“Se vuoi vengo a cercarti.
Magari un giorno che sei in silenzio.
Mi metto al posto del tuo dolore e facciamo una torta, solo per noi.
Non sono bravo a dosare farina, però se vuoi, dico un giorno che sei in silenzio, vengo e disegno sul tagliere una faccia che ride, con una riga all’insù. Se vuoi facciamo finta di essere felici, esagerando, anche sposati da due ore.
Magari il vino lo porto io. Porto tutto quello che non si può dimenticare: una favola, un pretesto, una barca di carta da “scivolarci” sull’acqua.
Se vuoi ti parlo di qualcosa di nuovo, invento una storia dove noi siamo qualcuno.
Niente ipocrisie, solo città reali e buste della spesa.
Un inverno, un’estate, una foglia raccolta per caso prima di suonare al tuo campanello, prima di specchiarmi un’ultima volta sul vetro della macchina: vanità del primo bacio, del primo appuntamento, del “rosso di sera bel tempo si spera”, ironia che sposta paura.
Dico, se vuoi.
Se vuoi guardiamo il giorno diventare notte, una poesia che, lenta, cuoce nel forno.
Dico la torta di prima, anzi no, la poesia, non lo so. Ma se vuoi vengo a cercarti senza fretta, con la solidità di ‘chi cerca trova’, con la saggezza nelle mani e la voglia di imparare a trovarti un po’ di felicità (di perfette cotture all’interno), che si taglia bene e il coltello non si attacca.
Ma solo se vuoi.
Dico che se riusciamo a trovarci, proveremo a cercare un piatto piano per due, per noi, come il profumo che sentivamo da bambini, una torta sul tavolo della cucina, dico…
Dico che se vuoi, io parto anche ieri, arrivo prima che ancora è oggi.
Magari porto un tovagliolo per asciugarti le lacrime e lo zucchero a velo, per decorare le tue labbra.
Se vuoi vengo a cercarti in un giorno di festa o feriale, non importa.
Un giorno che hai silenzio nello stomaco, un giorno… che se vuoi, facciamo anche una torta e disegno una riga all’insù.”