“A Monotònia il tran tran è costante. Tutto fila liscio e regolare, sempre uguale, mai diverso: un unico colore, un unico alimento, un unico nome… Scegliere non è un’opzione.
Un giorno, però, scompare un gatto. Da quel momento niente sarà più come prima.
Il paese di Monotònia era governato da un re e da una regina. Il re si chiamava Costante ed anche la regina si chiamava Costante. E questo, tutto sommato, era comodo per firmare i documenti reali e le dichiarazioni di pace.
Avevano un unico figlio al quale avevano messo il nome del nonno, che poi era lo stesso del papà e della mamma: Costante. Nella famiglia reale tutti si chiamavano Costante, a parte il gatto di casa che, siccome era piccolino, era stato chiamato Costantino.
La regina madre, quando voleva chiamare qualcuno, gridava: “Costante! Vieni subito qui!” e, siccome era molto severa, non aveva bisogno di ripeterlo due volte che accorrevano tutti, anche il gatto.
La cuoca di corte, ogni giorno, preparava meravigliosi piatti a base di fagioli. Per colazione passato di fagioli, per pranzo minestra di fagioli e per cena fagioli in umido. La cuoca avrebbe voluto cucinare altri piatti, ma conosceva una sola pietanza e, inoltre, i fagioli erano l’unica pianta che cresceva nel paese di Monotònia. Persino il gelataio del paese, nel suo carretto, aveva un unico gusto, quello al fagiolo che, però, non piaceva a nessuno. Anche lui avrebbe voluto preparare uno di quei gelati di cui si narravano meraviglie e che avevano addirittura dei colori, ma non sapeva come fare. Del resto, non era neanche sicuro di sapere cosa fosse un “colore”.
Nel paese di Monotònia, infatti, tutto era grigio. Grigio chiaro, grigio scuro, grigio molto scuro… ma solo grigio. Persino il gatto era grigio e nel cielo volavano solo uccelli grigi. Grigie erano le farfalle e grigie le lucertole a cui i bambini davano la caccia con dei ramoscelli grigi. Le persone avevano un’aria sempre afflitta e un umore grigio: oltre a coltivare fagioli, infatti, non avevano granché da fare. I colori, i sapori, i profumi ed ogni diversità erano stati cancellati dopo che una fata si era arrabbiata con il bisnonno del bisnonno del bisnonno di re Costante, Costante Primo di Monotònia. Nessuno ricordava più il motivo di quella lite, ma i vecchi a volte, per far addormentare sereni i nipotini, narravano di cose strane e meravigliose, di profumi, sapori e colori. I nipotini sognavano e i nonni sospiravano.
Un giorno, il gatto Costantino si allontanò e non si presentò in cucina neanche per l’ora di cena. La famiglia reale iniziò ad agitarsi, lo cercarono in tutti gli angoli della casa e sotto i letti, lo chiamarono a gran voce dal balcone del palazzo reale e scesero persino in giardino per ritrovarlo, ma non lo scovarono da nessuna parte. Sembrava sparito, svanito nel nulla, anzi, nel bosco! Perché il bosco era l’unico posto nel quale nessuno osava addentrarsi e nessuno l’aveva cercato fin laggiù. I vecchi, quelli che raccontavano dei colori e dei sapori, narravano anche di storie spaventose riguardo al bosco, di piante stranissime dotate di denti aguzzi e animali mostruosi con la pelliccia di pietra. Così, il re, la regina e il principino, cercando Costantino, arrivavano ogni volta fino
al limitare del bosco e poi, scuotendo la testa, tornavano indietro.
Il principe Costante, però, sentiva troppo la mancanza del suo gattino e così, dopo qualche giorno di ricerche infruttuose, decise di andarlo a cercare proprio lì, dove nessuno aveva mai osato avventurarsi. Una mattina si svegliò all’alba, cercando di non fare rumore, prese una borraccia con l’acqua ed un po’ di fagioli per il viaggio e si mise in cammino. Il cuore gli batteva forte mentre si addentrava nel bosco e i rami si infittivano sulla sua testa. Ad un tratto gli parve di sentire un miagolio provenire da un albero cavo. Il principe, facendo appello a tutto il suo coraggio, infilò la testa nel tronco: “Costantino! Costantinooo!” urlò con tutto il suo fiato e provò a sporgersi in giù per vedere meglio. Si sporse tanto che precipitò a capo fitto nel tronco e si ritrovò fuori, in un altro posto.
Si tastò per bene per vedere se era ancora tutto intero e si stropicciò gli occhi. Li aprì, ma li richiuse subito per lo spavento. Cos’era mai quel posto pieno di luci diverse? E dove era finito tutto il grigio? Poi si sentì mordicchiare ad un polpaccio e, tastando con la mano, afferrò qualcosa di morbido e peloso. “Costantino! Sei proprio tu, birbante! Ma… dove siamo finiti?”
In quel preciso momento arrivò un vecchietto, arzillo e saltellante, con un vestito stranissimo. Indossava un cappello enorme e variopinto, una giacca verde e dei pantaloni lilla. Il vecchietto sorrideva e non aveva per nulla quell’aria grigia che, invece, affliggeva tutti gli abitanti di Monotònia.
“Buongiorno ragazzo, qual buon vento ti porta?” domandò il vecchietto, leccando un gelato alla fragola.
“Buongiorno, signor… signor…”
“Variabile, mi chiamo Variabile, ragazzo mio.”
“Buongiorno, signor Variabile, mi sono perso. Non so dove sono e non so come tornare a casa. Può dirmi gentilmente dove ci troviamo?” piagnucolò il principe.
“Oh, ragazzo mio, sei nel paese di Varianza, il posto più bello che c’è al mondo. In effetti, sei stato molto fortunato a perderti qui. Certo, non hai una bella cera, così tutto grigio… non ti senti bene forse? Hai fame?” domandò premuroso.
“Eh sì, non mangio da stamattina – rispose Costante – ho finito i fagioli mentre cercavo il mio gatto”.
“Oh, povero ragazzo! Non ti andrebbero un bel panino imbottito o una fetta di torta al cioccolato?”
Il principe sgranò gli occhi. Non sapeva cosa fossero un panino imbottito e una fetta di torta, ma aveva talmente fame che accettò, e poi i suoi genitori gli avevano insegnato che non era da principi educati rifiutare una gentile offerta.
Così si avviarono verso la casetta del signor Variabile. Camminando lungo il sentiero, Costante non finiva di stupirsi guardandosi intorno. Non c’era una cosa uguale all’altra! Tutto era diverso e meraviglioso. Il prato non era grigio, ma trapuntato di fiori colorati. Farfalle iridate svolazzavano tra i fiori, confondendosi con essi, e lucertole verdi si scaldavano al sole.
Gli abitanti di Varianza avevano un aspetto florido e gioioso, ogni persona, addirittura, aveva i capelli di un colore diverso! C’era chi li portava biondi e corti e chi rossi e lunghi, chi li aveva ricci e chi lisci, chi legati a coda di cavallo e chi sciolti sulle spalle. Ognuno sembrava essere molto indaffarato: c’era chi lavava stoffe dei colori dell’arcobaleno, chi suonava melodie armoniose, chi coltivava fragole e pomodori. Ciascuno aveva un’attività diversa e tutti sembravano
lieti e affaccendati.
“Non ci si annoia mai in questo posto, vero?” domandò Costante al signor Variabile.
“No, ragazzo mio, qui ogni giorno c’è una novità e abbiamo tutti un gran da fare perché ciascuno di noi ha il suo mestiere”.
Il gatto Costantino li precedeva zampettando e quando furono vicini alla casa del signor Variabile, con un gran balzo saltò sulla sua ciotola di croccantini. Quel pomeriggio erano al formaggio con i buchi, tra i suoi preferiti. Il motivo per cui non era tornato al palazzo reale, infatti, è presto detto: si era stancato delle polpette di fagioli che gli venivano servite ogni giorno e non aveva voglia di lasciare quel posto meraviglioso e pieno di sapori diversi. Da quando abitava a casa del signor Variabile era più soddisfatto e pasciuto.
“Miao!” disse il gatto e svuotò la ciotola.
Costante assaggiò timoroso un pezzetto del panino imbottito che Variabile gli aveva offerto e subito spalancò la bocca, non solo per lo stupore, ma per mangiarselo tutto, tanto era squisito! E scoprì di non aver mai gustato nulla di così sopraffino quando addentò la torta al cioccolato. Che delizia! Non finiva più di leccarsi le dita e ne avrebbe voluta altra e altra ancora se Variabile non gli avesse detto di fare attenzione alle indigestioni.
A quel punto successe un fatto strano. Il principe a poco a poco cambiò aspetto, assunse un bel colorito roseo e i capelli si tinsero di castano. Mentre ammirava allo specchio la sua trasformazione, si accorse che stava arrivando la sera e, per non far preoccupare i suoi genitori, chiese a Variabile di indicargli la strada del ritorno.
Il gatto Costantino, furbescamente, si acciambellò su una sedia e fece finta di dormire per non essere costretto ad abbandonare quel posto meraviglioso.
“Ciao Costantino – sussurrò il principe accarezzandolo – ci vediamo presto, te lo prometto!”
Mentre tornava verso casa, però, Costante sentiva un gran peso nel cuore. Certo, era felice di rivedere i suoi genitori e di far sapere loro che il gatto era sano e salvo, ma il ricordo di quei colori e sapori diversi sembrava pesare sempre di più a mano a mano che tutto, intorno a lui, tornava ad essere grigio e uguale. Dov’era la diversità? Dov’erano tutti quei profumi? E tutti quei colori… Quando arrivò al palazzo aveva ormai preso una decisione, sarebbe tornato per sempre nel paese di Varianza e avrebbe convinto gli abitanti di Monotònia ad andare via con lui.
E così fu. Raccontò loro le meraviglie del paese di Varianza e molte persone ne furono talmente affascinate che non ci pensarono due volte a fare le valigie. Si formò un bel corteo, con la famiglia reale in testa, che lasciò il villaggio per trasferirsi in quel luogo ricco di novità.
Non tutti però lo vollero seguire nell’albero cavo: alcuni, infatti, preferirono restare a Monotònia e continuare la vita alla quale erano ormai abituati.
Ed in fondo, siamo tutti diversi anche perché alcuni amano le cose uguali.”
Rina Camporese, Silvia Da Valle, Sara Letardi, Susi Osti, Susanna Peddes, “Alla ricerca del gatto perduto”, in “Le streghe di Bayes e altre storie. Fiabe statistiche per bambine e bambini curiosi”, Istat.