“C’erano due fiori azzurri bellissimi, i più belli dei prati. La grazia delle corolle inclinate e il colore delicato e purissimo sorprendevano sempre lo sguardo di chi passava. Loro però non si erano mai guardati, rivolti verso il sole di giorno e la notte a riposare, nell’identica posizione, appena un po’ più curvi per il sonno. Avrebbero voluto tanto guardarsi e confidavano in un’ape che si posasse da una parte e li portasse l’uno verso l’altro. Ti ho sentito stanotte con la pioggia, nella pioggia ti posso sentire perché le gocce sono le stesse. E quando passava un topolino dicevano: guarda come corre. Correvano nel loro sogno di correre ed era sempre in un sogno la voglia di fare cose insieme.
Un giorno l’ala di un corvo girò i fiori e le corolle si trovarono di fronte. Come sei bello, si dissero piano con gli stami umidi e appena un po’ rossi, come sei azzurro. Si guardavano dolcemente cercando di fare salire la linfa oltre i petali e avvicinarsi. Non cadere, imploravano nei sussulti dello stelo, non cadere ti prego. I grilli urlavano nei prati, le farfalle sembravano cullarli con il loro volo: venite con noi, dicevano, nell’azzurro. La mattina dopo il sole trovò i fiori abbracciati, i petali nei petali, il rosso confuso al verde dei sepali e alle foglioline dei gambi. Dondolava la sua luce su quell’unica corolla e un colore bianco passava e ripassava.”
Mario Benedetti, “Fiaba” da “Idiot boy” in “Tersa morte”