Viktor Šklovskij cita le parole di una lettera del 1878 a Nikolaj N. Strachov in cui Tolstoj spiegava il suo senso di impreparazione al lavoro:
«Conosco molto bene questa sensazione – addirittura, ora, negli ultimi tempi, la sto provando: tutto parrebbe pronto per scrivere – per compiere il proprio dovere terreno, ma manca la spinta della fede in se stessi, nell’importanza della causa, manca l’energia dell’errore; quella spontanea energia terrena, che è impossibile inventare. E non si può cominciare».
Senza energia dell’errore non si procede, si resta spiaggiati. È ritrovando la possibilità di errare che si riparte, ma non si può fabbricarla, occorre lasciarla arrivare, occorre togliere gli ostacoli: il confronto, il giudizio su di sé, il voler compiacere gli altri, l’ambizione mondana. Partire soli, andare errando, scoprire nuove energie grazie all’errore. Non lasciarsi mettere in ceppi da nessuna illusione della personalità. Non vale solo per la scrittura, ma per qualsiasi percorso senza orme da ricalcare, per qualsiasi camminare che sia senza cammino prestabilito, perché ogni passo è la meta, esitando, sostando. Una via che si disfa mentre la si percorre per lasciare a ognuno la libertà e il rischio di fare di sé una strada.
I Maestri sono segnali sulla Via, presagi, visitatori angelici, guide. Ma siamo noi a camminare, a fare la Via. Chi segue l’energia dell’errore fa della sua vita un libro di testo, la studia, la conosce, la scava, la scavalca, parte sempre da sé e a sé ritorna per mettere alla prova quel che ha sperimentato. Allora come una nuvola si scioglie nell’aria, dove la storia non è più propria ma solo il punto di vista minuscolo sul grande cielo sconfinato di tutti gli esseri. Fa paura, ci si sente soli ed estranei, le lusinghe del mondo non attraggono più e annoiano, sembrano vecchi giocattoli rotti, ci si sente inutili e molto sciocchi. Il re è nudo. Non si può tornare a vestirlo. Il guscio è vuoto. Non si può abitarlo di nuovo. Cosa resta? Il richiamo dell’errare, ogni respiro contiene un invito: vieni e vedi.
«Ho paura».
«Anch’io».
«Andiamo».
Chandra Livia Candiani, da “Questo Immenso Non Sapere”