“Quando Pirandello morì, trovarono un foglietto con su scritto “Mie ultime volontà”. Pirandello voleva essere cremato e le sue ceneri messe in un vaso greco di loro proprietà, che fosse portato ad Agrigento e le sue ceneri buttate nel gran mare africano – così lui scrisse – quello che stava davanti a casa sua. Oppure sepolte nella terra ai piedi del grande pino che sorgeva lì sulla collina della sua casa.
I figli riescono a farlo cremare, mettono le sue ceneri dentro al vaso, che viene portato nel cimitero del Verano a Roma.
Anni dopo, un gruppo di cinque universitari, tra i quali il sottoscritto, decidono che bisogna far tornare queste ceneri ad Agrigento. Allora ci vestiamo in divisa fascista – eravamo giovani fascisti – e chiediamo udienza al federale fascista di Agrigento, il quale ci riceve e chiede: “Cosa volete ragazzi?”.
“Camerata federale, noi vorremmo che le ceneri di Pirandello…”
“Eh?”
“Pirandello, le ceneri!”
“Non pronunciate il nome di questo sporco antifascista! Il colloquio si chiude qui! Saluto al duce!”
“A noi!”.
Aspettammo che cadesse il fascismo e nel ’45 ci recammo – ormai giovani universitari – dal prefetto democratico di Agrigento.
“Eccellenza, noi vorremmo che le ceneri di Pirandello, da Roma …”.
Lui ci lasciò parlare fino alla fine e poi ci disse: “Ma ragazzi vi rendete conto che Pirandello è stato un grande fascista? Non se ne parla nemmeno!”
Ci porse la mano, noi gliela stringemmo e ce ne andammo.
Poi, nel ’48, si fecero le prime elezioni e venne eletto un nostro quasi compaesano, il professor Gaspare Ambrosini.
“Forse il professor Ambrosini può aiutarci” – pensammo e allora gli scrivemmo una lettera e la spedimmo.
Il professor Ambrosini si fece immediatamente in quattro. E infatti andò al Verano, ritrovò l’anfora con le ceneri di Pirandello, ebbe l’autorizzazione a portarsela a casa: qui fece confezionare una scatola di legno per poterci tenere dentro l’anfora e farla viaggiare senza pericolo.
Dopodiché riuscì nell’impresa di pigliare questa cassetta e mettersi in un treno diretto a Palermo. Durante il viaggio ebbe necessità di andare al gabinetto, ma quando tornò non trovò più la cassetta. Allora, disperato, si mise a cercarla e scoprì che nello scompartimento successivo quattro signori avevano preso la cassetta, la tenevano sulle gambe a e stavano giocando a… tresette con il morto – è proprio il caso di dirlo -.
Intanto noi ci eravamo organizzati per questo curioso funerale e la cosa bella è che non avevamo chiesto aiuto a nessuna autorità; però la notizia si sparse e il grande piazzale della stazione, alle 9, era gremito di gente. Faceva impressione. Finalmente vedemmo arrivare la littorina di Ambrosini. Mentre stavamo scendendo, io venni fermato dal Commissario di Pubblica Sicurezza che mi disse: “Questo funerale non si può fare così. Perché il vescovo ha protestato con il questore”.
Allora io esclamai: “Fermi tutti ragazzi, aspettate!”
Corsi al vescovado ed ebbi un incontro con il vescovo, a cui dissi: “Ora è assurdo interrompere la cerimonia”.
“Io non posso permettere che attraverso la città passi un’anfora con dentro le ceneri. La cremazione è proibita“.
Allora ebbi un’idea pirandelliana:
“E se lo mettessimo dentro a una bara?” Ebbe un attimo di esitazione. “Dentro una bara? Non ho nulla in contrario”.
Mi precipitai nell’unica agenzia di pompe funebri che c’era e chiesi: “Me l’affittate una bara?”
“Ma le casse da morto non si affittano”. Spiegai loro di cosa si trattava. “Pronta ne abbiamo una da bambini”.
Mettemmo l’anfora dentro la bara; il corteo funebre attraversò la città fino al museo e l’anfora venne messa insieme ad altre anfore greche, ma con una scritta che diceva: “Contiene le ceneri di Pirandello”.
Anni dopo fecero un concorso per un monumento e lo vinse lo scultore
Mazzacurati, il quale, presa un’enorme pietra nella zona del Caos, le diede qualche colpo di scalpello, incise la maschera di Pirandello e nella parte posteriore praticò un grosso buco per infilarci il cilindro di rame con i resti. La volontà di Pirandello di riposare ai piedi del pino in qualche modo venne esaudita.
Anni dopo, ripulendo le varie anfore, si accorgono che dentro quell’anfora che aveva contenuto le ceneri ci sono ancora ceneri. Decidono di portarle nel luogo dove ci sono le altre. Il capo mastro leva la pietra muraria, estrae il cilindro con le ceneri. Nel frattempo il professor Zirretta estrae dalla tasca un giornale, lo apre, poi con il ramoscello di un albero strofina l’interno dell’anfora e le ceneri cadono sul giornale. A questo punto si rendono conto che quel pugno di ceneri non entra più nel cilindro e l’unica è disperderle come voleva Pirandello davanti al gran mare africano.
Il professore Zirretta prende il giornale, si avvia verso il ciglio della collina e dice: “Oh gran mare afr…” E in quel preciso momento arriva una ventata. Così il foglio di giornale con le ceneri finisce in faccia al professore. Le ceneri si disperdono, il professore è costretto a sputacchiare un po’ di ceneri e a spolverarsi.
E questa è stata la conclusione dell’interramento delle ceneri di Pirandello.”
Andrea Camilleri
Nella foto: l’attrice Marta Abba davanti alle ceneri di Pirandello