Scendo dall’auto, dopo trenta chilometri di buio, è mattino. Vado in classe, come tutti i giorni.
Arrivano poco per volta, chi da solo chi in piccoli gruppi. Ci sediamo tutti intorno al lungo tavolo, neanche oggi sono riuscito a prendermi la sedia imbottita dell’insegnante.
Comincia a parlare Liban, che ha solo venticinque anni, ma già tre figli. Lui conosce solo guerra: in Somalia dura da quando aveva 5 anni, ininterrottamente. Parla come se recitasse un salmo, o i versetti del Corano. E mentre parla, ascoltano le donne velate che devono imparare a leggere. Scandisce Liban, ciò che gli hanno detto quelli che lui chiama: i miei Fratelli.
Dopo Rosarno, è ora di ribellarsi. Il popolo delle arance della Calabria ha detto basta.
Basta allo sfruttamento, basta al razzismo.
Ricordiamo agli italiani quando i meridionali immigrarono al Nord: volevano braccia, arrivarono uomini.
Nella classe di adulti stranieri c’è un silenzio attento. Come se Liban fosse il Muezzin, dall’alto del minareto. Fanno sì con la testa i giovani del Congo, scappati dalla miseria e dalla guerra per accumulare il Coltan, il nuovo materiale per cellulari.
Liban continua a parlare, adesso anche la donna russa, abituata agli alberghi a 5 stelle, lo sta a sentire.
Abbiamo deciso tre cose per renderci visibili e una grande apparizione per smettere di essere come le ombre nella notte nera. Nel tempo che rimane da oggi fino al primo Marzo, mangeremo arance, tutti i giorni.
Cominceranno quelli tra noi con la pelle nera, quelli che hanno acceso il fuoco nel grande camino che ci brucia. Poi via via, si uniranno i popoli con la pelle e la fede d’altri colori. E mangeremo pomodori, tutti i pomodori, fino a farli sparire. E ogni giorno alle 17, in tutti i luoghi in cui saremo, inizieremo a correre, per rendere visibile la nostra esistenza. Quelli di noi che potranno, correranno, ovunque.
Io ero ammirato, pensavo al suo italiano, molto migliorato, e stavo per dire qualcosa, e intanto dicevo sì con la testa a Graeme, l’australiano maestro di tango, al gruppo dei cinesi che si stava facendo tradurre dalla più brava.
Stavo per dire, Forse-cominciamo-adesso-la lezione? quando la suora del Kenia, ridendo, contagia tutti con la sua allegria, e muovendo le gambe ossute come per un ballo, dice:
“E il Primo Marzo, in questo Paese, tutti renderanno Grazie al Loro Dio. Sciopero di tutti gli stranieri.
A mezzogiorno guarderemo il cielo, e ci sarà anche la nostra Luna.”
Lino Di Gianni, da “In villa nel cartone”
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Immagine: Giuseppe Migneco, “Raccoglitore di arance”