“La mia è una storia semplice. Dovete solo immaginarvi una ragazza in una stanza da letto con una penna in mano. Tutto quel che doveva fare era far scorrere quella penna da sinistra a destra dalle dieci all’una. Poi le venne in mente di fare qualcosa di abbastanza semplice e non costoso—mettere alcune di quelle pagine in una busta, incollarci sopra un francobollo e infilarle nella cassetta postale rossa all’angolo. Fu così che diventai una giornalista e i miei sforzi furono premiati il primo giorno del mese successivo—un giorno glorioso per me—da una lettera mandata da un redattore che conteneva un assegno di una sterlina, dieci scellini e sei pence. Ma per mostrarvi quanto poco io possa meritare di essere chiamata una donna che lavora, quanto poco io sappia delle lotte e delle difficoltà di questo tipo di vita, ammetterò con voi che invece di spendere quella somma per comprare pane e burro, pagare l’affitto, comprare scarpe e calze o saldare il conto del macellaio, io sono andata a comprarmi un gatto, un gatto persiano che mi ha subito messo in cattivi rapporti con i vicini.
Cosa c’è di più facile che scrivere articoli e comperare gatti persiani con i guadagni? Ma aspettate un momento. Gli articoli devono parlare di qualcosa. Il mio, mi pare di ricordare, era su un romanzo scritto da un uomo famoso. E mentre scrivevo questo pezzo mi resi conto che se volevo scrivere recensioni avrei dovuto scontrarmi con un certo fantasma. Il fantasma era una donna e dopo averla conosciuta meglio la chiamai, come l’eroina di una famosa poesia, “l’Angelo del focolare”. Era lei che si metteva in mezzo tra me e il foglio di carta quando scrivevo recensioni. Era lei che mi disturbava—mi faceva perdere così tanto tempo che alla fine l’ho uccisa. Voi che appartenete a una generazione più giovane e più felice potreste non aver mai sentito parlare di lei—potreste non sapere cosa intendo per “Angelo del focolare”.
La descriverò più brevemente possibile. Era profondamente comprensiva, immensamente affascinante e assolutamente altruista. Eccelleva nella difficile arte della vita familiare. Si sacrificava quotidianamente. Se si mangiava pollo, lei prendeva la zampa, se c’era corrente d’aria, le ci si sedeva in mezzo. In breve, per sua costituzione non aveva mai un’opinione o un desiderio suo, ma preferiva sempre simpatizzare con le opinioni e i desideri degli altri. Soprattutto—non c’è bisogno di dirlo—lei era pura. La sua purezza era considerata la sua principale bellezza, i suoi rossori erano la sua grazia più grande. In quei tempi, gli ultimi della regina Vittoria, ogni casa aveva il suo Angelo. E quando cominciai a scrivere, la incontrai già dalle prima parole. L’ombra delle sue ali cadeva sulla mia pagina; sentivo il frusciare delle sue gonne nella stanza. Quando misi mano alla pena per recensire il romanzo di quell’uomo illustre, lei strisciò dietro di me e sussurrò: “Mia cara, tu sei una giovane donna e stai scrivendo di un libro che è stato fatto da un uomo. Sii comprensiva, sii tenera, lusinga, usa tutte le arti e gli inganni del tuo sesso. Non lasciare mai trapelare che hai un pensiero tuo. E soprattutto, sii pura”. E fece il gesto di guidare la mia penna. E ora riferisco l’atto per il quale mi prendo qualche merito, anche se in verità il merito va ad alcuni miei antenati eccellenti che mi hanno lasciato una certa somma di denaro—diciamo 500 sterline l’anno? —così che non era necessario per me dipendere solo dalle mie grazie per vivere. Insomma, mi sono voltata e l’ho afferrata alla gola. Ho fatto del mio meglio per ucciderla; la mia scusa, se dovessi comparire in tribunale, sarebbe che ho agito per legittima difesa. Se non l’avessi uccisa io, lei avrebbe ucciso me. Avrebbe sfilato il cuore dalla mia scrittura. Infatti, come ho capito quando metto la penna direttamente sulla carta, non si può recensire nemmeno un romanzo senza avere un pensiero proprio, senza esprimere quella che si pensa sia la verità delle relazioni umane, della morale, del sesso. E secondo l’Angelo del Focolare queste cose non possono essere trattate apertamente e liberamente dalle donne: esse devono affascinare, riconciliare, devono—per dirla chiaramente—mentire per avere successo. Così ogni volta che percepivo l’ombra della sua ala, o la luce della sua aureola sulla mia pagina, prendevo il calamaio e glielo tiravo addosso. È stata dura a morire. La sua esistenza immaginaria le è stata di grande aiuto. È molto più difficile uccidere un fantasma che una creatura reale. Si rifaceva viva ogni volta che pensavo di averla finita. Anche se mi piace pensare di averla finalmente uccisa, la lotta è stata ardua. Ha portato via il tempo che avrei speso più proficuamente studiando il greco o viaggiando per il mondo in cerca di avventure. Ma è stata una vera esperienza, un’esperienza che doveva capitare a tutte le donne che scrivevano a quel tempo. Uccidere l’Angelo del Focolare era parte della professione di scrittrice.Ma per continuare la storia delle mia esperienza professionale. Ho guadagnato una sterlina e sei scellini con quella prima recensione e ho comprato una gatto persiano con i guadagni. Poi sono diventata ambiziosa. Un gatto persiano va bene, mi sono detta, ma un gatto persiano non è abbastanza. Devo avere un’automobile. Ed è così che sono diventata una romanziera—è una cosa molto strana che le persone ti diano un’automobile se racconti loro una storia. Ed è ancora più strano che non ci sia niente di così delizioso quanto raccontare storie. È molto più piacevole che scrivere recensioni di romanzi famosi. E tuttavia, se devo obbedire alla vostra segretaria e parlare delle mie esperienze come romanziera, devo riferirvi un’esperienza molto strana che mi è capitata. E per comprenderla, dovete prima immaginarvi lo stato mentale di un romanziere. Spero di non divulgare alcun segreto professionale se dico che il desiderio principale di un romanziere è di essere il più inconsapevole possibile. Deve mettersi in uno stato di perpetua letargia. Per questo chi scrive vuole che la vita proceda nella più assoluta quiete e regolarità. Vuole vedere le stesse facce, leggere gli stessi libri, fare le stesse cose giorno dopo giorno, mese dopo mese, mentre scrive, perché nulla infranga l’illusione in cui vive, perché nulla possa disturbare o inquietare i misteriosi vagabondaggi, i sentimenti, gli scatti, le fughe e le improvvise scoperte di quello spirito timido ed elusivo, l’immaginazione. Io sospetto che questo stato mentale sia lo stesso per uomini e donne. Sia come sia, voglio che voi mi immaginiate scrivere un romanzo in uno stato di trance. Voglio che vi rappresentiate una ragazza seduta con la penna in mano che non intinge nel calamaio per minuti interi e perfino per ore. L’immagine che mi viene in mente quando penso a questa ragazza è quella di un pescatore sprofondato nei sogni che sta sul bordo di un profondo lago con una canna sospesa sull’acqua. La ragazza lasciava che l’immaginazione esplorasse in ogni angolo e sporgenza del mondo che è nascosto nelle profondità del nostro inconscio. Ma ecco l’esperienza, l’esperienza che considero essere di gran lunga più comune tra le scrittrici che tra gli scrittori. La riga scorreva tra le dita della ragazza. La sua immaginazione era balzata in avanti. Aveva scovato le pozze, le profondità e i luoghi oscuri dove sonnecchiano i pesci più grossi. E poi ci fu uno scontro e un esplosione. Ci fu schiuma e confusione. L’immaginazione aveva cozzato contro qualcosa di duro. La ragazza si risvegliò dal suo sogno. Era, adesso, in uno stato di acuto e impervio disagio. Per dirla in parole povere, aveva pensato a qualcosa, qualcosa a proposito del corpo e delle passioni di cui per una donna era inappropriato parlare. Gli uomini—le diceva l’intelletto—sarebbero rimasti scioccati. La consapevolezza di quel che gli uomini avrebbero detto di una donna che dice la verità sulle sue passioni la avevano risvegliata dal suo stato di incoscienza di artista. Ora non poteva più scrivere. La trance era finita. La sua immaginazione non funzionava più. Credo che questa sia un’esperienza molto comune delle donne che scrivono—sono ostacolate dalla convenzionalità dell’altro sesso. Infatti, anche se gli uomini con grande buon senso permettono a se stessi molta libertà in merito, dubito che si accorgano o che possano controllare l’estrema severità con cui giudicano un’analoga libertà nelle donne.Queste sono state le mie due esperienze autentiche, due avventure della mia vita professionale. La prima—uccidere l’Angelo del focolare—penso che sia risolta. L’Angelo è morto. Ma la seconda, dire la verità sulla mia esperienza del corpo non credo che sia risolta. Dubito che esista una donna che sia riuscita a farlo. Gli ostacoli contro di lei sono enormemente potenti, ma difficili da definire. Visto dall’esterno che cosa c’è di più semplice che scrivere libri? Dall’interno, io credo, le cose sono diverse–lei ha ancora molti fantasmi da scacciare e molti pregiudizi da superare. Ci vorrà molto tempo, credo, prima che una donna possa sedersi a scrivere un libro senza scontrarsi con un fantasma da uccidere o un sasso da scagliare. E se è così per la letteratura, la professione più aperta alle donne, come sarà per le nuove professioni in cui state ora entrando per la prima volta?
Queste sono le domande che, se avessi tempo, vorrei porvi. E in verità se ho insistito sulle mie esperienze professionali, è perché credo che, pur in forma diversa, siano anche le vostre. Anche là dove la strada è nominalmente aperta—quando non c’è nulla che impedisca a una donna di diventare un medico, un avvocato, un funzionario—rimangono, io credo, molti fantasmi e ostacoli a ostruire la via. Io credo che definirli e discuterne sia una cosa di grande valore e importanza. Solo così la fatica può essere condivisa e le difficoltà saranno risolte. Ma oltre a questo è anche necessario discutere i fini e gli obiettivi per cui lottiamo e per cui affrontiamo questi formidabili ostacoli. Tali obiettivi non possono essere dati per scontati, devono essere continuamente riesaminati e messi in questione. La cosa, per come la vedo io—in questa sala piena di donne che esercitano non so quante professioni per la prima volta nella storia—è di straordinario interesse e importanza. Vi siete conquistate una stanza tutta per voi nella casa che è stata finora degli uomini. Siete in grado, anche se non senza fatica e sforzo, di pagare l’affitto. Vi guadagnate le vostre 500 sterline all’anno. Ma questa nuova libertà non è che l’inizio—la stanza è vostra ma è ancora spoglia. Deve essere arredata; deve essere decorata, deve essere condivisa. Come la arrederete? Come la decorerete? Queste, io credo, sono questioni di grande importanza e interesse. Per la prima volta siete in grado di interrogarvi; per la prima volta siete in grado di decidere da sole quale dovrebbe essere la risposta. Volentieri rimarrei con voi a discutere queste questioni—ma non questa sera. Il mio tempo è scaduto, e io devo concludere.
Virginia Woolf, da “Professioni per le donne”, versione abbreviata di un discorso tenuto da Virginia Woolf nel 1931 in una sezione della “National Society for Women’s Service” e pubblicato postumo nella raccolta “The Death of the Moth and Other Essays”