Linguaggi

A Natale si capovolge il cielo

15.12.2021

“…Eri tu il mistero,
la radiosa notte che racchiudeva il giorno,
che avrebbe rivestito di carne la luce
e dato un nome al silenzio”.

David Maria Turoldo

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Mauro Biani

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Madre e figlio profughi
“Nessuna Madonna con Bambino poteva eguagliare
quell’immagine di tenerezza di madre
per un bambino che presto doveva dimenticare.
L’aria era pesante di odori
di diarrea di bambini non lavati
con costole slavate e sederi prosciugati
in lotta con passi affaticati dietro vuoti ventri rigonfi.
Molte lì hanno da tempo cessato
di preoccuparsi, ma non quella madre,
che manteneva tra i denti un sorriso spettrale,
e negli occhi il fantasma dell’orgoglio materno
mentre gli pettinava i capelli rugginosi
rimasti sul cranio, e poi,
solo negli occhi cantando, iniziò
a ripartirgli adagio… In un’altra vita
questo sarebbe stato un piccolo atto quotidiano
privo d’importanza tra colazione e scuola:
ora lei lo faceva come ponendo fiori
sulla minuscola tomba di un bambino.”
Chinua Achebe (poeta africano) da “Attento «Soul brother»!”, 1995

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Foto di Nino Fezza cinereporter

 

 

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C’era

 

“L’agnello belava dolcemente.
L’asino, tenero, si allietava
in un caldo chiamare.
Il cane latrava
quasi parlando alle stelle.
Mi svegliai…Uscii. Vidi orme
celesti sul terreno
fiorito
come un cielo capovolto.
Un soffio tiepido e soave
velava l’alberata:
la luna andava declinando
in un occaso d’oro e di seta
apersi la stalla per vedere se Egli
era là…
C’era…”

Juan Ramon Jimenez, “C’era”

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Poesia di Natale 1993

 

“Per un miracolo, quali gli ingredienti? Il vello
del pastore, un pizzico appena di presente, un briciolo
di ieri, e alla manciata del giorno che verrà aggiungi
a occhio una fetta di cielo più quell’assaggio di pura vastità.
E si compie il miracolo. Perché i miracoli,
attratti dalla terra, serbano gli indirizzi,
anelando talmente a svolgere la prescritta funzione
da giungere a destinazione perfino nel deserto.
E se vai via di casa – accendi, al momento
del commiato, le quattro candele di una stella
perché illumini un mondo vuoto di realtà,
mentre ti segue con lo sguardo per l’eternità.”

Iosif Aleksandrovič Brodskij, “Poesia di Natale 1993”

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Carlo Maratta, “La Santa Notte”, 1655

 

 

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Buono Natale

 

“Teresì, buono Natale!
Penza, oinè, ca ‘o Bammeniello
fattose ommo è tale e quale
comm’ a ll’ate, grussiciello,
‘ncopp’’o munno scellarato,
senza fa’ male a nisciuno,
secutato e maltrattato,
‘ncroce, oi né, jette a fernì!
E ‘st’esempio ca te porto,
Teresì, tienilo a mmente,
ca pur’io, ‘nnucentamente,
chi sa comme aggia murì!
Nun vo’ sentere ‘sta voce
ca piatà, piatà te cerca:
e mme staje mettendo ‘ncroce
comm’ ‘o povero Giesù…
Ma io nun so’ fatto e ‘mpastato
cu ‘sta pasta, mò nce vo’:
Isso – sempe sia ludato –
Isso nasce ogn’anno: io no!”

Salvatore di Giacomo, “Buono Natale”

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Caravaggio, “Adorazione dei pastori”, 1609

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A Natale

“Siete disposti a dimenticare quel che avete fatto per gli altri
e a ricordare quel che gli altri hanno fatto per voi?
A ignorare quel che il mondo vi deve
e a pensare a ciò che voi dovete al mondo?
A mettere i vostri diritti in fondo al quadro,
i vostri doveri nel mezzo
e la possibilità di fare un po’ di più del vostro
dovere in primo piano?
Ad accorgervi che i vostri simili esistono come voi,
e a cercare di guardare dietro i volti per vedere il cuore ?
A capire che probabilmente
la sola ragione
della vostra esistenza non è
ciò che voi avrete dalla Vita,
ma ciò che darete alla Vita?
A non lamentarvi per come va l’universo
e a cercare intorno a voi
un luogo in cui
potrete seminare
qualche granello di Felicità?
Siete disposti a fare
queste cose
sia pure per un giorno solo?
Allora per voi Natale durerà per tutto l’anno.”

Henry Van Dyke, “A Natale”

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Poema di Natale

“Per questo fummo creati:
Per ricordare ed essere ricordati
Per piangere e fare piangere
Per seppellire i nostri morti
Per questo abbiamo braccia lunghe per gli addii
Mani per cogliere quel che ci è stato dato
Dita per scavare la terra.
Così sarà la nostra vita:
Una sera sempre ad aspettare
Una stella che si spenga nelle tenebre
Un cammino fra due tumuli
Per questo dobbiamo vegliare
Parlare a bassa voce, camminare piano, osservare
La notte che dorme
in silenzio.
Non c’è molto da dire:
Una canzone su una culla
Un verso, a volte, d’amore
Una preghiera per chi se ne va
Ma quell’ora non dimentica
E ad essa i nostri cuori
Si abbandonano,
gravi e semplici
Perché per questo fummo creati:
Per la speranza in un miracolo
Per la partecipazione della poesia
Per guardare in faccia la morte –
Di colpo non più aspetteremo…
Oggi la notte è giovane;
dalla morte, appena
Siamo nati, immensamente.”

Vinicius de Moraes, “Poema di Natale”

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Erland Sibuea, “Nativity”

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Natale sulla Terra

“Dallo stesso deserto, nella stessa notte,
sempre i miei occhi stanchi si destano
alla stella d’argento, sempre,
senza che si commuovano
i Re della vita, i tre magi,
cuore, anima, spirito.
Quando ce ne andremo di là
dalle rive e dai monti,
a salutare la nascita del nuovo lavoro,
la saggezza nuova,
la fuga dei tiranni e dei demoni,
la fine della superstizione,
ad adorare – per primi! –
Natale sulla terra.”

Arthur Rimbaud, “Natale sulla Terra”

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E’ Natale

“È Natale da fine ottobre.
Le lucette si accendono
sempre prima,
mentre le
persone sono sempre più
intermittenti.
Io vorrei un dicembre a luci
spente e con le persone
accese…”
Charles Bukowski
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Nikolai Astrup, “Vigilia di Natale a Sandalstrand”, 1918

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Regali di Natale
“Per Natale ti faccio i seguenti regali due punti
caramelle svizzere per quando hai la tosse forte da far paura
che non mangerai mai
filtri per quando fumi che butterai dalla finestra
un bicchiere piccolo per bere di meno figuriamoci
dei gettoni per telefonarmi una sera da un bar
una bugia di terracotta per quando avremo buio
una piccola spada perché sei il mio amore pericoloso
e poi anche un pezzetto di me quale vuoi?”

Vivian Lamarque, “Regali di Natale”

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Natale

“Non ho voglia
di tuffarmi
in un gomitolo
di strade

Ho tanta
stanchezza
sulle spalle

Lasciatemi così
come una
cosa
posata
in un
angolo
e dimenticata

Qui
non si sente
altro
che il caldo buono

Sto
con le quattro
capriole
di fumo
del focolare”

Giuseppe Ungaretti, “Natale”, da “Allegria di naufragi” (1916)

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Augurio

“Lode al gaio ceppo festivo!
Balzate, fiamme, balzate gioiose
salute alla coppa colma di vino
spumeggia allegro, roseo liquore.

Dorme nella mangiatoia il bambino.
Ragliare d’asini, muggire di buoi,
chiocciar di galline e canti di galli.
trabocca di gente stasera l’albergo,
in alto una stella splende e riluce,
· prega il pastore accanto al suo gregge,
recano i Magi il dono regale,
cantano gli angeli in alto, nel cielo,
annunciano il dono divino d’amore.

Presto, bambini, svegliatevi tutti,
svegliatevi e udite l’angelico canto,
lasciate il sonno, è giunto ormai il giorno,
il giorno glorioso, è giunto Natale!”

Agatha Christie, “Augurio”

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Elsie Barling, “Natale a Corfe Castle”, 1957

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A Natale un giorno

“Perché dappertutto ci sono così tanti recinti?
In fondo tutto il mondo è un grande recinto.

Perché la gente parla lingue diverse?
In fondo diciamo tutti la stessa cosa.

Perché il colore della pelle non è indifferente?
In fondo siamo tutti diversi.

Perché gli adulti fanno la guerra?
Dio certamente non la vuole.

Perché avvelenano la Terra?
Abbiamo solo quella.

A Natale un giorno
gli uomini andranno d’accordo
in tutto il Mondo.

Allora ci sarà un enorme albero
di Natale con milioni di candele,
ognuno ne terrà una in mano
e nessuno riuscirà a vedere
l’enorme albero fino alla punta.

Allora tutti si diranno ”Buon Natale”
A Natale un giorno.”

Hirokazu Ogura, “A Natale un giorno”

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Sarà

 

“E’ Natale; Gesù è venuto. Ma se batterà alla nostra
porta, sapremo riconoscerlo?
Sarà, come una volta. un uomo povero.
certamente un uomo solo.
Sarà senza dubbio un operaio,
forse un disoccupato,
e anche se lo sciopero è giusto uno scioperante.
O tenterà di vendere delle polizze d’assicurazione
o degli aspirapolvere…
Sarà forse un rifugiato.
uno dei quindici milioni di rifugiati
con un passaporto dell’O.N.U.;
uno di coloro che nessuno vuole
e che vagano.
vagano in questo deserto ch’è diventato il Mondo;
uno di coloro che devono morire
perché dopo tutto non si sa da che parte arrivino
persone di quella risma…
Se Cristo domani batterà
alla vostra porta. Lo riconoscerete?
Avrà l’aspetto abbattuto. spossato,
annientato com’è
perché deve portare
tutte le pene della terra.”

Raoul Follerau, “Sarà”

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Henri Matisse, “Madonna col Bambino”, 1951

 

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Verso la Mezzanotte

 

“Natale è un flauto d’alba, un fervore di radici
che in nome tuo sprigionano acuti di ultrasuono.
Anche le stelle ascoltano, gli azzurrognoli soli
in eterno ubriachi di pura solitudine.
Perché questo Tu sei, piccolo Dio che nasci
e muori e poi rinasci sul cielo delle foglie:
una voce che smuove e turba anche il cristallo,
il mare, il sasso, il nulla inconsapevole.
Invisibile aria: Tu impregni ciò che vive
e solo vive se di te si impregna.
Tu sei d’ogni radice l’alto mistero in musica
che innerva il tralcio- lazzaro e lo spinge a fiorire.”

Maria Luisa Spaziani, “Verso la Messa di Mezzanotte”

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Dio in fasce

 

“E’ così, Dio scomparso, che voglio averti.
Piccolo cembalo di farina per il neonato.

Brezza e materia unite nell’espressione esatta
per amor della carne che non sa il tuo nome.

E così, forma breve d’inafferrabile rumore,
Dio in fasce, Cristo minuscolo ed eterno,
mille volte ripetuto, morto, crocifisso,
dall’impura parola dell’uomo che suda.”

Federico Garcia Lorca, “Dio in fasce”

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Tanzanian Nativity batik

 

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Natale

 

“Ma quando facevo il pastore

allora ero certo del tuo Natale.

I campi bianchi di brina,

i campi rotti dal gracidio dei corvi

nel mio Friuli sotto la montagna,

erano il giusto spazio alla calata

delle genti favolose.

I tronchi degli alberi parevano

creature piene di ferite;

mia madre era parente

della Vergine,

tutta in faccende,

finalmente serena.

Io portavo le pecore fino al sagrato

e sapevo d’essere uomo vero

del tuo regale presepio.”

David Maria Turoldo, “Natale”

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Amaro sorriso di angeli

“La tristezza di questi natali
Signore, ti muova a pietà.
Luminarie a fiumane, ghirlande
di false costellazioni oscurano
il cielo di tutte le città.
Nessuno più appare all’orizzonte:
nulla che indichi l’incontro
con la carovana del Pellegrino;
non uno che dica in tutto
l’Occidente: “Nel mio albergo si, c’è un posto!”
Non un segno di cercare oltre,
un segno che almeno qualcuno creda,
uno che attenda ancora
colui che deve venire…
Non attendiamo più nessuno!
Tutto è immoto, pure se
dentro un inarrestabile vortice!
E’ così, è Destino, più non ci sono
ritorni, né ricorsi: è inutile
che venga! Tale è questa
civiltà gravida del Nulla!
Ora tu, anche se illuso di credere
o figlio dell’ateo Occidente,
segui pure la tua stella – così
è gridato per tutta la città
dai vessilli – segui, dico,
la stella e troverai cornucopie
vomitare leccornie, o non altro
che spiritati manichini
di mode folli in volo
dalle vetrine…
Poiché falso è questo tuo
donare (è Natale!), falso
perfino stringerci la mano
avanti la Comunione, e
trovarci assiepati nella Notte
a cantare “Gloria nei cieli …”
Un amaro riso di angeli obnubila
lo sfavillio dei nostri presepi, Francesco
cantore di perfette, tragiche
letizie: pure se un Dio
continuerà a nascere,
a irrompere da insospettati recessi:
là dove umanità alligna ancora
silenziosa e desolata: dal sorriso
forse di un fanciullo
della casba a Daccà, o a Calcutta…
Nessuno conosce solitudine come
il Dio del Cristo: un Dio
che meno di tutti può vivere solo!
Certo verrà, continuerà
a venire, a nascere
ma altrove,
altrove…
David Maria Turoldo, “Amaro sorriso di angeli”

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Gde Sukana Kariana, “Natività”, 2011

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La stella di Natale

“Era inverno.
Soffiava il vento dalla steppa
E aveva freddo il Bambino nella grotta
Sul pendio della collina.

Lo scaldava l’alito del bue.
Gli animali domestici
stavano nell’antro,
Sulla mangiatoia aleggiava un tiepido vapore.

Scossisi dalle pelli la paglia del giaciglio
E i grani di miglio,
I pastori assonnati
Guardavano alla lontananza di mezzanotte.

Lontano c’era un campo innevato e un cimitero,
Staccionate, pietre tombali,
Stanghe di carri nella neve,
E il cielo sul cimitero pieno di stelle.

Ma vicino, ignota fino allora,
Più timida di un lumino
Alla finestrina di un capanno
Baluginava la stella sulla via di Betlemme.

Ardeva come un pagliaio, in disparte
Da cielo e da Dio,
Come il riverbero di un incendio,
Come masseria in fiamme e fuoco in un granaio.

Si alzava come un covone ardente
Di paglia e di fieno
In mezzo all’universo intero,
Allarmato da questa nuova stella.

La sovrastava un bagliore sempre più acceso
E qualcosa significava,
E i tre scrutatori di stelle
Accorrevano al richiamo di fuochi mai visti.

Li seguivano i doni sui cammelli.
E gli asinelli bardati, uno più piccolo
Dell’altro, scendevano la montagna a piccoli passi.

E, come strana visione di tempi futuri,
si alzò in lontananza tutto ciò che avvenne poi.
Tutti i pensieri dei secoli, tutti i sogni, tutti i mondi,
Tutto l’avvenire di gallerie e musei,
Tutte le burle delle fate, tutte le opere dei maghi,
Tutti gli alberi di Natale del mondo, tutti i sogni dei bambini.

Tutto il tremolio delle candele accese, tutti i festoni,
Tutto lo sfarzo del luccichio colorato…
… Sempre più cattivo e furioso soffiava il vento dalla steppa…

Parte dello stagno era nascosta dalle cime degli ontani,
Ma l’altra si vedeva benissimo anche da qui.
Attraverso i nidi dei corvi e gli apici degli alberi.
I pastori riuscivano a distinguere bene
Come sull’argine andavano gli asini e i cammelli.
“Andiamo con tutti, inchiniamoci al miracolo”
Dissero allacciandosi le pelli.

Avevano caldo per la camminata nella neve.
Orme di piedi scalzi portavano alla capanna
Sulla radura chiara come fogli di mica.
A quelle orme, come a fiamma di moccolo,
Ringhiavano i cani sotto la luce della stella.

La notte di gelo pareva di fiaba,
E qualcuno dai monti nevosi di tormenta
Continuava a unirsi non visto a loro.
I cani si trascinavano guardandosi in giro inquieti,
E si stringevano al pastore e attendevano sventure.

Proprio per quella strada, proprio per quel luogo
passò qualche angelo nel folto della folla.
L’incorporeità li rendeva invisibili,
Ma il passo lasciava l’impronta del piede.

La gente in frotta s’affollava alla rupe.
Albeggiava. Si profilavano i tronchi dei cedri.
“E voi chi siete?” chiese Maria.
“Siamo stirpe di pastori e inviati dal cielo.
Siamo venuti a dar lode a entrambi voialtri.”
“Non si può tutti insieme. Aspettate all’ingresso.”

Grigia come cenere la foschia del mattino,
Battevano i piedi mulattieri e pecorai,
Chi era a piedi litigava con chi era a cavallo,
Presso il tronco cavo dell’abbeveratoio,
Mugghiavano i cammelli, scalpicciavano gli asini.

Albeggiava. L’alba spazzava dalla volta celeste
le ultime stelle, come granelli di cenere.
E di tutta l’innumerevole folla solo i Magi
Maria fece entrare nella fenditura della roccia.

Lui dormiva, tutto raggiante, nella mangiatoia di quercia,
come raggio di luna nelle profondità di un albero cavo.
Invece che pellicce di pecora
aveva labbra di asino e nari di bue.

Rimasero nell’ombra, in quel buio di stalla,
Sussurravano, trovando a stento le parole.
D’un tratto qualcuno nell’oscurità con la mano scostò
dalla mangiatoia un Mago verso sinistra,
E quello si voltò: dalla soglia alla Vergine
come un ospite guardava la Stella di Natale.”

Boris Pasternak, “La stella di Natale”

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Foto di Carlo Centonze: il presepe realizzato a Gravina, nel Barese, dagli studenti dell’istituto comprensivo “San Giovanni Bosco – Benedetto XIII “, 2018

 

 

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Natale

 

“Nascerà in una stiva tra viaggiatori clandestini.
Lo scalderà il vapore della sala macchine.
Lo cullerà il rollio del mare di traverso.
Sua madre imbarcata per tentare uno scampo o una fortuna,
suo padre l’angelo di un’ora,
molte paternità bastano a questo.
In terraferma l’avrebbero deposto
nel cassonetto di nettezza urbana.
Staccheranno coi denti la corda d’ombelico.
Lo getteranno al mare, alla misericordia.

Possiamo dargli solo i mesi di grembo, dicono le madri.
Lo possiamo aspettare, abbracciare no.
Nascere è solo un fiato d’aria guasta. Non c’è mondo per lui.
Niente della sua vita è una parabola.
Nessun martello di falegname gli batterà le ore dell’infanzia,
poi i chiodi nella carne.
Io non mi chiamo Maria, ma questi figli miei
che non hanno portato manco un vestito e un nome
i marinai li chiamano Gesù.
Perché nascono in viaggio, senza arrivo.

Nasce nelle stive dei clandestini,
resta meno di un’ora di dicembre.
Dura di più il percorso dei Magi e dei contrabbandieri.
Nasce in mezzo a una strage di bambini.
Nasce per tradizione, per necessità,
con la stessa pazienza anniversaria.
Però non sopravvive più, non vuole.
Perché vivere ha già vissuto, e dire ha detto.

Non può togliere o aggiungere una spina ai rovi delle tempie.
Sta con quelli che vivono il tempo di nascere.
Va con quelli che durano un’ora.

Erri De Luca, “Natale”, da “Opera sull’acqua e altre poesie”

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Dite, se fosse vero

 

“Dite, se fosse vero
se fosse nato a Betlemme davvero, dentro una stalla
dite, se fosse vero
se i Re Magi fossero davvero venuti da lontano, lontanissimo
per portargli oro, mirra, incenso
dite, se fosse vero tutto quello che hanno scritto Luca, Matteo
e quegli altri due,
dite, se fosse vero
se fosse vero il colpo delle Nozze di Cana
e quell’altro di Lazzaro
dite, se fosse vero
se fosse vero ciò che raccontano i bambini
prima di andare a dormire la sera
lo sapete, quando dicono Padre Nostro e Madre Nostra
se fosse vero tutto questo
io direi sì
oh, di certo direi sì
perché tutto questo è talmente bello
quando si crede che è vero.

Jacques Brel, “Dite, se fosse vero”

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Alessandra Bonci, “Natività”

 

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Le rose di Natale

 

“Quando eravamo il bicchiere rovesciato
Un ciliegio sfiorito nei turbini bigi
La terra sotto l’erpice il pane spezzato
O gli annegati che traversano Parigi
Quando eravamo fieno giallo pestato
Il grano saccheggiato e l’imposta battente
Il canto che smuore la folla piangente
Quando eravamo il cavallo stramazzato
Quando privi in Patria di cittadinanza
Andavamo raminghi senza domani
Quando tendevamo a spettri di speranza
La vergognosa nudità delle mani
Allora quelli che scesero in strada
Foss’anche un momento per subito cadere
Furono in pieno inverno le nostre primavere
Il loro sguardo fu il lampo di una spada
Natale Natale quelle aurore furtive
Restituirono a voi uomini di poca fede
Il grande amore per cui si muore e si vive
Il domani che di ieri si fa erede
Oserete ciò che il loro dicembre osa
Mie belle primavere di scampato pericolo
Ricordate l’intenso profumo di rosa
Quando la stella ai pastori fu veicolo
In pieno sole scorderete la stella
Scorderete come finì quella notte
Quando il vento tenderà le scotte
Scorderete la morte d’Ifigenia bella
Piange la porpora sulle ciglia delle prataiole
O se s’imperlano d’un sudor di sangue
Scorderete la scure sempre in cerca di gole
Le vedrete con occhio che assente langue
Non può a lungo tacere il sangue versato
Scorderete donde venne il raccolto
E l’uva delle labbra sul terreno sconvolto
E il gusto amaro che il vino ne ha serbato.”

Louis Aragon, “Le rose di Natale”

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Aspettando Natale

“Ho smesso dei vestiti vecchi e qualche sogno, non ci entro più.
Ho smesso un amore, non lo indosso più.
Lo sento che stona come queste parole.
Ho smesso di usare anche quelle.
È un tempo di silenzi e di assenze come capita a volte più forte a Natale.
Faccio spazio, butto, ripenso, rigurgito.
C’è tempo, c’è posto.
Aspetto in silenzio.
È un tempo vuoto.
Ho smesso dei giochi, dei segni e un rossetto.
È un ventre di mamma che invecchia questo tempo vacante.
Resto immobile.
Aspetto che passi o si fermi…
Che importa!
È solo un tempo che passa.”

Federica Longo, “Aspettando Natale”

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La saponetta

“Tu pensavi che cosa mi regalerà
finalmente è venuto Natale
eccomi qui alla porta, e tutto
è Natale scrupolosamente
l’esatto sogno dei bambini
col gelo col grigio col vento
che fa turbinare quei cosi
di ghiaccio e di neve e le famiglie
che si chiudono come valve
tram fermi automobili poche
eccomi qui da te col regalo
io che te lo avevo promesso
ciao ciao ho avuto la forza
di arrivare fin qui se non altro.
Ma dico: quando l’avrai consumato
e resterà un fogliettino
un fagiolo un cece un nulla
e ti scivolerà fra le dita
precipitando giù nel lavandino
dico, amore, per un istante almeno
ti ricorderai di me?”

Dino Buzzati, “La saponetta”

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Angelo De Fonseca, “Nativity”, 1954

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Che scherzo!

“E se poi venisse davvero?
Se a quell’ora precisa
mentre la nebbia oppure la pioggia nera
oppure comunque le caligini il fetido l’incubo nero
della notte sopra la pianura dell’umidità e dell’espansione economica
l’arcipelago delle luminarie
sempre più denso verso il centro
specialmente i cinema i bar le stazioni di servizio
e poi nel cuore della città
la massima concentrazione di luci
di lusso di soldi di gioia di vizio
se nei palazzi cascine falansteri
attraverso le illusioni e i misteri,
lui davvero venisse?
Che scherzo pericoloso, eh?

Perché dicono dicono ma
non ci crede più nessuno.
Il proprietario del magazzino famoso
di articoli da regalo
non ci crede, e ne ride bonario
con le clienti in visone
anche il negoziante di giocattoli
sollevato dall’andamento straordinario
degli affari nonostante la recessione.

Non ci crede il capofamiglia
né lo scapolo né il coniugato
né il vecchio zio né la figlia,
neppure la mamma sebbene
tenendoli sulle ginocchia
abbia dettato ai bambini le lettere
col presepio e il bordo dorato
destinazione Paradiso
in franchigia, senza riflettere
al rischio della mistificazione.

Non ci crede neanche don Saverio
il buon prevosto della parrocchia
non basta infatti la fede
per prendere veramente sul serio
questa antica superstizione.

E neppure ci credono i bambini
che avrebbero sufficiente ingenuità
voglia di miracoli, di fantasia
di mostri, di favole, ma
ci fu quel sorriso speciale
della mamma così ambiguo e allora
nacque in loro l’ipocrisia
per la prima volta, con la paura
tipicamente italiana
di passare per cretini.

Neanche loro dunque ci credono più
che alla mezzanotte del venti-
quattro, carico di regali
in carte d’oro e d’argento
fra un grande sbattere d’ali
(ci saranno anche gli angeli, no?)
arriva il Bambino Gesù.

E se invece venisse per davvero?
Se la preghiera, la letterina, il desiderio
espresso così, più che altro per gioco
venisse preso sul serio?
Se il regno della fiaba e del mistero
si avverasse? Se accanto al fuoco
al mattino si trovassero i doni
la bambola il revolver il treno
il micio l’orsacchiotto il leone
che nessuno di voi ha comperati?
Se la vostra bella sicurezza
nella scienza e nella dea ragione
andasse a carte quarantotto?
Con imperdonabile leggerezza
forse troppo ci siamo fidati.

E se sul serio venisse?
Silenzio! O Gesù Bambino
per favore cammina piano
nell’attraversare il salotto
Guai se tu svegli i ragazzi,
che disastro sarebbe per noi
così colti così intelligenti
brevettati miscredenti
noi che ci crediamo chissà cosa
coi nostri atomi coi nostri razzi.
Fa piano, Bambino, se puoi.

Dino Buzzati, “Che scherzo!”

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Il presepe

“Natale. Guardo il presepe scolpito,
dove sono i pastori appena giunti
alla povera stalla di Betlemme.
Anche i Re Magi nelle lunghe vesti
salutano il potente Re del mondo.

Pace nella finzione e nel silenzio
delle figure di legno: ecco i vecchi
del villaggio e la stella che risplende,
e l’asinello di colore azzurro.

Pace nel cuore di Cristo in eterno;
ma non v’è pace nel cuore dell’uomo.
Anche con Cristo e sono venti secoli
il fratello si scaglia sul fratello.
Ma c’è chi ascolta il pianto del bambino
che morirà poi in croce fra due ladri?”

Salvatore Quasimodo, “Il presepe”

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Aldo Carpi, “Madonna con Bambino e teatranti”

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Mi hai chiesto una poesia

“Mi hai chiesto una poesia
che parlasse del Natale,
che ti piace così tanto,
ma non l’ho;

la cerco in questa casa senza facce,
fra le rose luminose con la pila,
che ho comprato dai cinesi, già frugate
nei cestoni da altre mani,
ma non c’è.

Io vorrei darti le pigne che ti aspetti,
i teatri in miniatura con la neve.

Non lo sai quanta cannella, quanto muschio,
quanti piccoli pacchetti bianchi e rossi,
ti darei,

ma il Natale non è
qui con me;

l’ho lasciato alla bambina che guardava
il disegno sul servizio
di piatti di Limoges,
svenduto al primo offerente,

l’ho soffiato via col talco nelle calze
di mia nonna,

l’ho perduto nel gonfiore delle dita
che graffiavano nel gelo i parabrezza
di una fuga,

l’ho mangiato,

a piccoli pezzetti, anno
dopo anno,
sulla tavola, da sola.

L’ho dormito,
pregato via, dissolto
nella scusa fosse un giorno come un altro.

E ora non ho più
Natale
per la semplice poesia che tu mi chiedi.

Mi è rimasta:

la coda da lucertola a ricrescere
della stella che realizza i desideri

e la nascita del giorno
di ogni giorno che verrà,

te le lascio tutte e due,
a te che forse
sei l’unica persona che saprebbe
farmi amare anche il Natale.”

Beatrice Zerbini, da “In comode rate – Poesie ed Eventuali”

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Piangi piangi

“Piangi piangi

piangi piangi, che ti compero una lunga spada blu di plastica, un frigorifero
Bosch in miniatura,
un salvadanaio di terra cotta, un quaderno
con tredici righe, un’azione di Montecatini:

                  piangi piangi, che ti compero
una piccola maschera antigas, un flacone di sciroppo ricostituente,
un robot, un catechismo con illustrazioni a colori, una carta geografica
con bandierine vittoriose:

            piangi piangi, che ti compero un grosso capidoglio
di gomma piuma, un albero di Natale, un pirata con una gamba
di legno, un coltello a serramanico, una bella scheggia di una bella
bomba a mano:

                  piangi piangi, che ti compero tanti francobolli
dell’Algeria francese, tanti succhi di frutta, tante teste di legno,
tante teste di moro, tante teste di morto:

                                                                oh ridi ridi, che ti compero
un fratellino: che così tu lo chiami per nome: che così tu lo chiami
Michele.

Edoardo Sanguineti, “PIangi, piangi”

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Father Juan Battista Gouliani, “Pastori che suonano per Cristo Bambino”

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Natale al caffè Florian”

“La nebbia rosa
e l’aria dei freddi vapori arrugginiti con la sera
il fischio del battello che sparve nel largo delle campane.
Un triste davanzale, Venezia che abbruna le rose sul grande canale. Cadute le stelle, cadute le rose nel vento che porta il Natale.”

Alfonso Gatto, “Natale al caffè Florian”

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La Viggija de Natale

“Ustacchio, la viggija de Natale
Tu mmettete de guardia sur portone
De cuarche mmonziggnore o ccardinale,
E vvederai entrà sta priscissione.

Mo entra una cassetta de torrone,
Mo entra un barilozzo de caviale,
Mo er porco, mo er pollastro, mo er cappone,
E mmo er fiasco de vino padronale.

Poi entra er gallinaccio, poi l’abbacchio,
L’oliva dorce, er pessce de Fojjano,
L’ojjo, er tonno, e l’inguilla de Comacchio.

Inzomma, inzino a nnotte, a mmano a mmano,
Tu llí tt’accorgerai, padron Ustacchio,
Cuant’è ddivoto er popolo romano.”

Giuseppe Gioachino Belli, “La Viggija de Natale”

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Georges de La Tour, “San Giuseppe falegname” (o “San Giuseppe carpentiere”), 1642 circa

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Preghiera di Natale
“Pregare
per il cane e la lumaca,
per le cose che si dicono gli alberi.
Pregare
per la nostra faccia che zampilla dal vuoto
come una goccia d’acqua,
per le nostre braccia che hanno la forza
di un fiocco di neve.
Pregare
per chi ha le vene più sottili della luce,
per chi non è più amato,
per chi non sa che fare
nel circo equestre del creato.
Pregare
per ogni destino, per la timidezza
dei bambini, per i sogni
che non ricordiamo, per i panni
pesanti del nostro io.
Pregare per tutto
e per tutti,
ha bisogno di un sospiro
ogni cosa che vediamo:
ogni cosa è una ruga,
un’increspatura del niente.
Pregare a un funerale
e a una festa,
stare in ginocchio
e a mani giunte
per tutto il tempo
che ci resta.”
Franco Arminio, “Preghiera di Natale”
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Federico Barocci, “Natività”, 1597
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Presepe (personaggi e interpreti)
“Il pastore Pasquale,
pecora in spalla,
albanese kosovaro,
nel suo morbido riccio
sguardo dritto al pagliericcio,
tutto ispirato
stava in vetrina
accanto a un remagio suo amico,
di nome Abdul
un tipo da cartolina
incipriato e dorato
con mantello di broccato ricamato.
Essendo strabico,
con l’occhio destro
adocchiava un angelo ucraino
che esibiva un cartiglio in modo maldestro
con su scritto:
“GLORIA, puntini puntini.”
Pasquale pensava che il nome dell’angelo
non fosse “Gloria”,
ma Nina,
e “Nina, Nina”
sognava ,
messa in cima
a quella grotta di cartone
a corona.
E Maria
era proprio una bella Maria
con risata sonante
veniva dal Perù.
col suo bambino che faceva il menestrello
e lì davanti raccoglieva il denaro
dei clienti del grande magazzino.
Mentre Giuseppe, sapete chi era?
Giuseppe di Dakar
dormiva in piedi come un cretino
perchè faceva i turni di notte in conceria
e sapeva pure di vino,
violando almeno una mezza dozzina di tabù
con un po’ di malinconia.
E Gesù,
mio dio,
dormiva saporito,
aspettando la poppata della sera
dalla madre rumena, cassiera.
Francesco Tontoli, “Il presepe (personaggi e interpreti)”
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Nell’immagine: “Natività”, III secolo d.C., Catacombe di Priscilla, Roma

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