fantasma che stava scomparendo.
Sono stata una ragazza di sedici anni distesa.
Ho attraversato il deserto rapidamente, quasi volando.
Una statua di pietra del Budda dormiente.
Un Budda di cenere sono stata.
Una donna appesa.
Sono stata un uomo duro e forzuto.
Una eccentrica con un pesce in bocca e poi il bambino dell’imperatore del giardino orientale.
Un albero forse.
Un topo.
Un elefante.
Una lepre.
Sono stata campo di battaglia e una preghiera.
Un papavero.
Un intero pianeta.
Forse una stella.
Un lago.
Acqua sono stata, questo lo so.
Sono stata acqua e vento.
Una pioggia su qualcosa che ero stata tempo addietro.
Un giuramento.
Un’attesa.
La corsa della gazzella.
E proiettile sono stata.
Freccia perfetta scagliata.
Catacomba.
Un credo.
Un lamento.
Un bastimento fra onde altissime.
Forse anche il mare.
E dunque, di cosa dovrei avere paura adesso.”

Mariangela Gualtieri, da “Le giovani parole”, 2015

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Amo

“Amo
la mia squisita sensibilità
di malata d’anima
che dilata,
con l’ansia del sogno,
la vita.”
Amalia Guglielminetti

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Foto di Sonia Simbolo

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Scritto sulla sabbia
“Che il bello e l’incantevole
Siano solo un soffio e un brivido,
che il magnifico entusiasmante
amabile non duri:
nube, fiore, bolla di sapone,
fuoco d’artificio e riso di bambino,
sguardo di donna nel vetro di uno specchio,
e tante altre fantastiche cose,
che esse appena scoperte svaniscano,
solo il tempo di un momento
solo un aroma, un respiro di vento,
ahimè lo sappiamo con tristezza.
E ciò che dura e resta fisso
non ci è così intimamente caro:
pietra preziosa con gelido fuoco,
barra d’oro di pesante splendore;
le stelle stesse, innumerabili,
se ne stanno lontane e straniere, non somigliano a noi
– effimeri-, non raggiungono il fondo dell’anima.
No, il bello più profondo e degno dell’amore
pare incline a corrompersi,
è sempre vicino a morire,
e la cosa più bella, le note musicali,
che nel nascere già fuggono e trascorrono,
sono solo soffi, correnti, fughe
circondate d’aliti sommessi di tristezza
perché nemmeno quanto dura un battito del cuore
si lasciano costringere, tenere;
nota dopo nota, appena battuta
già svanisce e se ne va.
Così il nostro cuore è consacrato
con fraterna fedeltà
a tutto ciò che fugge
e scorre,
alla vita,
non a ciò che è saldo e capace di durare.
Presto ci stanca ciò che permane,
rocce di un mondo di stelle e gioielli,
noi anime-bolle-di-vento-e-sapone
sospinte in eterno mutare.
Spose di un tempo, senza durata,
per cui la rugiada su un petalo di rosa,
per cui un battito d’ali d’uccello
il morire di un gioco di nuvole,
scintillio di neve, arcobaleno,
farfalla, già volati via,
per cui lo squillare di una risata,
che nel passare ci sfiora appena,
può voler dire festa o portare dolore.
Amiamo ciò che ci somiglia,
e comprendiamo
ciò che il vento ha scritto
sulla sabbia.”

Herman Hesse, “Scritto sulla sabbia”

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        Foto di Sonia Simbolo

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Foglia appassita

“Ogni fiore vuol diventare frutto,
ogni mattino sera,
di eterno sulla terra non vi è
che il mutamento, che il transitorio.
Anche l’estate più bella vuole
sentire l’autunno e la sfioritura.
Foglia, fermati paziente,
quando il vento ti vuole rapire.
Fai la tua parte e non difenderti,
lascia che avvenga in silenzio.
Lascia che il vento che ti spezza
ti sospinga verso casa.”

Hermann Hesse, “Foglia appassita”, da “Le stagioni della vita”

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Epitaffio

“Un uccello viveva in me.
Un fiore viaggiava nel mio sangue.
Il mio cuore era un violino.
Amai a volte, altre no. Qualche volta
fui amato. Anche a me
rallegravano: la primavera,
la mano nella mano, ciò che è felice.
Dico che l’uomo deve esserlo!
(Qui giace un uccello.
Un fiore.
Un violino).”

Juan Gelman, “Epitaffio”

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Siamo dentro impulsi e algoritmi

“Siamo dentro impulsi e algoritmi,
in una foto in bianco e nero,
in un passato contadino.
Nasciamo già esistendo da tempo,
moriamo senza scomparire,
finché dura la luce del sole.
Prima di riconsegnare ogni adesso
abbiamo il dono di scegliere
cosa lasciare a chi viene.
Quest’attimo è forse la bellezza,
poter fare delle nostre mani
strappi o carezze leggere.”

Domenico Carrara

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Tutto cambia e niente cambia

“Tutto cambia e niente cambia
Finiscono secoli
e tutto continua
come nulla finisse
Come le nubi ancora s’arrestano a mezzo volo come dirigibili presi tra venti contrari

E la febbre dell’efferata vita di città ancora strozza le strade

Ma ancora io sento cantare
ancora le voci dei poeti
mischiate agli schiamazzi delle troie
nell’antica Manhattan
o nella Parigi di Baudelaire
echeggiare richiami d’uccelli
lungo i vicoli della storia
ora coi nomi cambiati
E ora siamo nel Novecento
e la Borsa è di nuovo crollata
E mio padre vagabonda qui vicino con il fedora in testa
occhi sui marciapiedi
un’unica lira italiana
e un centesimo che raffigura la testa di un indiano in tasca
Trafficanti di liquori e carri funebri passano al rallentatore
Risuona la campana di ferro di una chiesa
frammista agli allarmi delle macchine nell’anno duemila

Mentre abiti nuovi corrono al lavoro in grattacieli oscillanti
mentre gli strilloni ancora strillano annunciando l’ultima follia

E risate s’alzano
sul mare lontano”

Lawrence Ferlinghetti, “Tutto cambia e niente cambia”

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Trasformazioni

“Soffocante era il buio e di brama – una morsa,
E il fiordaliso, schiarito da un lampo muto,
Trafisse le pupille ad un capriolo in corsa
Nel bosco, sorpreso da un occhio sconosciuto
E il fiore, azzurrandolo, saltava capriolamente,
E alla fiordaliso guardava il mondo avidamente.
Un papavero, là, nel campo senza fine
Si scoprì, e con un grido privo di suono
Si trasanguò in un gallo in piume porporine,
E la scarlatta cresta scosse con frastuono,
E cantò nella notte con terrore insano,
Fino all’eco dei galli veri da lontano.
L’orzo, indoratosi d’anelito addensato,
Rizzò le spighe dalla rabbia avvelenate,
Si traschiacciò scricchiando in un riccio dorato,
E corse via pungendo verdi barricate,
Guaì, e ai fiori tenne il broncio, inciprignito,
E nessuno saprà mai ciò che ha visto e sentito.
Ed io – per quale ortica or l’anima mi brucia,
E tra i campi, furtive, le mie gambe vanno?
Perché ora i fiori mi guardan con sfiducia?
Forse qualcosa oscura di me – chissà – sanno?
Che ho fatto per premermi le mani sulla testa?
Chi ero quella notte di cui più nulla resta?”
Boleslaw Lesmian (poeta polacco), “Trasformazioni”
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Ho paura di vederti

“Ho paura di vederti
bisogno di vederti
speranza di vederti
dispiacere di vederti

Ho voglia di trovarti
preoccupazione di trovarti
certezza di trovarti
miseri dubbi di trovarti

Ho urgenza di ascoltarti
allegria di ascoltarti
fortuna di ascoltarti
cioè
riassumendo
sono infastidito
e raggiante

forse più il primo che il secondo

e viceversa.”

Mario Benedetti

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Non c’è più tempo
“Non c’è più tempo.
La ragazza si trasforma in arbusto.
Il cavallo diventa un’auto.
Mi perdo nelle parole.
Ma non mi perdo nel passato.”
Mino Petazzini, “Non c’è più tempo”, da “Solitudine moltitudine”, 2022
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Foto di Gabriel Isak
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Sensazione

“I miei pensieri sono qualcosa
che la mia anima teme.
Fremo per la mia allegria.
A volte mi sento invadere da
una vaga, fredda, triste, implacabile
quasi-concupiscente spiritualità.

Mi fa tutt’uno con l’erba.
La mia vita sottrae colore a tutti i fiori.
La brezza che sembra restia a passare
scrolla dalle mie ore rossi petali
e il mio cuore arde senza pioggia.

Poi Dio diventa un mio vizio
e i divini sentimenti un abbraccio
che annega i miei sensi nel suo vino
e non lascia contorni nei miei modi
di vedere Dio fiorire, crescere e splendere.

I miei pensieri e sentimenti
si confondono
e formano una vaga e tiepida anima-unità.

Come il mare che prevede una tempesta,
un pigro dolore e un’inquietudine
fanno di me il mormorio
di un incalzante stormo.

I miei inariditi pensieri si mescolano
e occupano le loro interpresenze,
e usurpano gli uni il posto degli altri.

Non distinguo nulla in me
tranne l’impossibile amalgama
delle molte cose che sono.

Sono un bevitore dei miei pensieri.
L’essenza dei miei sentimenti
inonda la mia anima.
La mia volontà vi si impregna.

Poi la vita ferma un sogno
e fa sfiorire la bellezza
nel dolore dei miei versi.”

Fernando Pessoa, “Sensazione”

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Timidezza
“Appena seppi, solamente, che esistevo
e che avrei potuto essere, continuare,
ebbi paura di ciò, della vita,
desiderai che non mi vedessero,
che non si conoscesse la mia esistenza.
Divenni magro, pallido, assente,
non volli parlare perché non potessero
riconoscere la mia voce, non volli vedere
perché non mi vedessero,
camminando, mi strinsi contro il muro
come un’ombra che scivoli via.
Mi sarei vestito
di tegole rosse, di fumo,
per restare lì, ma invisibile,
essere presente in tutto, ma lungi,
conservare la mia identità oscura,
legata al ritmo della primavera.”
Pablo Neruda, “Timidezza”, da “Memorial de l’Isla Negra”
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Fran J. Scott
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Un giorno o l’altro ti lascio
“Un giorno o l’altro ti lascio, un giorno
dopo l’altro ti lascio, anima mia.
Per gelosia di vecchio, per paura
di perderti – o perché
avrò smesso di vivere, soltanto.
Però sto fermo, intanto,
come sta fermo un ramo
su cui sta fermo un passero, m’incanto…”
Giovanni Raboni, da “Canzonette mortali”, 1981-1983
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Compriamo oro e ogni tipo di gioielli
“Non si disfi di nessun ricordo
senza prima consultarci.
Se è titolare di qualche felicità
allora può riscattarla.
Accettiamo
collezioni di nostalgia
– antiche e moderne –
pezzi sciolti:
ferite
d’amore.
Solitari incastonati di parole
– diamanti come anelli –
ciondoli, collane,
bracciali di fidanzamento
con le date dimenticate.
Liquidiamo in contanti.
Contattare:
dalle 4 alle 8
Anche
la domenica.
Preziosi.
Obsoleti.”
Fernando Zamora (poeta spagnolo), da “Fuori strada”, 2010
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Foto di Sonia Simbolo
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Liberi di pensarla a modo loro
“La pena avrà creduto fosse pena.
L’ansia avrà creduto fosse ansia.
Liberi di pensarla a modo loro,
la coppia che si dava tante arie.
No, ci volle tutta la neve appesa al tetto
basso sopra il suo letto, e questo
fin da quando era un ragazzetto,
per indurre l’unica l’unica neve sulla sua testa.
Ma ogni volta che il tetto si imbiancava
la testa nel buio sottostante era
sempre meno colore della notte
e sempre più colore della neve.
La pena avrà creduto fosse pena.
L’ansia avrà creduto fosse ansia.
Ma nessuno dei due aveva rubato
il colore corvino dei capelli.”
Robert Frost, da “Fuoco e ghiaccio”
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La pietà
1928
1
Sono un uomo ferito.
E me ne vorrei andare
E finalmente giungere,
Pietà, dove si ascolta
L’uomo che è solo con sé.
Non ho che superbia e bontà.
E mi sento esiliato in mezzo agli uomini.
Ma per essi sto in pena.
Non sarei degno di tornare in me?
Ho popolato di nomi il silenzio.
Ho fatto a pezzi cuore e mente
Per cadere in servitù di parole?
Regno sopra fantasmi.
O foglie secche,
anima portata qua e là…
No, odio il vento e la sua voce
Di bestia immemorabile.
Dio, coloro che t’implorano
Non ti conoscono più che di nome?
M’hai discacciato dalla vita.
Mi discaccerai dalla morte?
Forse l’uomo è anche indegno di sperare.
Anche la fonte del rimorso è secca?
Il peccato che importa,
se alla purezza non conduce più.
La carne si ricorda appena
Che una volta fu forte.
È folle e usata, l’anima.
Dio guarda la nostra debolezza.
Vorremmo una certezza.
Di noi nemmeno più ridi?
E compiangici dunque, crudeltà.
Non ne posso più di stare murato
Nel desiderio senza amore.
Una traccia mostraci di giustizia.
La tua legge qual è?
Fulmina le mie povere emozioni,
liberami dall’inquietudine.
Sono stanco di urlare senza voce.
2
Malinconiosa carne
dove una volta pullulò la gioia,
occhi socchiusi del risveglio stanco,
tu vedi, anima troppo matura,
quel che sarò, caduto nella terra?
È nei vivi la strada dei defunti,
siamo noi la fiumana d’ombre,
sono esse il grano che ci scoppia in sogno,
loro è la lontananza che ci resta,
e loro è l’ombra che dà peso ai nomi,
la speranza d’un mucchio d’ombra
e null’altro è la nostra sorte?
E tu non saresti che un sogno, Dio?
Almeno un sogno, temerari,
vogliamo ti somigli.
È parto della demenza più chiara.
Non trema in nuvole di rami
Come passeri di mattina
Al filo delle palpebre.
In noi sta e langue, piaga misteriosa.
3
La luce che ci punge
È un filo sempre più sottile.
Più non abbagli tu, se non uccidi?
Dammi questa gioia suprema.
4
L’uomo, monotono universo,
crede allargarsi i beni
e dalle sue mani febbrili
non escono senza fine che limiti.
Attaccato sul vuoto
Al suo filo di ragno,
non teme e non seduce
se non il proprio grido.
Ripara il logorio alzando tombe,
e per pensarti, Eterno,
non ha che le bestemmie.
Giuseppe Ungaretti, “La Pietà”, in “Sentimento del tempo”, 1933
*****

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