È il 31 dicembre del 1926: Rainer Maria Rilke è morto da due giorni a Montreaux. Marina Cvetaeva continua a scrivergli, come se lui fosse ancora al suo fianco.
“L’anno finisce con la tua morte? Fine? Inizio! Sei tu a te stesso l’anno più nuovo. (Caro, lo so, tu mi stai leggendo prima ancora che io scriva). Rainer, ecco sto piangendo, sei tu che mi sgorghi dagli occhi.
Non voglio rileggere le tue lettere, altrimenti mi verrà voglia di raggiungerti, di venire là – e non oso volerlo: tu sai che ogni cosa è legato a questo “volere”, Rainer, ti sento immancabilmente dietro la mia spalla destra. Hai mai pensato a me – Sì! Sì!Sì! – Come sono infelice. Ma non devo affliggermi! Stanotte, a mezzanotte, brinderò con Te. (Tu sai come sfiorerò il tuo bicchiere – piano piano!).
Caro, fai in modo che io ti sogni spesso – anzi, no, non è giusto: vivi nel mio sogno.
Adesso hai il diritto di desiderare e di agire.
Tu e io non abbiamo mai creduto nel nostro incontro in questa vita – come non abbiamo mai creduto in questa vita, non è vero? Tu mi hai preceduto (ed è stato meglio!) e, per farmi una buona accoglienza, mi hai prenotato non una stanza, non una casa – un intero paesaggio. Ti bacio sulle labbra? Sulle tempie? Sulla fronte? Naturalmente – sulle labbra, veramente – come un vivo.
Caro, amami più forte e diversamente da tutto. Non arrabbiarti – ti devi abituare a me, a come sono. Cosa, ancora?
Non è vero: non sei ancora in alto e lontano, sei proprio qui vicino, la fronte sulla mia spalla. Non sarai mai lontano: l’irraggiungibile non è mai alto.
Se il mio caro ragazzo adulto. Rainer, scrivimi! (È abbastanza stupida la mia richiesta, vero?) Ti auguro buon anno e uno splendido paesaggio celeste.”
Marina
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Nell’immagine: “Unbroken flowers: Elegy in colour for Rainer Maria Rilke and Marina Tsvetaeva”, from sonnetsincolour.org