“Ci sono esseri che entrano nella nostra percezione senza mai diventare un nostro affetto, senza mai varcare la soglia del cuore:
figuranti e comparse della nostra vita quotidiana.
Accorgersi che hanno una loro vita, che per qualcun altro sono importanti, che hanno bisogno, come tutti, di bene, sposta l’orizzonte della nostra visuale, lo sposta sull’infinità degli esseri, sulla nostra universale trama.
È importante scoprire che la capienza del cuore può ampliarsi, che esistono pratiche che sono come una ginnastica per il cuore e ci insegnano a non sentire l’essere e la sofferenza solo di chi prediligiamo, ci insegnano la coralità e l’equanimità del volere il bene di tutti.
Il bene perfino di chi ci ha fatto del male, perché, probabilmente, è stata la sua sofferenza a farlo agire ciecamente e augurargli di non soffrire è augurargli di uscire dall’ignoranza, è augurare il bene a tutti e due, senza che significhi condonarne l’azione, né negare la ferita.
È dare una possibilità di venire alla luce a tutto quello che tenevamo stretto e nascosto, permettendoci di sentire la rabbia, il rancore, l’odio, il desiderio di vendetta e lasciando che si trasformino, nell’ospitalità del cuore, senza giudizi e senza fretta.
La pratica della compassione, quando è onesta, fa affiorare il nostro buio, i nostri danni, il rancore, il rimorso, l’odio, e solo cosí possiamo prendercene cura, scoprirci responsabili di quello che facciamo dei nostri pensieri e delle nostre negazioni di tanta parte di noi che ha bisogno di pronto soccorso, non di condanna.
Cesare Pavese scriveva:
“L’offesa più atroce che si può fare a un uomo è negargli che soffra”.
La compassione non solo riconosce la sofferenza dell’altro e la sente, ma anche non invita né augura di tollerare l’intollerabile, sarebbe un crimine.
Augura di trovare uno spazio interiore abbastanza sgombro da non essere sommersi dal male, ma poterne conoscere le cause e mettersi in viva attesa di un’azione giusta che nasca da saggezza ed equanimità, non da vendetta o rivincita.”
Chandra Livia Candiani, “Ci sono esseri”, da ”Il silenzio è cosa viva”