Carla Fracci, “sisarì” (piccolo cece”), la “prima ballerina assoluta”
“Ero una contadina, sono cresciuta con le oche, in mezzo alla terra. Non avrei mai immaginato che esistesse un teatro.
Ho vissuto in campagna, con i nonni e gli zii. Proprio in mezzo alla terra e alle oche. Non pensando che esistesse un teatro.
Poi una signora disse a mia madre: “Questa bambina perché non la iscrivete in un teatro? Perché ha molta grazia e soprattutto molta musicalità”.
“Mio papà era tranviere. Ha fatto la guerra della Russia. Ha sofferto abbastanza.
Alla Scala avevamo la sala Trieste che affacciava qui, sulla piazza. Lui quando passava con il tram scampanellava per salutarmi.
Mia mamma era un’operaia. La scuola di ballo all’epoca era gratuita, altrimenti non avrei mai potuto frequentarla. Non ne avevamo le possibilità. Mia mamma una volta mi disse: “Tu non potrai portare i fiori alle maestre, non ce lo possiamo permettere. Se ce la fai è grazie alle tue possibilità”.
“Quando ho visto sul palco Margot Fonteyn ero una bambina e forse lì mi è scattato qualcosa, perché fino ad allora per me la danza era molto faticosa, volevo lasciare. La maestra diceva a mia mamma che avevo delle possibilità ma non mi applicavo. E in effetti era vero. Per me tornare dalla campagna e trovarmi alla sbarra… e insomma il salto è molto grande. Mi sentivo un po’ come in prigione. Poi ho visto Margot… aveva questa linea, questa eleganza, questo sorriso.
“Ho danzato nei tendoni, nelle chiese, nelle piazze. Sono stata una pioniera del decentramento. Volevo che questo mio lavoro non fosse d’élite, relegato alle scatole d’oro dei teatri d’opera. E anche quand’ero impegnata sulle scene più importanti del mondo sono sempre tornata in Italia per esibirmi nei posti più dimenticati e impensabili.”
“Nella vita ho incontrato tante persone che mi hanno ispirato, che mi hanno dato. Perché è sempre un dare e ricevere. Però in scena sei sola. Circondata da tanta gente ma in effetti sei sola con te tessa, con la tua mente, con la tua testa, con la tua sensibilità. Con i tuoi sentimenti.”
“La danza è poesia perché il suo fine ultimo è esprimere sentimenti, anche se attraverso una rigida tecnica. Il nostro compito è quello di far passare la parola attraverso il gesto.”
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La poesia che Eugenio Montale scrisse per Carla Fracci nel 1969, quando lei era incinta e lontana dalle scene:
Torna a fiorir la rosa
che pur dianzi languia…
Dianzi? Vuol dire dapprima, poco fa.
E quando mai può dirsi per stagioni
che s’incastrano l’una nell’altra, amorfe?
Ma si parla della rifioritura
d’una convalescente,
di una guancia
meno pallente ove non sia muffito
l’aggettivo, del più vivido accendersi
dell’occhio, anzi del guardo.
È questo il solo fiore che rimane
con qualche merto
d’un tuo dulcamara.
A te bastano i piedi sulla bilancia
per misurare i pochi milligrammi
che i già defunti turni stagionali
non seppero sottrarti. Poi potrai
rimettere le ali non più nubecola
celeste ma terrestre e non è detto
che il cielo se ne accorga.
Basta che uno
stupisca che il tuo fiore si rincarna
si meraviglia. Non è di tutti i giorni
in questi nivei défilés di morte.”
Eugenio Montale
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La poesia che Alda Merini dedicò a Carla Fracci
“Delle lusinghe della notte un sogno
esce e percorre tutta la vallata
una fata che genera altri tempi
e vola via come una canzone
non occorre nel vederti danzare
aver letto molti testi
oppure domandandosi
l’origine dell’amore.
Tu sei l’amore
tu sei il sentimento
tu sei illogica
come la ragione
tu sei leggera come la follia.”
Alda Merini