Linguaggi

Domande “im-pertinenti”

05.12.2021
“Quando pensi di avere tutte le risposte, la vita ti cambia tutte le domande.”
Charlie Brown
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La vita ci sa di poco
“La vita ci sa di poco
il mare non ci basta
Siamo un punto interrogativo
che ha perso la sua domanda.”
Guadalupe Grande
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Domande poste a me stessa

“Qual è il contenuto del sorriso
e d’una stretta di mano?
Nel dare il benvenuto
non sei mai lontana
come a volte è lontano
l’uomo dall’uomo
quando dà un giudizio ostile
a prima vista?
Ogni umana sorte
apri come un libro
cercando emozione
non nei suoi caratteri,
non nell’edizione?
Con certezza tutto,
afferri della gente?
Risposta evasiva la tua,
insincera,
uno scherzo da niente-
i danni li hai calcolati?
Irrealizzate amicizie,
mondi ghiacciati.
Sai che l’amicizia va
concreata come l’amore?
C’è chi non ha retto il passo
in questa dura fatica.
E negli errori degli amici
non c’era colpa tua?
C’è chi si è lamentato e consigliato.
Quante le lacrime versate
prima che tu portassi aiuto?
Corresponsabile
della felicità di millenni-
forse ti è sfuggito
il singolo minuto
la lacrima, la smorfia sul viso?
Non scansi mai
l’altrui fatica?
Il bicchiere era sul tavolo
e nessuno lo ha notato,
finché non è caduto
per un gesto distratto.
Ma è tutto così semplice
nei rapporti fra la gente?”

Wisława Szymborska, “Domande poste a me stessa”

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Raùl Cantù

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Ogni caso

“Poteva accadere.
Doveva accadere.
E’ accaduto prima. Dopo.
Più vicino. Più lontano.
E’ accaduto non a te.
Ti sei salvato perché eri il primo.
Ti sei salvato perché eri l’ultimo.
Perché da solo. Perché la gente.
Perché a sinistra. Perché a destra.
Perché la pioggia. Perché un’ombra.
Perché splendeva il sole.
Per fortuna là c’era un bosco.
Per fortuna non c’erano alberi.
Per fortuna una rotaia, un gancio, una trave, un freno,
un telaio, una curva, un millimetro, un secondo.
Per fortuna sull’acqua galleggiava un rasoio.
In seguito a, poiché, eppure, malgrado.
Che sarebbe accaduto se una mano, una gamba,
a un passo, a un pelo
da una coincidenza.
Dunque ci sei? Dritto dall’animo ancora socchiuso?
La rete aveva solo un buco, e tu proprio da lì? Non c’è fine al mio stupore, al mio tacerlo.
Ascolta
come mi batte forte il tuo cuore.”

Wislawa Szymborska, “Ogni caso”

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Sii paziente

 

“Sii paziente verso tutto ciò
che è irrisolto nel tuo cuore e
cerca di amare le domande, che sono simili a
stanze chiuse a chiave e a libri scritti
in una lingua straniera.
Non cercare ora le risposte che possono esserti date
poichè non saresti capace di convivere con esse.
E il punto è vivere ogni cosa. Vivere le domande ora.
Forse ti sarà dato, senza che tu te ne accorga,
di vivere fino al lontano
giorno in cui avrai la risposta.”
Rainer Maria Rilke, “Sii paziente”
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Forse

“Tutte le risposte bruciano intensamente
sono fatte di parole,
quella legna che non si consuma mai.

È nella domanda che si trova la risposta
ma è nella risposta che si annientano
tutte le ulteriori possibili domande.

Forse l’unico modo per conoscere
sta nel porre la domanda
prima di provare a rispondere
con parole che erano già scritte
prima di sapere le risposte.

O forse talvolta è il silenzio
la sola risposta
che non sappiamo chiedere.”

Alfonso Brezmes, “Forse”

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Chiedimi

“Chiedimi perché sono qui.
Potrei consolarti con risposte
come ponti pendenti o armature
fatte per proteggere il cuore dell’uomo.
– Perché sei qui?
Ho detto perché, non per cosa.
Andiamo, non è nemmeno così difficile:
del resto, questa domanda ce la poniamo
tutti un giorno: tutti, prima o poi, remiamo
in un mare di piombo.
– Perché sei qui?
Questo è. Ora sì. Vedi:
il vento soffia dove vuole
e sradica nella sua follia le promesse
e i vecchi ricordi senza futuro.
Ciò che vedi qui non è ciò che è andato perduto,
è ciò che resta dopo l’uragano,
aggrappato a un palo e tremante;
il paesaggio dopo la battaglia;
ancora una volta la speranza instancabile,
in piedi, alza la sua bandiera
tra il fumo dei giorni devastati.
Un cuore: la sua caparbietà.
Il suo non volersi fermare.
Tutto ciò che avrebbe voluto essere e non ha realizzato,
rivive perché è
ancora possibile e senza motivo continuare a battere
nella dolce formaldeide delle parole.
Alfonso Brezmes, “Chiedimi”, da “Ultramor”, 2017 – Traduzione di Mirta Amanda Barbonetti

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Foto di Nguyễn Nam Hai

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Ti sei mai fermato? 

Ti sei mai fermato?
Mentre correvi magari,
affannato dal tempo che stringe e con il traguardo che pressa sulle vie respiratorie…
Mentre la vita ti scorre velocemente a fianco,
mentre sei impegnato a fare altro,
Qualcosa che ti porta altrove, lontano dal respiro, lontano dall’amore,  lontano dalla vita,
e dalla voglia di volarci dentro….
Ti sei mai fermato?
Tra i vicoli di un paese sconosciuto,
Tra gli alberi di un parco o di una bosco magari melodioso,
Con i piedi sprofondati nella sabbia di una spiaggia,
ad aspettare che il mare  ti getti l’acqua schiumata delle sue onde a rinfrescare la tua pelle secca,
ad impastare quella pelle con milioni di granelli dorati, che si infilano senza alcun  timore, tra gli angoli nascosti ed i punti sensibili di te, solleticando…
Accarezzando…
Graffiando…
Ti sei mai fermato?
Per riposare…
Per curare…
Per dimenticare…
Per andare avanti…
Per respirare…
Per amare…
Ti sei mai fermato?

Angela Missud

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Foto di Sonia Simbolo

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Quante le strade attraversate insieme?

“Quante le strade attraversate insieme?

Quanti i sentieri calpestati?
Quante le piogge, quanta la neve
che pende dai lampioni?

Quante le lettere, quanti gli addii,
e ore difficili in tante città?
E poi l’ostinazione di rialzarsi
e camminare, e giungere alla meta.

E quanti gli affanni, quanti i sogni
nel tribolare incessante?
Quanto pane affettato insieme?
Quanti i baci? I libri? Le scale?

Quanti anni a comporre poesie?
Quante grida nei versi?
Quanto tempo passato ascoltando
Beethoven, Corelli, Scarlatti?

I tuoi occhi sono sono lumi stupendi,
e il cuore è la fonte della luce.
E il tuo cuore dunque io vorrei
salvarlo dall’oblio.”

Konstanty Ildefons Gałczyński (poeta polacco)

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Street art di Mrfijodor e Urto – progetto “Alfabeto Urbano”, Firenze

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Ha due volti la coscienza

“Ha due volti la coscienza:
è luce, oppure pazienza.
è della prima far chiaro
appena nel fondo del mare;
dell’altra, far penitenza
con canna o rete e aspettare
il pesce, da pescatore.
Di’ tu qual è la migliore.
La coscienza del veggente
che guarda nel fondo acquario
pesci vivi,
sempre in fuga,
che non è dato pescare,
o quest’ingrata fatica
di gettare sull’arena,
ma morti, i pesci del mare?”

Antonio Machado

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Come stai? Sto bene

“Voglio crederti
quando dici “sto bene”
quando le bandiere bianche della resa
issate in battaglia
sono le garze che fasciano
le ferite dell’anima
le lenzuola di neve della pace
sulle montagne curvate dal dolore…
Gli hai teso la mano,
come ad un vecchio amico
che gli si apre la porta
perché non ci si ghiacci in due
sulla soglia.
E avete mangiato sullo stesso tavolo
con un paio di denti,
lo stesso boccone.
Ah, il dolore!
Egli t’appartiene è solo tuo
e per quanto io possa stringerti forte
tra le mie braccia
non sarà mai mio.
Per questo
voglio crederti quando dici ” sto bene”
t’illudi che ti abbia creduto
e con una bugia bianca anche lei
ci terremo abbracciati
inganneremo per un attimo
forse
la solitudine.”

Anileda Xeka (poetessa albanese), “Come stai? Sto bene?

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Stava finendo il giorno

“Stava finendo il giorno
quel giorno quando il sole scese oltre le colline

e c’è un attimo
quando il giorno sta finendo
che anche le domande più incalzanti
sembrano trovare la loro metà perfetta
ammesso che esista

quando il sole scese oltre le colline
le domande e le risposte andarono insieme
trovandosi
cercandosi
a volte semplicemente
svanendo nella poca luce rimasta
sulla curva delle colline

stava finendo il giorno
quel giorno quando il sole scese oltre le colline
e lei trovò quella parola nuova
era talmente piena di cielo e di stagioni
che la respirò socchiudendo gli occhi

strinse la parola nuova al petto
e sorrise di un sorriso
che era aria e terra
luce e buio
“esistendosi”
sussurrò aprendo le mani
verso le colline che trattenevano ancora
il sole di quel giorno che stava finendo”

m.c.m. (Maria Carmela Miccichè)

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Chi?
“Chi abita la casa che ho abitato:
chi accarezza il legno che ho accarezzato,
chi vede gli splendori che ho visto,
chi vive la penombra che ho vissuto,
chi sogna dai vetri in cui ho sognato,
chi piange sulla scala dove ho pianto,
chi apre le porte che io ho aperto,
chi ride nell’andito dove risi,
chi va a cavallo della mia ombra,
chi parla, grida, chiama e non mi nomina,
chi le mie braccia con le sue ha scambiato,
chi riempie la mia sagoma ignaro,
chi cammina verso la morte e inconscio
con i piedi occupa i miei vecchi passi?”
Manuel Diaz Martinez (poeta cubano), “Chi?”, da “Cuba internacional”, 1984
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Questioni
“Voglio chiedere ai passeri
come piangono quando il piombo li colpisce.
Voglio chiedere agli alberi della foresta
come si lamentano quando li abbatte il taglialegna costringendoli a dormire.
Perfino della pietra, quando è frantumata,
voglio conoscere i reali sentimenti.
E le campane… com’è che non versano sangue e pianto?
Voglio chiedere ai vermi della terra
sulle profonde tenebre sinistre… e sul freddo privo di misericordia.
All’asino sulla sua paternità.
E i segnali delle strade che conducono alle lontane città,
voglio conoscere i segreti della loro solitudine serale coperta di ruggine,
d’umidità, e dei fremiti del quieto metallo.
Voglio intrufolarmi nel cuore di tutto ciò che si muove
e gridare a suo nome.
Ogni animale è condotto al macello dal suo padrone… eppur continua a pascolare.
Ogni corpo inanimato è disperato. Ogni insetto.
Ogni piccola mandorla che cade quando non vorrebbe
voglio che abbia la sua giusta parte nel mio cuore in cui ritrovarsi.
… Quanto all’uomo
quanto all’uomo…
la grande creatura che parla d’amore, che conosce la coniugazione dei verbi,
la guida delle locomotive
e la meditazione
e la bianca menzogna e la menzogna nera
e la scelta delle scarpe adatte
e le maniglie delle porte
e i quaderni
e il grado di concentrazione degli acidi chimici velenosi…
L’uomo…
l’uomo che sorride e manifesta i propri sentimenti,
che canta comunque vada.
L’uomo che produce morte copiosa,
e le feste che a malapena dan sollievo alla mano solinga!!
Con tutto ciò, non voglio chiedergli
se sono le fruste che si abbattono sul suo corpo
a costringerlo, forse, talvolta, a gridare a gola spiegata
“Ah… madre mia…”
Damasco 1975
Nazìh Abu ‘Afash (poeta siriano), “Questioni”, dal diwàn “Ayyuhà al-zamàn al-dàyyiq… ayyatuhà al-ard al-wàsi’a” (“O tempo angusto… o terra vasta”), 1978. Le versione italiana del poema si trova in Nazìh Abu Afash, “Libertà cercando e amore”,1997
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Immagine dal web
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In evidenza: Foto di Sonia Simbolo

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