“L’inverno è morto; la primavera è pazza; l’estate è allegra e l’autunno è saggio!”
Mehmet Murat Ildan
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Ode all’autunno
“Ah, quanto tempo
si è
potuto vivere,
terra,
senza autunno!
Ah, che naiade
oppressiva
la primavera
con i suoi scandalosi
capezzoli
che mostra in tutti
gli alberi del mondo,
e quindi
l’estate,
grano,
grano,
intermittenti
grilli,
cicale,
sudore sfrenato.
Poi,
l’aria
reca di mattina
un vapore di pianeta.
Da altra stella
cadono gocce d’argento.
Si respira
il cambiamento
delle frontiere,
dell’umidità del vento
dal vento alle radici.
Qualcosa di sordo, profondo,
lavora sottoterra
stivando sogni.
L’energia si raggomitola,
la catena
delle fecondazioni
arrotola
i suoi anelli.
Modesto è l’autunno
come i taglialegna.
Costa molto
togliere tutte le foglie
da tutti gli alberi
di tutti i paesi.
La primavera
le cucì in volo
e ora
bisogna lasciarle
cadere come se fossero
uccelli gialli:
Non è facile.
Serve tempo.
Bisogna correre per
le strade,
parlare lingue,
svedese,
portoghese,
parlare la lingua rossa,
quella verde.
Bisogna sapere
tacere in tutte
le lingue
e dappertutto,
sempre,
lasciare cadere,
cadere,
lasciare cadere,
cadere
le foglie.
Difficile è
essere autunno,
facile essere primavera.
Accendere tutto
quel che è nato
per essere acceso.
Spegnere il mondo , invece,
facendolo scivolare via
come se fosse un cerchio
di cose gialle,
fino a fondere odori,
luce, radici,
e a far salire il vino all’uva,
coniare con pazienza
l’irregolare moneta
della cima dell’albero
e spargerla dopo
per disinteressate
strade deserte,
è compito di mani
virili.
Per questo,
autunno,
compagno vasaio,
costruttore di pianeti,
elettricista,
conservatore del grano,
ti do la mia mano da uomo
a uomo
e ti chiedo di invitarmi
a uscire a cavallo
per lavorare insieme a te.
Ho sempre voluto
essere l’apprendista
dell’autunno
essere il piccolo parente
del laborioso
meccanico delle cime,
galoppare per la terra
distribuendo
oro,
oro inutile.
Ma, domani,
autunno,
ti aiuterò a ripartire
foglie d’oro
ai poveri della strada.
Autunno, buon cavaliere,
galoppiamo,
prima che ci sorprenda
il nero inverno.
E’ duro
il nostro lungo lavoro.
Andiamo
a preparare la terra
e a insegnarle
a essere madre,
a riparare le sementi
che nel suo ventre
dormiranno protette
da due cavalieri rossi
che girano per il mondo:
l’apprendista dell’autunno
e l’autunno.
Così dalle radici
oscure e nascoste
potranno uscire danzando
la fragranza
e il velo verde della primavera.”
Pablo Neruda, “Ode all’autunno”
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Giuseppe Arcimboldo, “Autunno”, 1573
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Autunno malato e adorato
“Autunno malato e adorato
Morirai quando l’uragano soffierà sui roseti
Quando avrà nevicato
Sui frutteti
Povero autunno
Muori in biancore e ricchezza
Di neve e di frutti maturi
In fondo al cielo
Planano sparvieri
Sulle nixi * graziose dai capelli verdi e nane
Che non hanno mai amato
Sui confini lontani
I cervi hanno bramito
E quanto ti amo stagione quanto amo i tuoi suoni
I frutti che cadono e che nessuno raccoglie
Il vento e la foresta che piangono
Tutte le loro lacrime d’autunno foglia a foglia
Le foglie
Pestate
Un treno
Che passa
La vita
Che va.”
(* Per la religione romana le nixi erano le divinità che presiedevano alla nascita)
Guillaume Apollinaire, da “Alcools”, 1913
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John Everett Millais, “Foglie d’autunno”, 1856
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La foglia d’autunno
“La foglia d’autunno
non ha altra scelta
se non cadere,
quando l’albero porta già nel cuore
l’amore per una verde foglia di primavera.”
Alba Persiana (Jasmine Efte)
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Ogni bella giornata di novembre
“Ogni bella giornata di novembre
è quasi sempre un’occasione persa.
La luce ha fretta.
La luce di novembre non aspetta.
Ci pensi sopra e non è più in offerta.
E ci si illanguidisce
alla promessa di una felicità.”
Patrizia Cavalli
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Debito autunnale
“La casa profuma già di autunno. E una volta ancora siamo impreparati,
senza pullover né sciarpe. Nuvole inattese
dal mattino oscurano le colline. Dobbiamo sbrigarci
a fare un po’ di provviste, perché tra poco arrivano
i venti sbraitanti. I vapori della cucina
occupano il primo posto nel silenzio del corridoio. A uno a uno
chiudono i locali sul mare. Sul molo bagnato
pacchetti di sigarette vuoti, recipienti di plastica, giornali
e i gatti randagi affamati che guardano
l’orologio della dogana privo di lancette. Domande dimenticate
cigolano di nuovo come banderuole arrugginite
sui tetti di case abbandonate, i cui proprietari
sono morti di tisi anni fa senza lasciare eredi.
Ma tu, a dispetto della pioggia e dei venti, insisti
sotto la tua lampada, su questa sedia dura,
per lasciare qualcosa a chi verrà dopo – almeno due versi,
scritti con la mano della pioggia, che indichino tremanti
sempre, sempre, in direzione del sole.”
Ghiannis Ritsos, “Debito autunnale”, da “Molto tardi nella notte”
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Telemaco Signorini, “Autunno nella campagna senese”, 1870
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Fantasia settembrina
“Questa notte è passato l’autunno:
l’accompagnava un’orchestrina arguta
di pioggia e folatelle e gli gemeva
una ballata, carezzosamente.
Tutto il corteo ha danzato sopra i tegoli
e zampettato dentro la grondaia
fin dopo il tocco; poi la brigatella
si è incamminata verso la montagna,
col suo fulvo signore. E tutta notte
hanno gozzovigliato in mezzo ai boschi,
i gaietti compari. In lunghe file,
hanno scalato i dossi più audaci,
hanno riddato come pazzi in vetta
ai roccioni più aspri. Verso l’alba,
si son scagliati in basso a precipizio,
scivolando sul capo dei castani,
investendo a rovina le betulle,
lacerando fra i ciuffi di robinie
le tuniche dorate, abbandonando
i drappeggi di nebbia in mezzo ai rovi.
Stamane, di buon’ora, quando il sole
ha profilato d’oro le montagne,
si sono dileguati. Ma sul dorso
d’ogni boscaglia, son rimaste tracce
del festino notturno: guizzi gialli,
guizzi rossastri, appesi ad ogni ramo
come stelle filanti; manciatelle
di ruggine nel folto del fogliame,
come pugni sfacciati di coriandoli;
tazzettine di colchici, smarrite
dalle fate nei prati, per la fretta;
e in noi, l’eco affiochita delle nenie
frusciate dalla pioggia, nella notte;
in noi una bontà dimenticata
– tenerezza calduccia di bambino –
in noi un abbandono senza nome
– desiderio di brace e di carezze –”
Antonia Pozzi, “Fantasia settembrina”
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Autunno
“Quieto è il dirupo folto di ginepro.
Pettina la criniera autunno – saura.
Va l’azzurro stridore dei suoi ferri
sopra il drappo fluviale delle sponde.
Con passo accorto, il vento – asceta monaco
macera foglie ai bordi delle strade.
E bacia sopra l’arbusto del sorbo
le rosse piaghe di un Cristo invisibile.”
Sergej Aleksandrovic Esenin, “Autunno”
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Autunno
A R.V. Ivanov
“Silente tra i fitti ginepri lungo il dirupo
l’autunno pettina – fulva giumenta – la propria criniera..
Sul velo fluviale degli argini
s’ode il suo stridere azzurro di ferri..
Il vento-asceta con attento passo
calpesta le foglie sul ciglio del sentiero.
e bacia in un cespuglio di sorbo
le ulcere rosse di un Cristo non visto.”
Sergej Esenin, “Autunno”, da “Stanco di vivere e altre poesie”
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Bosco d’autunno
“Ha messo chiome il bosco d’autunno.
Vi dominano buio, sogno e quiete.
né scoiattoli, né civette o picchi
lo destano dal sogno.
E il sole pei sentieri dell’autunno
entrando dentro quando cala il giorno
si guarda intorno bieco con timore
cercando in esso trappole nascoste.
La pace che domina nel bosco autunnale
contagia ogni essere che lo abita
e un’atmosfera di sogno rende come incantati
anfratti, animali, alberi…
Perfino il sole entra silenzioso,
quasi col sospetto che la sua presenza sia superflua”
Boris Pasternak, “Bosco d’autunno”
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Lowell Birge Harrison, “Novembre”, 1881
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All’autunno
“Stagione di nebbie e morbida abbondanza,
Tu, intima amica del sole al suo culmine,
Che con lui cospiri per far grevi e benedette d’uva
Le viti appese alle gronde di paglia dei tetti,
Tu che fai piegare sotto le mele gli alberi muscosi del casolare,
E colmi di maturità fino al torsolo ogni frutto;
Tu che gonfi la zucca e arrotondi con un dolce seme
I gusci di nocciola e ancora fai sbocciare
Fiori tardivi per le api, illudendole
Che i giorni del caldo non finiranno mai
Perché l’estate ha colmato le loro celle viscose:
Chi non ti ha mai vista, immersa nella tua ricchezza?
Può trovarti, a volte, chi ti cerca,
Seduta senza pensieri sull’aia
Coi capelli sollevati dal vaglio del vento,
O sprofondata nel sonno in un solco solo in parte mietuto,
Intontita dalle esalazioni dei papaveri, mentre il tuo falcetto
Risparmia il fascio vicino coi suoi fiori intrecciati.
A volte, come una spigolatrice, tieni ferma
La testa sotto un pesante fardello attraversando un torrente,
O, vicina a un torchio da sidro, con uno sguardo paziente,
Sorvegli per ore lo stillicidio delle ultime gocce.
E i canti di primavera? Dove sono?
Non pensarci, tu, che una tua musica ce l’hai –
Nubi striate fioriscono il giorno che dolcemente muore,
E toccano con rosea tinta le pianure di stoppia:
Allora i moscerini in coro lamentoso, in alto sollevati
Dal vento lieve, o giù lasciati cadere,
Piangono tra i salici del fiume,
E agnelli già adulti belano forte dal baluardo dei colli,
Le cavallette cantano, e con dolci acuti
Il pettirosso zufola dal chiuso del suo giardino:
Si raccolgono le rondini, trillando nei cieli.”
John Keats, “All’autunno”
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Una volta, poi
“Una volta, poi,
parlerò di qualcosa di bello
di cose soavi, tenere
con un’impercettibile tristezza,
una sera quando il cielo si farà bello,
quando le case ingrigiranno
e tutto sarà nebbia
Là nella pioggia,
tra le case monocrome,
parlerò della potenza
delle foglie d’autunno
perché sarà ottobre.
Dietro la nebbia tacete,
col colletto alzato,
con le mani infreddolite in tasca
senza luce come l’ombra.
E la pioggia scende
sulle nostre teste scoperte
sotto i nostri colletti soavi,
tenera pioggia cade
sulle case, sugli alberi
e il cielo diventa sempre più bello.
E la bellezza poi scenderà su di voi
con un’impercettibile tristezza
e capirete che d’ora in poi
sarà sempre autunno.”
Agota Kristof, “Una volta poi…”
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Georges Lacombe, “Raccoglitrici di castagne”, 1894
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Autunno
“Tacite immagini della tristezza
Dal platano al prato!
Quando la bruma si dissolve nel monte
E un pensiero carezza
E poi lascia desolato – la marmorea fronte;
Quando la torre, e il rattoppato maniero,
Non chiede, al vecchio architetto, più nulla:
Allora il feudo intero – fruttifica una susina
Bisestile, alla collina
Dolce e brulla.
Tace, dal canto, il prato.
Il pianoforte della marchesina
Al tocco magico delle sue dita
S’è addormentato:
E dopo sua dipartita – l’autunno
S’è scelto un nuovo alunno:
Il passero!, lingua di portinaia
Dal gelso all’aia:
E il cancello e lo stemma sormonta
La nenia del campanile – e racconta
I ritorni, all’aurata foresta:
Garibaldeggia per festa
Sopra il travaglio gentile
Perché alla bella il ragazzo piaccia,
Quello che lassù canta, quello che lassù pesta.
Il vecchio marchese ha inscenato una caccia
Con quindici veltri, e galoppa,
Diplomatico sconsolato
Sul suo nove anni reumatizzato.
Della volpe nessuna notizia, nessuna traccia!
Il cavallo ha un nome inglese: e il corno sfiatato
Assorda nella tana il ghiro
Che una nocciola impingua!
Al dodicesimo giro
La muta s’è messa un palmo di lingua
E, mobile macchia, cicloneggia bianca
Nella deserta brughiera
Là, verso il passaggio a livello,
Dove arriva stanca,
Salendo, la vaporiera.
Passa il merci e il frenatore – più bello,
Lungo fragore! – vana bandiera!
Ha incantato la cantoniera.
Ecco il diretto galoppa – verso città lontane
E il cavallo inglese intoppa
Negli sterpi dannati e calpesta
I formicai vuoti e le tane.
Ma dal campanile canta l’ora di festa – canta
Tristezze vane!”
Calo Emilio Gadda, “Autunno”, da “La cognizione del dolore”
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Settembre
“Chiaro cielo di settembre
illuminato e paziente
sugli alberi frondosi
sulle tegole rosse
fresca erba
su cui volano farfalle
come i pensieri d’amore
nei tuoi occhi
giorno che scorri
senza nostalgie
canoro giorno di settembre
che ti specchi nel mio calmo cuore.”
Attilio Bertolucci, “Settembre”, da “Sirio”, 1929
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Hans Andersen Brendekilde, “Sentiero alberato in autunno”, 1902
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Ricordo di settembre
“Antico privilegio di madre:
– ritrovare il figlio nel tempio.
Perché, quando il cuore si ferma,
ticchetta sul petto un orologio –
tocca il viso che è come una foglia
la foglia scossa via dal boato?
Pianure dell’autunno polacco,
colline dell’autunno polacco –
chi tamponerà le strade,
con quale benda accorrerà?
Confini – siete abbastanza forti
da chiudervi a pugno.
Dateci un punto di appoggio,
e riusciremo a sollevare il mondo –
boschi del settembre polacco,
fiumi del settembre polacco!
C’è un cielo imperturbato
e un ruscello che esala sangue.”
Wisława Szymborska, da “Canzone nera”
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L’autunno
“E intanto fuori c’era l’autunno.
Non lo sapevo prima. C’era.
In ogni foglia, nell’aria, nella
luce. C’era. E io l’avevo lasciato solo
non lo avevo sorretto, non ammirato
non ero stata sbalordita dai gialli e
dai rossi che infiammava.
O dall’albero quando sta come nudo, con veste
di foglie garbata caduta ai suoi piedi.
Incredulo, l’albero – attonito
pudico. Non lo avevo guardato.
E adesso dalla finestra chiamava –
l’autunno – col suo mesto sorriso e
di nuovo io sorprendevo, adoravo.
Benvenuto a te che fai del morire
un’epopea di colori.”
Mariangela Gualtieri, da “Riassunto della creazione”, in “Quando non morivo”
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Walter Moras, “Bosco autunnale”, 1925
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Sole d’ottobre
“Godi. Non hai nella memoria un giorno
più bello, un giorno senza nube, come
questo. E forse più mai ne sorgerà
un altro così bello,
pe’ tuoi occhi.
Se pur l’ultimo fosse di tua vita
– l’ultimo, donna -,
sii contenta: rendine
grazie al destino.
È così pura questa
gioia fatta di luce e d’aria: questa
serenità ch’è d’ogni cosa intorno
a te, d’ogni pensiero entro di te:
quest’armonia dell’anima col punto
del tempo e con l’amor che il tempo guida.
Non più grano né frutti ha ormai la terra
da offrire. Sta limpido l’autunno
sul riposo dell’anno e sul riposo
della tua vita. Il fisso azzurro, immemore
di tuoni e lampi, stende il suo gran velo
di pace sulle rosseggianti chiome
delle foreste; e il sole il cuor t’accende
come fa con le foglie che non sanno
d’esser presso a morire. E tu – che sai –
tu non temi la morte. Ora che il grembo
non dà più figli, e quelli che ti nacquero
a’ tuoi begli anni già son fatti esperti
del mondo e van per loro audaci vie,
che t’importa morir? Quand’è falciata
la spiga, spoglia la pannocchia, rosso
il vin nei tini, e le dorate noci
chiaman l’abbacchio, e fuor del riccio scoppia
la castagna, che importa la minaccia
dell’inverno, alla terra?..
O veramente
tuo questo tempo, donna: o tua compiuta
ricchezza! O, fra due vite, la caduca
e l’eterna, per te libera sosta
di grazia! Godi, fin che t’è concessa.
Non sei più corpo: non sei più travaglio:
solo sei luce: trasparente luce
d’ottobre, al cui tepor nulla matura
perché già tutto maturò: chiarezza
che della terra fa cosa di cielo.”
Ada Negri
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Helmer Osslund, “Autunno”, 1907
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Autunno
A R.V. Ivanov
“Silente tra i fitti ginepri lungo il dirupo
l’autunno pettina – fulva giumenta – la propria criniera..
Sul velo fluviale degli argini
s’ode il suo stridere azzurro di ferri..
Il vento-asceta con attento passo
calpesta le foglie sul ciglio del sentiero.
e bacia in un cespuglio di sorbo
le ulcere rosse di un Cristo non visto.”
Sergej Esenin, “Autunno”
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Ottobre
“Un tempo, era d’estate,
era a quel fuoco, a quegli ardori,
che si destava la mia fantasia.
Inclino adesso all’autunno
dal colore che inebria;
amo la stanca stagione
che ha già vendemmiato.
Niente più mi somiglia,
nulla più mi consola,
di quest’aria che odora
di mosto e di vino
di questo vecchio sole ottobrino
che splende nelle vigne saccheggiate.”
Vincenzo Cardarelli, “Ottobre”
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Ottobre
“O silenzioso mite mattino d’ottobre,
le foglie son mature per cadere;
il vento di domani, se avrà forza,
le spazzerà via tutte.
Chiamano i corvi sopra la foresta;
domani forse a stormi se ne andranno.
O silenzioso mite mattino d’ottobre;
lento comincia le ore di questa giornata.
Fa’ che il giorno ci sembri meno breve.
Non ci dispiace se tu dolcemente ci illudi,
illudici nel modo che tu sai.
Stacca una foglia allo spuntar dell’alba,
a mezzogiorno stacca un’altra foglia;
una dai nostri alberi, ed un’altra
molto lontano.
Trattieni il sole con nebbie gentili;
incanta la campagna d’ametista.
Ma piano, piano!
Per amore dell’uva, se non altro,
i cui pampini bruciano nel gelo,
i cui grappoli andrebbero distrutti
per amore dell’uva lungo il muro.”
Robert Frost, “Ottobre”
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Paul Ranson, “La vite”, 1902
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In questa notte d’autunno
“In questa notte d’autunno
sono pieno delle tue parole
parole eterne come il tempo
come la materia
parole pesanti come la mano
scintillanti come le stelle.
Dalla tua testa dalla tua carne
dal tuo cuore
mi sono giunte le tue parole
le tue parole cariche di te
le tue parole, madre
le tue parole, amore
le tue parole, amica.
Erano tristi, amare
erano allegre, piene di speranza
erano coraggiose, eroiche
le tue parole
erano uomini.”
Nazim Hikmet, “In questa notte d’autunno” (traduzione di Joyce Lussu)
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Vincenti Van Gogh, “Il Sentiero di notte in Provenza” conosciuto anche come “Strada con cipressi e cielo stellato“), 1890
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Autunno
“Autunno. Che sia autunno. Che sia autunno e che piova.
Molto. Che ci sia della legna che brucia in un camino.
E un gatto. Che ci sia un gatto. E che sia nero e guardi in giallo
e si acciambelli e ci insegni un po’ a vivere. Ma, soprattutto,
che sia autunno. Che manchi un vetro alla finestra.
Che entrino da quel buco il freddo e la pioggia.
Che tu abbia voglia di baciarmi. Tanta voglia. Che sia autunno.
Che un uomo ti stia aspettando, da qualche parte.
E che tu non vada. Che sia un’altra volta autunno.
E tu rimanga. Autunno, e che piova. Che tu non vada.
Che sia ancora autunno e tu sia con me.”
José Sbarra (poeta argentino), “Autunno”, da “Poesie per un anno” – Traduzione di Milton Fernandez