“Sì, le chiamano “prostitute” perché “sono in mostra“, perché “si espongono” (vengono esposte?). In passerella, mezze nude, più o meno provocanti, più o meno belle, scheletriche o in carne. Troppo vecchie. Spaventosamente giovani. Patetiche, sempre.
C’è chi si ferma e chi tira dritto. Chi le guarda con disprezzo, chi con pietà, c’è chi distoglie lo sguardo, c’è chi non le vede. L’abitudine fa spesso questo effetto.
Il Covid ha colpito anche loro, molto duramente. Ma chi se ne preoccupa? In fondo se la sono cercata, no?
E, guarda caso, il Covid, che ha chiuso tutti i mercati e gli esercizi pubblici, ha lasciato aperto il mercato del sesso. D’altronde come potrebbe mai fermarsi, visto che, secondo gli ultimi dati, registra un fatturato di circa quattro miliardi di euro all’anno?
Così il pericolo del contagio è diventato un problema in più, per le “sex workers“, le lavoratrici della strada…Bell’eufemismo, non c’è che dire.
Per alcune di loro è scattato lo “smart working” – sì, avete letto bene – altre sono sprofondate nella miseria più nera…ma che importa, a fronte di tutte le persone oneste che hanno perso il loro lavoro? Altre ancora sono rimaste sulla strada, esposte ad un pericolo in più, vittime di una “nuova” forma di violenza. Come se non bastassero le altre: le botte, i ricatti, le minacce.
Le chiamano prostitute perché “sono in offerta“, proprio come in un mercato.
D’altronde il mercato funziona così: il fondamento che lo sorregge è la legge della domanda e dell’offerta. A pensarci bene, però, questo significa che se mancasse la domanda, non ci sarebbe bisogno di offrire niente. E allora questo sposta un po’ il problema, se ci fate caso. Immaginiamo per un attimo che nessun maschietto si fermi più alla “vucciria” del sesso, immaginiamo che tutti quei bravi uomini, onesti, laboriosi, benpensanti, pronti ad indignarsi per la più piccola mancanza altrui (solitamente uomini sposati, padri di famiglia, lo sapevate?), tornino a casa, dalla moglie, dai figli…allora quelle donne-che-lavorano-sulla-strad
E chissà, forse scomparirebbe perfino la schiavitù, una volta per tutte, almeno quella del sesso. Perché, vedete, la schiavitù ce l’abbiamo ancora: è proprio qui, sotto i nostri occhi, sulle nostre strade, davanti allo sguardo dei nostri figli, dei nostri nipoti. Ma noi ci giriamo dall’altra parte e alle loro domande rispondiamo con le solite risatine ipocritamente imbarazzate, oppure additandole come “donnacce“, perché si sa, la colpa è loro, che fanno “il mestiere più antico del mondo“. Chissà perché, poi, fanno proprio quello, di mestiere.
Invece di spiegare che quelle donne sono soltanto vittime di violentatori, di stupratori, di assassini.
Invece di insegnare loro a non fermarsi, a non diventare complici dei loro aguzzini.
Mai.
Già, si chiamano prostitute, o meglio, “signorine“, come nel quadro di Picasso. “Les Demoiselles d’Avignon“: le “signorine” di Avignone.
Cinque prostitute.”
Maddalena Vaiani
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Pablo Picasso, “Les demoiselle d’Auvignon”, 1907