Io sono dislessico, la mia velocità di lettura è pari alla metà rispetto a quella di un lettore medio e lo sforzo che devo fare per raggiungere tale velocità è il triplo
(sono soddisfazioni).
Solitamente, quando spiego questo concetto tutti capiscono, ma ultimamente qualcuno mi ha chiesto: “Ma se tu ti sforzassi il sestuplo, non potresti leggere alla velocità media?”
La risposta è no, perché le due cose non sono direttamente proporzionali, ma ho capito che serviva un esempio:
“In casa ho un armadio alto 2 metri, spesso metto delle scatole sopra di esso e per prenderle mi basta stare dritto con la schiena e sforzarmi di stare in punta di piedi. Tu sei più bassa di me di 15 o venti centimetri e se ti sforzi tanto, stai in punta di piedi, tendi il corpo, allunghi le unghie ecc, forse riesci a sfiorare lo scatolone.
A quel punto arrivo io e ti dico di sforzarti di più.
Ecco, per chi ha una velocità di lettura alta, accelerare leggermente il passo della lettura è solo un piccolo sforzo, ma per chi ha una velocità bassa e sta già tirando al limite, accelerare ulteriormente è molto più oneroso.
Per raggiungere quello scatolone uno potrebbe prendere la rincorsa, saltare e buttarlo giù rompendo il contenuto ed è quello che fanno quelli che velocizzano sacrificando l’accuratezza e quindi commettendo diversi errori.
Poi ci sono quelli che usano gli strumenti, vanno a prendere una sedia, ci salgono sopra e recuperano la scatola.
In questo caso, però, c’è chi contesta: “Perché io ho dovuto faticare stando in punta di piedi e lui ha potuto prendere la sedia?”
Che fare allora?
Molte persone sono convinte che la soluzione a tutto sia dire: “Devi sforzarti di più” e lo dicono anche quando il problema è di tutt’altra natura.
Se io ti dicessi: “Ma quale problema di altezza, tu sei solo una fannullona”, lo troveresti giusto?
Se ti abbassassi il voto perché hai usato la sedia, lo troveresti stimolante?
Ho passato anni a cercare di far capire questo semplice concetto, ma purtroppo queste frasi si sentono ancora.
Un abbraccio