“Nel 1965, Che Guevara scrisse l’ultima lettera ai genitori.
Per dire loro addio non citò Marx. Scrisse:”Ancora una volta sento sotto i talloni le costole di Ronzinante. Mi rimetto in cammino con la mia albarda in mano”.
Nelle sue disavventure don Chisciotte evocava l’età dell’oro, quando tutto era in comune e non c’era né tuo, né mio. Poi, diceva, erano cominciati gli abusi e per questo era stato necessario che scendessero in campo i cavalieri di ventura, per difendere le donzelle, proteggere le vedove e soccorrere gli orfani ed i mendicanti.
Il poeta León Felipe credeva che gli occhi e la coscienza di don Chisciotte: “vedono e organizzano il mondo non com’è ma come dovrebbe essere. Quando don Chisciotte scambia l’oste ladrone per un cavalier cortese ed ospitale, le sfacciate prostitute per delle bellissime donzelle, il postribolo per un decoroso albergo, il pane nero per pane bianco, il fischio del castrato per una dolce musica, afferma che nel mondo non ci dovrebbero essere né ladroni né amore mercenario né penuria di cibo né oscuri alberghi né musica orribile“.
Pochi anni dopo che Cervantes inventasse il suo fabbrile giustiziere, Tommaso Moro aveva raccontato l’utopia. Nel suo libro Utopia, u-topia significava non-luogo. Forse questo regno della fantasia trova posto negli occhi che lo individuano e in essi si incarna. Diceva bene George Bernard Shaw, che ci sono quelli che osservano la realtà tale e quale com’è e si domandano perché, e ci sono quelli che immaginano la realtà come non è mai stata e se domandano perché no .
È vero, anche i ciechi lo vedono, che ogni persona ne contiene altre possibili, e ogni mondo contiene il suo contrario. Questa promessa nascosta, il mondo di cui abbiamo bisogno, non è meno reale del mondo che conosciamo e subiamo.
Lo sanno bene, lo sanno sulla propria pelle, i percossi che commettono la follia di tornare a scendere ancora in strada, perché continuano a credere che riparare alle offese e raddrizzare i torti è una pazzia che vale la pena fare.
Aiuta l’impossibile affinché il possibile si apra la strada. Per dirlo con i termini della medicina di don Chisciotte: è così magico questo balsamo di Fierabrás che a volte ci salva dalla maledizione del fatalismo e dalla peste della disperazione.
Non è questo, alla fine, il grande paradosso del viaggio umano sulla terra? Il viaggiatore naviga anche se sa che non toccherà mai le stelle che lo guidano.”
Edoardo Galeano, da “Il Manifesto”, 28-02-2005
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Nell’immagine: André Masson, “Don Quichotte et le char de la mort”, 1935