“Le isole sono sempre al confine con il mondo.”
José Carlos Llop, da “Parlami del terzo uomo”, 2001
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Isola ignorata
“Sono come l’isola ignorata
che palpita cullata da alberi succosi
al centro di un mare
che non mi comprende,
circondata dal nulla,
— sola soletta —.
Ci sono uccelli splendenti nella mia isola,
e dipinte da angeli pittori
ci sono fiere che mi guardano dolcemente,
e fiori velenosi.
Ci sono ruscelli poeti
e voci interiori
di vulcani addormentati.
C’è forse anche un tesoro
nella sua parte più interna.
Chissà se ho
diamanti nella mia montagna,
o soltanto un piccolo
pezzo di carbone!
Gli alberi del bosco della mia isola,
siete voi miei versi.
Come suonate bene a volte
quando il vento musicale
vi sfiora quando viene il mare che mi circonda!
Se qualcuno giunge a quest’isola che sono,
che incontri qualcosa è il mio desiderio;
— sorgenti di versi incendiati
e cascate di pace io ho —.
Un nome che mi risale l’anima
e non vuole che pianga i miei segreti;
e sono terra felice — ho l’arte
di essere felice e povera allo stesso tempo —.
Per me è un piacere essere ignorata,
isola ignorata nell’oceano eterno.
Al centro del mondo senza un libro
so tutto, perché venne un messaggero
e mi lasciò una croce per la vita
— per la morte mi lasciò un mistero.
Gloria Fuertes, “Isola ignorata”, 1950
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Utopia
“Isola dove tutto si chiarisce.
Qui ci si può fondare su prove.
L’unica strada è quella d’accesso.
Gli arbusti fin si piegano sotto le risposte.
Qui cresce l’albero della Giusta Ipotesi
con rami districati da sempre.
Di abbagliante linearità è l’albero del Senno
presso la fonte detta Ah Dunque E’ Così.
Più ti addentri nel bosco, più si allarga
la valle dell’Evidenza.
Se sorge un dubbio, il vento lo disperde.
L’eco prende la parola senza che la si desti
e chiarisce volenterosa i misteri dei mondi.
A destra una grotta in cui giace il Senso.
A sinistra il lago della Profonda Convinzione.
Dal fondo si stacca la verità e lieve viene a galla.
Domina sulla valle la Certezza Incrollabile.
Dalla sua cima si spazia sull’Essenza delle Cose.
Malgrado le sue attrattive l’isola è deserta,
e le tenui orme visibili sulle rive
sono tutte dirette verso il mare.
Come se da qui si andasse soltanto via,
immergendosi irrevocabilmente nell’abisso.
Nella vita inconcepibile.”
Wislawa Szymborska, “Utopia”, da “Grande numero”, 1976
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Siamo isole
“Ci prendono per navi e siamo isole.
Intricate, deserte, che tesori
possiamo offrire a quelli che non giungono?
La nostra costa è dura. Il nostro faro
di voce anziché luce
non attira, spaventa
e nessun marinaio perduto nella notte
toccherà le spiagge nostre dove ancora
fanno male le orme di quel naufrago
che sapeva del nostro deserto.
La notte, ogni notte, ci promette e ci nega
la strada del ritorno, il tornaviaggio,
l’amore che ci salvi da noi stessi
e la parola che sia detta per sempre.
Ci sono in noi alberi senza nome
stanchi di far ombra e crescere da soli.
Coloro che non partono ma soffrono
di sete di scogliera, amano i porti,
salpano nel sonno, cercano un’altra sete
per appagare la prima, ci osservano,
ci vedono come navi, felici.
Siamo isole.”
Juan Vicente Piqueras, da “La latitudine dei cavalli”, 1999, in “Mele di mare”
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Ode a Santorini
“Sei emersa dalle viscere del tuono
Rabbrividendo fra le pentite nuvole
Pietra amara, provata, imperiosa
Hai chiesto come primo testimone il sole
Per incontrare insieme il rischioso splendore
Per aprirti con un’eco trionfante al mare aperto.”
Odysseas Elytis, “Ode a Santorini”
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La tristezza dell’isola
“Sono sola
Di notte non so se navigo o se sto ferma
Arrivano i pesci fino alla mia sponda, mi toccano
e tacciono
Arriva il vento mi agita e se ne va
Gli uccelli anche
C’è così poca gioia nei miei canti strascicati
Ci sono sempre meno lampioni di notte
Il faro sul mio scoglio
Manda luce a quelli che mi scansano.
Mi chiudo nella pietra e taccio
Piango con la resina delle conifere
con il bianco succo dei fichi maturi
Tutto verso il fondo mi si solidifica
In autunno quando tutti se ne vanno sanguino dal melograno
Il mare di giorno finge ingenuo di schizzarmi
ma di notte subdolo mi scalfisce e mi erode
Le stelle annacquate la luna fluttuante e fredda
Non ho un appiglio posso gridare solo in alto
Sono tutta salata e mi brucia
Sento che parlano della bellezza di un’altra isola
Non saprò mai a quante miglia marine dista da me
e quanto è profonda la sua disperazione.”
Jozefina Dautbegović, “La tristezza dell’isola”
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Quale voce giunge sul suono delle onde
che non è la voce del mare?
E’ la voce di qualcuno che ci parla,
ma che, se ascoltiamo, tace,
perché si è ascoltato.
E solo se, mezzo addormentati,
senza sapere di udire, udiamo,
essa ci dice la speranza
cui, come un bambino
dormiente, dormendo sorridiamo.
Sono isole fortunate,
sono terre che non hanno sito,
ove il Re dimora aspettando.
Ma, se ci andiamo svegliando,
tace la voce, e c’è solo il mare.
Fernando Pessoa, “Le isole fortunate”
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Nell’immagine: Alessandro Tofanelli, “L’isola del fruttivendolo”, 2018