«E’ proprio questo il punto essenziale che il vecchio deve esprimere. “Lo spirito intelligente e terribile, lo spirito della autodistruzione e del non essere”, continua il vecchio, “il grande spirito parlò con te nel deserto e ci è stato tramandato dai libri che egli ti tentò. Non è così? Ma era mai possibile dire qualcosa di più vero di ciò che egli ti rivelò in quelle tre domande, che nei libri sono chiamate tentazioni e che tu respingesti? Eppure, se mai vi fu sulla Terra un vero, dirompente miracolo, fu proprio quel giorno, il giorno delle tre tentazioni. Il miracolo risiedeva per l’appunto nella formulazione di quelle tre domande. Se si dovesse immaginare, solo come esempio o come ipotesi, che quelle tre domande dello spirito terribile fossero scomparse dai libri senza lasciare traccia e che bisognasse ricostruirle, pensarle e formularle di nuovo per reinserirle nei libri, e perciò occorresse radunare tutti i sapienti della Terra – governanti, prelati, eruditi, filosofi, poeti – e assegnare loro questo compito: immaginate, formulate tre domande che non solo si addicano alla portata dell’evento, ma soprattutto esprimano in tre parole, in tre frasi umane tutta la futura storia del mondo e dell’umanità, pensi tu che tutta la sapienza della terra, riunita insieme, saprebbe escogitare qualcosa di simile per forza e profondità a quelle tre domande a te poste nel deserto dallo spirito potente e intelligente? Già da tali domande, dal miracolo della loro formulazione, si può arguire che si ha a che fare non con una peritura intelligenza umana, ma con un’intelligenza sempiterna e assoluta. Perché in queste tre domande è come sintetizzata e preconizzata tutta la successiva storia dell’umanità, e sono rivelati i tre paradigmi in cui convergeranno tutte le insolubili contraddizioni storiche della natura umana sulla Terra. Allora questo non poteva ancora essere così evidente poiché l’avvenire era ignoto, ma adesso che sono trascorsi quindici secoli noi vediamo che in quelle tre domande tutto è stato a tal punto profetizzato e predetto e si è talmente avverato che non è più possibile aggiungere e togliere alcunché. Decidi tu stesso chi aveva ragione se tu o colui che ti interrogava.
Rammenta la prima domanda; se non le esatte parole, il senso tuttavia era questo: “Tu vuoi andare nel mondo e vai a mani vuote, con una promessa di libertà che gli uomini, nella loro semplicità e nella loro sregolatezza innata, non possono neppure concepire, e dalla quale sono intimoriti e spaventati poiché per l’uomo e per la società umana non vi è mai stato nulla di più intollerabile della libertà! Vedi invece queste pietre nel deserto nudo e infuocato? Mutale in pani e l’umanità ti seguirà come un gregge dolce e riconoscente, anche se eternamente timoroso che tu possa ritirare la tua mano e privarlo dei tuoi pani.”
Ma non volesti privare l’uomo della libertà e disdegnasti l’invito giacché, pensasti, quale libertà vi può mai essere se l’obbedienza la si compra con i pani? Tu obbiettasti che non di solo pane vive l’uomo, ma sai tu, che in nome di questo pane terreno insorgerà contro di te lo spirito della Terra, e lotterà con te, e ti vincerà, e tutti lo seguiranno esclamando: “Chi è pari a questa bestia? Essa ci ha dato il fuoco prendendolo al cielo!”. Sai che trascorreranno secoli e l’umanità proclamerà per bocca del suo sapere e della sua scienza che il delitto non esiste e che dunque non esiste il peccato, ma esistono soltanto gli affamati? “Sfamali e poi pretendi la virtù!”, ecco quel che scriveranno sulla bandiera che leveranno contro di te e che abbatterà il tuo tempio. Al posto del tuo tempio sorgerà un nuovo edificio, una nuova terrificante Torre di Babele, e benché anche questa resterà incompiuta come la prima, tu avresti però potuto evitare questa nuova torre e abbreviare di mille anni le sofferenze umane perché da noi che verranno, dopo essersi angustiati per mille anni con la loro torre! Allora ci verranno a cercare sottoterra, nelle catacombe dove avremo trovato rifugio (perché saremo nuovamente perseguitati e torturati) ci troveranno e ci grideranno: “Sfamaci, perché coloro che ci avevano promesso il fuoco dei cieli non ce l’hanno dato”. E allora saremo noi a finire la loro torre poiché la finirà chi li sfamerà e saremo noi a sfamarli, nel nome tuo, dando a credere di farlo nel nome tuo. Oh, mai, mai essi saprebbero sfamarsi senza di noi! Nessuna scienza darà loro il pane finché resteranno liberi, e alla fine non potranno che deporre la loro libertà ai nostri piedi e ci diranno: “Rendeteci pure schiavi, ma sfamateci!”. Finalmente capiranno da soli che libertà e pane terreno a piacimento per tutti sono cose fra loro inconcordabili perché mai e poi mai sapranno dividerlo fra loro! E si persuaderanno che non potranno essere mai neppure liberi perché sono deboli, viziosi, inetti e ribelli. Tu hai promesso loro il pane celeste, ma lo ribadisco: può esso competere, dell’eternamente viziosa ed eternamente indegna razza umana, con quello terreno? E se a migliaia e a decine di migliaia ti seguiranno in nome del pane celeste, che avverrà dei milioni e dei miliardi di esseri che non troveranno la forza di disdegnare il pane terreno per quello celeste? O forse a te sono care solo quelle decine di migliaia di esseri grandi e forti, mentre gli altri milioni di deboli – numerosi come i granelli di sabbia, che tuttavia ti amano – devono essere solo materiale per i grandi e per i forti? No, a noi anche i deboli sono cari. Sono viziosi e ribelli, ma alla fine diventeranno arrendevoli. Ci ameranno e ci riterranno simili agli dei, perché, mettendoci alla loro testa, abbiamo accettato di sopportare la libertà e di dominarli, tanto li atterrirà alla fine l’essere liberi! Ma noi diremo che obbediamo a te e che governiamo a nome tuo. Così li inganneremo di nuovo perché non lasceremo più che ti accosti a noi. E appunto in questo inganno starà la nostra sofferenza giacché dovremo mentire.
Ecco qual era il significato di questa prima domanda nel deserto ed ecco che cosa respingesti in nome di quella libertà da te posta al di sopra di tutto! E, tuttavia, nella domanda era racchiuso un grande mistero di questo mondo. Accettando i “pani” avresti dato una risposta all’eterna e universale angoscia dell’uomo, del singolo individuo come dell’umanità intera, e cioè: “Dinanzi a chi inchinarsi?”. Non vi è affanno più tormentoso e continuo per l’uomo, rimasto libero, che il ricercare al più presto qualcuno da venerare. Ma l’uomo ricerca qualcosa che sia già inconfutabile, tanto inconfutabile che tutti gli esseri acconsentano unanimemente ed universalmente a venerare. Perché la preoccupazione di questi miseri esseri non è soltanto quella di trovare qualcosa che possa essere venerata dall’uno o dall’altro, bensì di trovare qualcosa in cui tutti credano e che tutti venerino, ma tutti insieme, senza eccezione. E proprio questo bisogno di comunione nella venerazione è il più grande tormento di ogni singolo individuo e dell’umanità intera fin dall’inizio dei secoli. Per esso si sono sterminati a vicenda con la spada. Hanno creato degli dei e si sono sfidati l’un l’altro: “Abbandonate i vostri dei e venite ad adorare i nostri!” E così sarà fino alla fine del mondo, anche quando gli Dei scompariranno dalla Terra: comunque si getteranno in ginocchio davanti agli idoli! Tu lo sapevi, tu non potevi non sapere questo fondamentale segreto della natura umana, ma respingesti la sola irrefutabile bandiera che ti veniva offerta per far sì che tutti si inchinassero senza discutere davanti a te: la bandiera della libertà e del pane celeste. Guarda che cosa hai fatto poi e sempre in nome della libertà! Io ti dico che non vi è per l’uomo affanno più grande che quello di trovare al più presto qualcuno a cui rendere il dono della libertà che quell’infelice ha avuto nascendo. Ma si impossessa della libertà degli uomini solo chi pacifica la loro coscienza. Con il pane ti si offriva una bandiera inattaccabile: dagli il pane e l’uomo ti si inchinerà poiché non vi è nulla di più indiscutibile del pane; ma se, a un tempo, qualcun altro si impossesserà della sua coscienza oltre a te, oh, allora, getterà via anche il tuo pane e seguirà chi ha lusingato la sua coscienza.
In questo avevi ragione. Perché il segreto dell’esistenza umana non sta solo nel vivere, ma in ciò per cui si vive. Senza sapere con certezza per che cosa vive, l’uomo non accetterà di vivere e si sopprimerà pur di non restare sulla Terra, se anche intorno a lui non vi fossero che pani. È così, ma che cosa è accaduto? Anziché impossessarti della libertà degli uomini, tu l’hai accresciuta ancora di più! O avevi forse dimenticato che la tranquillità e persino la morte sono più care all’uomo della libera scelta fra il bene e il male? Non vi è nulla di più allettante per l’uomo della libertà di coscienza, ma nulla è altrettanto tormentoso. Ed ecco che, invece di fermi principi con cui rassicurare la coscienza dell’uomo una volta per sempre, tu hai scelto tutto quello che vi era di più insolito, dubbio e oscuro e che era al di sopra delle loro forze, e perciò hai agito come se non li amassi affatto! E chi mai avrebbe agito così? Proprio Colui che era venuto a dare la sua vita per loro! Anziché impossessarti della libertà umana tu l’hai potenziata e hai oppresso per sempre con il fardello dei suoi tormenti il dominio spirituale degli uomini. Tu hai voluto il libero amore dell’uomo affinché ti seguisse liberamente, ammaliato e conquistato da te. In luogo dell’antica legge stabilita, sarebbe stato l’uomo d’ora in poi a dover decidere liberamente nel suo cuore tra il bene e il male, avendo come unica guida la tua immagine. Ma è mai possibile che tu non abbia pensato che alla fine avrebbe contestato e ripudiato anche la tua immagine e la tua verità, se lo si fosse oppresso con un fardello così terribile come la libertà di scelta? Esclameranno infine che la libertà non è in te, perché non si poteva lasciarli più preda di ansie e di tormenti di quanto tu hai fatto, dando loro tanti affanni e problemi insolubili. In tal modo fosti tu a porre le basi per la rovina del tuo regno e non attribuirne quindi la colpa a nessuno. E che cosa ti si offriva invece?
Vi sono tre forze, tre sole forze sulla Terra in grado di vincere e incatenare per sempre la coscienza di questi esseri miseri e ribelli, per garantire loro la felicità: il miracolo, il mistero e l’autorità. Tu rifiutasti la prima, la seconda e la terza, dando così l’esempio. Quando lo spirito terribile e saggio ti pose in cima al tempio e ti disse: “Se vuoi sapere se sei Figlio di Dio, gettati giù, poiché di Lui è stato detto che gli angeli lo sosterranno e lo porteranno ed Egli non cadrà e non si sfracellerà, e saprai allora se tu sei il Figlio di Dio e dimostrerai la tua fede nel Padre tuo” – tu, dopo averlo ascoltato, respingesti l’offerta, non ti piegasti e non ti gettasti giù. Oh, certo, agisti allora magnificamente, fieramente, come un dio; ma gli uomini, questa debole razza ribelle, sono forse dei? Oh, tu comprendevi che facendo un solo passo, anche il solo gesto di gettarti giù avresti subito tentato il Signore e avresti perduto la tua fede in Lui e ti saresti sfracellato su quella Terra che eri venuto a salvare, e lo spirito ingegnoso che ti aveva tentato avrebbe esultato. Ma, ti ripeto, sono forse molti quelli come te? È mai possibile che tu abbia supposto, seppure per un attimo, che anche gli uomini potessero resistere a una tentazione simile? La natura umana è forse fatta per rinnegare il miracolo e, in momenti così cruciali della vita, dinanzi ai più inquietanti, tormentosi e fondamentali interrogativi spirituali affidarsi soltanto alla libera decisione del cuore? Oh, tu sapevi che la tua opera sarebbe stata tramandata dai libri, avrebbe raggiunto il fondo dei tempi e i confini più remoti della Terra, e confidavi, che, seguendoti, anche l’uomo sarebbe rimasto con Dio, senza bisogno di miracoli! Ma tu non sapevi che non appena l’uomo avesse rinnegato il miracolo avrebbe rinnegato anche Dio poiché l’uomo non cerca tanto Dio quanto i miracoli. E, non avendo la forza di rinunciare ai miracoli, l’uomo si creerà nuovi miracoli, suoi propri, e si inchinerà ai prodigi di un guaritore o alle stregonerie di una fattucchiera fosse anche cento volte ribelle, eretico ed ateo! Tu non scendesti dalla croce quando, per schernirti e per deriderti, ti gridavano: ‘Scendi dalla croce e allora crederemo che sei tu’. Tu non scendesti perché ancora una volta non volesti rendere schiavo l’uomo con un miracolo e bramavi una fede libera, non fondata sul miracolo. Bramavi un amore libero e non il servile fervore di uno schiavo dinanzi al potente che l’atterrisce per sempre. Ma anche qui tu hai tenuto troppo in conto gli uomini poiché essi sono di certo degli schiavi, benchè siano stati creati ribelli. Guarda e giudica, ormai sono trascorsi quindici secoli: chi hai innalzato fino a te? Ti giuro, l’uomo è stato creato più debole e più vile di quanto tu pensassi! Può forse eguagliarti in ciò che hai fatto? Stimandolo tanto, hai agito come se cessassi di averne compassione perché troppo hai preteso da lui, e chi ha fatto questo? Colui che l’amava più di se stesso! Se lo avessi stimato meno avresti preteso anche meno da lui, perché più lieve sarebbe stato il suo fardello. Egli è debole e vile. Che importa se ora si ribella ovunque contro il nostro potere e si inorgoglisce della sua ribellione? È l’orgoglio del bambino e dello scolaretto! Sono bambini che hanno tumultuato in classe e hanno scacciato il maestro. Ma finirà anche l’entusiasmo dei bimbetti e costerà loro caro. Abbatteranno i templi e inonderanno di sangue la Terra. Ma si accorgeranno alla fine, questi scolaretti superbi di essere solo dei ribelli e dei ribelli deboli, incapaci di sostenere la propria ribellione. Versando le loro sciocche lacrime, riconosceranno infine che chi li ha creati ribelli voleva di certo farsi beffe di loro. E lo diranno in preda alla disperazione e le loro parole saranno una bestemmia che li renderà ancora più infelici, perché la natura umana non tollera la bestemmia e alla fine sempre se ne vendica. E così inquietudine, sgomento e infelicità sono l’attuale sorte degli uomini dopo che tu hai sofferto tanto per la loro libertà! Il tuo grande profeta, nella sua visione e nella sua allegoria, dice di aver veduto tutti coloro che partecipano alla prima resurrezione e che ve n’erano dodicimila per ogni tribù. Ma se erano tanti voleva dire che non erano uomini, bensì dei. Hanno sopportato la tua croce, per decine di anni hanno sopportato la fame e il nudo deserto, cibandosi di cavallette e di radici, e ormai puoi mostrare con orgoglio questi figli della libertà, dell’amore libero, del libero e magnifico sacrificio da loro compiuto nel nome tuo. Ma non dimenticare che erano soltanto poche migliaia, e per di più dei: e tutti gli altri? E che colpa hanno tutti gli altri, i deboli, se non hanno saputo sopportare quello che i forti hanno sopportato? Di che cosa è colpevole un’anima debole se non ha la forza di accogliere doni così terribili? Possibile che tu sia venuto davvero solo agli eletti e per gli eletti? Ma se è così, questo è un mistero che noi non possiamo comprendere. E se è un mistero, avevamo noi pure il diritto di predicarlo e di insegnare agli uomini che non la libera decisione del loro cuore importa, né l’amore, bensì il mistero a cui devono assoggettarsi ciecamente, anche contro la loro coscienza. E così abbiamo fatto. Abbiamo corretto la tua opera, fondandola sul miracolo, sul mistero e sull’autorità. E gli uomini si sono rallegrati di essere guidati di nuovo come un gregge e di vedere il loro cuore finalmente liberato da un dono tanto terribile che aveva arrecato loro tanti tormenti. Avevamo ragione di insegnare e di agire così? Dillo! Non amavamo forse l’umanità, riconoscendo con tanta umiltà la sua debolezza, alleviando con amore il suo fardello e permettendo alla sua debole natura di peccare, ma con il nostro consenso? Perché mi fissi in silenzio, con il tuo sguardo mite e penetrante? Adirati, io non voglio il tuo amore perché io stesso non ti amo. E che cosa avrei da nasconderti? O non so con chi sto parlando? Ciò che intendo dirti, ti è già noto: lo leggo nei tuoi occhi. E sarei io a doverti nascondere il nostro segreto? Forse vuoi proprio sentirlo dalle mie labbra? Allora senti: noi non siamo come te, ma come Lui – ecco il nostro segreto! Da un pezzo non siamo più con te, ma con Lui: da ormai otto secoli. Sono precisamente otto secoli che accettammo da Lui ciò che tu respingesti con sdegno, quell’ultimo dono che Egli ti offriva mostrandoti tutti i regni terreni: noi accettammo da Lui Roma e la spada dei Cesari e dichiarammo di essere i soli re della Terra, gli unici, benchè finora non siamo riusciti a portare a compimento la nostra opera. Ma di chi è la colpa? Oh, la nostra opera è solo al principio, ma è già cominciata. Ancora a lungo bisognerà attendere il suo compimento e la Terra soffrirà ancora molto, ma noi raggiungeremo il fine, saremo Cesari e allora ci preoccuperemo della felicità universale. Però tu avresti già allora potuto prendere la spada dei Cesari. Perché respingesti quest’ultimo dono? Accettando questo terzo consiglio dello spirito potente tu avresti esaudito tutto ciò che l’uomo cerca sulla Terra, e cioè: chi venerare, a chi affidare la propria coscienza e in che modo infine riunirsi tutti in un unico formicaio comune e concorde, perché il bisogno di un’unione universale è il terzo e ultimo tormento degli uomini. Da sempre l’umanità, nel suo insieme, ha mirato a organizzarsi in modo universale. Molti furono i popoli che hanno avuto una grande storia, ma quanto più avanzati erano questi popoli tanto più erano infelici perché avvertivano più profondamente degli altri l’esigenza di un’unione universale fra gli uomini. Grandi conquistatori, come Timur e Gengis-Khan, passarono sulla terra come un turbine, mirando a conquistare l’universo, ma anche loro, sia pur inconsapevolmente, esprimevano la stessa grande esigenza umana di un’unione universale. Accettando il mondo e la porpora dei Cesari, avresti fondato il regno universale e garantito una pace universale. Chi infatti dovrebbe dominare gli uomini se non coloro che dominano la loro coscienza e nelle cui mani è il loro pane? E noi prendemmo la spada dei Cesari, e prendendola, naturalmente ripudiammo te e seguimmo Lui. Oh, trascorreranno ancora secoli di eccessi del libero pensiero, di scienza e di antropofagia perché, avendo iniziato a erigere la Torre di Babele senza di noi, è con l’antropofagia che finiranno! Ma appunto allora la bestia striscerà verso di noi e leccherà i nostri piedi, spruzzandoli con le lacrime di sangue che sgorgheranno dai suoi occhi. E noi ci assideremo sulla bestia e leveremo in alto un calice su cui sarà scritto: Mistero! Ma solo allora e da lì avrà inizio il regno della pace e della felicità per gli uomini. Tu sei orgoglioso dei tuoi eletti, ma tu non hai che eletti, mentre noi porteremo la serenità a tutti. E ancora: quanti di quegli eletti e di quei forti che avrebbero potuto diventarlo si sono stancati infine di attenderti e hanno portato e porteranno le forze del loro spirito e l’ardore del loro cuore in un altro campo e finiranno per innalzare proprio contro di te la loro libera bandiera! Ma tu stesso hai innalzato questa bandiera. Con noi invece saranno tutti felici e non si ribelleranno più né si stermineranno a vicenda, come facevano ovunque con la tua libertà. Oh, noi li convinceremo che saranno liberi soltanto quando rinunceranno alla loro libertà in nostro favore e si assoggetteranno a noi. Ebbene, avremo ragione o mentiremo? Essi stessi si persuaderanno che abbiamo ragione perché rammenteranno a quale orrenda schiavitù e a quale orrendo turbamento li avrebbe condotti la tua libertà. La libertà, il libero pensiero e la scienza li condurranno in tali labirinti e li porranno davanti a tali miracoli e a tali indecifrabili misteri che alcuni di loro, indocili e violenti, si distruggeranno da sé, mentre altri, indocili ma deboli, si stermineranno fra loro, e gli ultimi rimasti, deboli e infelici, strisceranno ai nostri piedi e ci grideranno: ‘Sì, avevate ragione: voi siete i soli a possedere il suo segreto e noi torniamo da voi. Salvateci da noi stessi’. Ricevendo da noi il pane, vedranno certo chiaramente che quello è il loro pane, guadagnato dalle loro braccia e che noi lo prendiamo per distribuirlo, senza alcun miracolo; vedranno che non abbiamo mutato in pane le pietre, ma inverità più che del pane stesso saranno lieti di riceverlo dalle nostre mani! Perché ricorderanno anche troppo bene che prima, senza di noi, il pane da loro guadagnato si tramutava nelle loro mani in pietre, mentre, una volta tornati da noi, quelle stesse pietre si sono mutate in pane. E apprezzeranno anche troppo che cosa vuol dire sottomettersi una volta per sempre! E finchè gli uomini non lo capiranno non saranno felici. Dimmi: chi più di tutti ha favorito questa incomprensione? Chi ha diviso il gregge, disperdendolo per vie sconosciute? Eppure il gregge si radunerà di nuovo e tornerà a sottomettersi, questa volta per sempre. Allora daremo loro la tranquilla, umile felicità degli esseri deboli quali essi sono. Oh, noi li convinceremo infine a non insuperbirsi giacchè tu, innalzandoli, hai insegnato loro a insuperbirsi; dimostreremo loro che sono deboli, che sono soltanto dei poveri fanciulli, ma che la felicità dei fanciulli è più dolce di ogni altra. Diventeranno timorosi e per la paura guarderanno a noi, si stringeranno a noi come i pulcini alla chioccia. Ci ammireranno e ci temeranno, e saranno fieri di noi, così potenti e intelligenti da essere riusciti a domare un gregge così turbolento e illimitato. Tremeranno di fronte alla nostra collera, la loro intelligenza si intimidirà e i loro occhi si faranno lacrimosi come quelli delle donne e dei bambini, ma altrettanto facilmente passeranno, a un nostro cenno, all’allegria e al riso, alla gioia radiosa e alle leggiadre canzoncine infantili. Sì, li costringeremo a lavorare, ma nelle ore libere dalla fatica organizzeremo la loro vita come un gioco infantile, con fanciulleschi cori e canti e danze innocenti. Oh, concederemo loro anche il peccato perché sono deboli e fragili e ci ameranno come bambini perché permetteremo loro di peccare. Diremo loro che ogni peccato, purchè commesso con il nostro consenso, verrà riscattato; che concediamo loro di peccare perché li amiamo e che il castigo per questi peccati lo prenderemo su di noi. Lo prenderemo su di noi ed essi ci adoreranno come benefattori perché ci saremo fatti carico dei loro peccati dinanzi a Dio. E non avranno più segreti per noi. Noi permetteremo o proibiremo loro di vivere con le proprie mogli o amanti, di avere o non avere figli – sempre giudicando in base alla loro obbedienza – e loro si assoggetteranno con allegria e con gioia alla nostra decisione perché ciò li libererà da un grande affanno e dalla terribile attuale sofferenza di dover decidere da sé. E tutti saranno felici, milioni e milioni di esseri, fuorchè quel centinaio di migliaia che saranno alla loro guida. Perché solo noi, che siamo depositari del segreto, saremo infelici. Vi saranno miliardi di creature felici e centomila martiri che avranno preso su di sé la maledizione della conoscenza del bene e del male. Morranno quietamente, quietamente si spegneranno nel tuo nome, e oltre la tomba non troveranno che la morte. Ma noi serberemo il segreto e per la loro felicità li alletteremo con una ricompensa celeste ed eterna. Perché, seppure vi fosse qualcosa nell’altro mondo, non sarebbe certo per quelli come loro. Dicono e profetizzano che tu verrai e vincerai di nuovo, verrai con i tuoi eletti, fieri e potenti, ma noi diremo che loro hanno salvato soltanto loro stessi, mentre noi abbiamo salvato tutti. Dicono che la meretrice assisa sulla bestia con il calice del mistero fra le mani sarà disonorata, che i deboli si ribelleranno di nuovo, che strapperanno la sua porpora e denuderanno il suo corpo ‘impuro’. Ma allora io mi alzerò e ti mostrerò i miliardi di creature felici che non hanno conosciuto il peccato. E noi, che per la loro felicità ci saremo fatti carico dei loro peccati, ci alzeremo dinanzi a te e ti diremo: ‘Giudicaci, se puoi e se osi’. Sappi che io non ti temo. Sappi che anch’io sono stato nel deserto e mi sono cibato di cavallette e di radici, e anch’io benedicevo la libertà con la quale tu avevi benedetto gli uomini e mi preparavo ad entrare nel numero dei tuoi eletti, nel numero dei potenti e dei forti, bramando di ‘completare il numero’. Ma tornai in me e non volli servire la causa della tua follia. Tornai e mi unii alla schiera di coloro che hanno corretto la tua opera. Mi allontanai dai superbi e tornai agli umili, per la felicità di quegli umili. Ciò che ti dico si avvererà e sorgerà il nostro regno. Ti ripeto che domani stesso tu vedrai questo docile gregge che al mio primo cenno si precipiterà ad attizzare i carboni ardenti del tuo rogo, sul quale ti farò bruciare perché sei venuto a disturbarci. Giacchè se vi è qualcuno che più di tutti abbia meritato il nostro rogo, quello sei tu. Domani ti farò bruciare. Dixi.”
Fedor Michailovic Dostoevskij; “Il Grande Inquisitore”, da “I fratelli Karamazov”