“Il mondo: una foglia appesa all’albero dell’universo”.
Fabrizio Caramagna
Carla Babudri, “Cantico alla Madre Terra”, da “Canti e incanti”
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Chissà che cosa c’è
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Foto di Frédéric Lagrange
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La Rivoluzione del Contadino Impazzito
Wislawa Szymborska, “Compleanno”
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Disattenzione
“Ieri mi sono comportata male nel cosmo.
Ho passato tutto il giorno senza fare
domande,
senza stupirmi di niente.
Ho svolto attività quotidiane,
come se ciò fosse tutto il dovuto.
Inspirazione, espirazione, un passo dopo
l’altro, incombenze,
ma senza un pensiero che andasse più in là
dell’uscire di casa e del tornarmene a casa.
Il mondo avrebbe potuto essere preso per
un mondo folle,
e io l’ho preso solo per uso ordinario.
Nessun come e perché –
e da dove è saltato fuori uno così –
e a che gli servono tanti dettagli in movimento.
Ero come un chiodo piantato troppo in
superficie nel muro
(e qui un paragone che mi è mancato).
Uno dopo l’altro avvenivano cambiamenti
perfino nell’ambito ristretto d’un batter
d’occhio.
Su un tavolo più giovane da una mano d’un
giorno più giovane
il pane di ieri era tagliato diversamente.
Le nuvole erano come non mai e la pioggia
era come non mai,
poiché dopotutto cadeva con gocce diverse.
La terra girava intorno al proprio asse,
ma già in uno spazio lasciato per sempre.
E’ durato 24 ore buone.
1440 minuti di occasioni.
86.400 secondi in visione.
Il savoir-vivre cosmico,
benché taccia sul nostro conto,
tuttavia esige qualcosa da noi:
un po’ di attenzione, qualche frase di Pascal
e una partecipazione stupita a questo gioco
con regole ignote.”
Wislawa Szymborska, “Disattenzione”
“Un miracolo comune:
l’accadere di molti miracoli comuni.
Un miracolo normale:
l’abbaiare di cani invisibili
nel silenzio della notte.
Un miracolo fra tanti:
una piccola nuvola svolazzante,
che riesce a nascondere una grande pesante luna.
Più miracoli in uno:
un ontano riflesso sull’acqua
e che sia girato da destra a sinistra,
e che cresca con la chioma in giù,
e non raggiunga affatto il fondo
benché l’acqua sia poco profonda.
Un miracolo all’ordine del giorno:
venti abbastanza deboli e moderati,
impetuosi durante le tempeste.
Un miracolo alla buona:
le mucche sono mucche.
Un altro non peggiore:
proprio questo frutteto
proprio da questo nocciolo.
Un miracolo senza frac nero e cilindro:
bianchi colombi che si alzano in volo.
Un miracolo – e come chiamarlo altrimenti:
oggi il sole è sorto alle 3,14
e tramonterà alle 20.01
Un miracolo che non stupisce quanto dovrebbe:
la mano ha in verità meno di sei dita,
però più di quattro.
Un miracolo, basta guardarsi intorno:
il mondo onnipresente.
Un miracolo supplementare, come ogni cosa:
l’inimmaginabile
è immaginabile.”
Wislawa Szymborska, “La fiera dei miracoli”
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Paura dell’amore
“Non aver paura dell’amore. Posa la tua mano
lentamente sul petto della terra e senti respirare
i nomi delle cose che lì stanno
crescendo: il lino e la genziana, la verzura odorosa
e le campanule blu; la menta profumata per
le bevande dell’estate e l’ordito delle radici di una
pianticella d’alloro che si organizza come un reticolo
di vene nella confusione di un corpo.
Mai la vita
è stata solo inverno.”
Maria do Rosário Pedreira, “Paura dell’amore”
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Terra
Paolo Fresu, “Terra”, da “Poesie jazz per cuori curiosi”
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Veronika Citro, “Madre Terra”, 2020
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Inno
“Non c’è nessuno fra te e me.
Né pianta che attinge i succhi dal profondo della terra,
né animale, né uomo,
né vento che cammina fra le nuvole.
I più bei corpi sono vetro trasparente.
Le fiamme più ardenti acqua che lava i piedi stanchi dei
viaggiatori.
Gli alberi più verdi piombo fiorito nel cuore della notte.
L’amore è sabbia inghiottita da labbra aride.
L’odio una brocca salata offerta all’assetato.
Scorrete, fiumi: alzate le vostre mani,
città! Io, fedele figlio della terra nera, farò ritorno
alla terra nera,
come se la mia vita non fosse stata,
come se canzoni e parole create le avesse
non il mio cuore, non il mio sangue,
non il mio esistere,
ma una voce sconosciuta, impersonale,
solo lo sciabordio delle onde, solo il coro dei venti,
solo il dondolio autunnale
dei grandi alberi.
Non c’è nessuno fra te e me,
e a me è data la forza.
Le montagne bianche pascolano sulle pianure della terra,
vanno verso il mare, alla loro abbeverata,
soli sempre nuovi si inchinano
sulla valle del piccolo e stretto fiume dove sono nato.
Non ho né saggezza, né talento, né fede,
ma ho avuto la forza, essa lacera il mondo.
Onda pesante mi infrangerò sulle sue rive
e me ne andrò, farò ritorno nei territori delle acque eterne,
e un’onda nuova ricoprirà di schiuma le mie orme.
Oscurità!
Tinta dal primo chiarore dell’alba,
come il polmone strappato da una bestia squarciata
ti dondoli, ti immergi.
Quante volte ho navigato con te
Trattenuto nel mezzo della notte,
sentendo una voce sulla tua testa agghiacciata,
il grido dell’urogallo, il fruscìo dell’erica,
e due mele brillavano sulla tavola
o le forbici aperte rilucevano –
-e noi eravamo simili:
mele, forbici, oscurità e io –
sotto la stessa, immobile,
assira, egiziana e romana
luna.
Si alternano le stagioni, uomini e donne si accoppiano,
i bambini nel dormiveglia fanno correre le mani sui muri,
disegnando terre oscure col dito bagnato nella saliva,
si alternano le forme, crolla ciò che sembrava invincibile.
Ma fra gli Stati sorgenti dal fondo dei mari,
fra le vie scomparse, al cui posto
si innalzeranno monti costruiti con un pianeta caduto,
contro tutto ciò che è passato, tutto ciò che passa,
si difende la giovinezza, limpida come pulviscolo solare,
né del bene né del male invaghita,
inviata sotto i tuoi immensi piedi,
perché tu la schiacci, la calpesti,
perché tu col tuo alito faccia muovere la ruota
e l’esile struttura tremi al suo movimento,
perché a lei tu dia fame, e agli altri sale, pane e vino.
Ancora non risuona la voce del corno
che chiama gli sbandati, chi giace nelle valli.
La ruota dell’ultimo carro ancora non rimbomba
sul suolo gelato.
Fra te e me non c’è nessuno.”
Czesław Miłosz , “Inno”, 1935
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Ridate loro quel che in loro più non è presente
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Marc Chagall, “Innamorati e margherite”, 1959
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Dispersione
“È che Dio si è fatto prudente
non parla più agli uomini
ma alle api alle maree
ad alberi ostaggi del cemento
a nuvole sudate di petrolio.
E dice Dio alla Natura:
“Riprenditi la tua Terra
appesta il cibo ai gaudenti
asciuga le loro sorgenti,
non avere quiete finché l’alba
certifichi il loro tramonto.
Ecco l’ultimo comandamento:
che l’uomo conquisti l’universo
e là vi si disperda “.
Gianni Pollini, “Dispersione”, da “Contenere la piena” (2019)
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La terra è stufa di noi
“Ci respinge la terra
e ci costringe nell’ultimo varco
ci spogliamo dalle membra per poter passare.
Ci spreme la terra.
Magari fossimo il suo grano
per morire e
Rinascere.
Magari fosse madre nostra
Perché abbia pietà di noi.
Magari fossimo dipinti sulle rocce,
che il nostro sogno porterà,
come specchi.
Abbiamo visto i volti
Di chi verrà assassinato
Dall’ultimo di noi,
in difesa dell’anima!
Abbiamo pianto sulle feste
dei loro bambini.
Abbiamo visto i volti
di chi lancerà i nostri bambini
dalle finestre di questo ultimo spazio.
Specchi che la nostra stella appenderà!
Dove andremo dopo le ultime frontiere?
Dove voleranno le rondini dopo l’ultimo cielo?
E dove dormiranno gli alberi dopo l’ultimo
respiro d’aria?
Scriveremo i nostri nomi
Con vapore scarlatto,
interromperemo il canto,
perché lo completi la nostra carne lacerata.
Qui moriremo,
qui nell’ultimo passaggio,
qui o forse qui,
pianterà i suoi olivi il nostro sangue.”
Mahmoud Darwish, “La terra è stufa di noi”
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Un atlante di un mondo difficile
Adrienne Rich, “Un atlante del mondo difficile”, da “Cartografie del silenzio”
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Renato Guttuso, “Contadini al lavoro”, 1951
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Essere terra è il nostro risultato
“Essere terra è il nostro risultato
lo scorrere zigzagante e tardivo
di un’idea perpendicolare del corpo. La terra è frutto di una decisione
collettiva – è
autentica fondazione – zappatura.
La piegatura delle sue specie folgora e monda: fonda
uno sguardo orizzontale e chiaro: uno specchio (quasi
di acqua) dal quale sgorgare come flauti – energia verticale
con le vanghe
nella terra inzuppata e cariata dal temporale. Dove termina
il pensiero non resta che constatare
l’esistenza
la soavità della mandria
l’orma
del pitecantropo. Selce
della famiglia eretta
(a sacramento).”
Maria Grazia Calandrone, “Essere terra è il nostro risultato”, da “La macchina responsabile”
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Dicerie sulla terra
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Kaoru Yamada
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In una stessa terra
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Nell’immagine: Foto di Antonio Mora, “Dans la forêt”