negli angoli della galleria, dov’è un vuoto di sorrisi,
in quelle nicchie di stupore è un filo di grazia,
tra le colonne e la gente come sole in una bara.
Nella sua luce la folla si scioglie. Il guardiano chiude. –
Le sette! La Gioconda con santa e amorevole mano
prende il telefono. Lo squillo brilla da me…
“Sono io”…”Sono io”…”Gioconda!”…”Amo”…interrotta!
“Pronto”…”Pronto”…”Gioconda!”…Le scale come rudere
frantumo. Le falde del soprabito…Gridando da lei volo.
Il nero Bacco ci porta il cielo delle sere
condensato, valutato e intasato.
Dietro il banco lo sguardo ispirato alla volta rivolge
l’asso dei cocktail, che toni di alcool non sonati
armonizza e unisce in sapori di pura melodia,
pieni di fruscio di verde, di boschi e di luna.
Quando lei beve troppo e le snelle gambe
posa su un vassoio d’argento come due banane, –
l’angelo della mezzanotte in singhiozzi, in gelidi lampi
ammassa scale di accordi praticate nel ghiaccio,
fino all’etere…sulle vette…trema e si tronca
quel concerto…e a valanga…in terrena bufera di luci
cade…nel vino, nella stanchezza, in adagio di violino.
Con una sinfonia così ardente fino al freddo mattino
suona il delirio di ubriaco, come messa per organo!
Si affievolisce il dancing, cala in fondo e si allontana,
ormai è solo ricordo, risata, alcool…
Gioconda la sua nudità come luce scopre.
E le mie labbra ardenti dal petto ai ginocchi
la tatuano tutta – torrido fiore di carne.
O architettura del corpo! I muscoli come arcate.
Il ritmo ipodermico di sferici e sonanti muscoli,
come semplice melodia nelle vene di un vivo canto.
Quelle anche pari che si accoppiano al riso,
prima che serrino e immergano la testa ardente.
O poesia, estratta dalla notte come forma viva…
Gioconda macchiata di sangue torna in auto riscaldata,
barcolla sul marciapiede e nel mattino si bagna,
e appare in cornici dorate, come fanciulla alla finestra.
E quando il guardiano con la chiave il nuovo giorno apre,
la galleria trema di mattino e si gonfia d’ispirazione.
Il pubblico con cento occhi – bisbiglia. – Arde dalla tela
quel sorriso, dove è santa, amorevole e triste.
I ginocchi della folla piega quella maestà divina.
E’ l’estasi nel calice, come nel grido di una sillaba
E aspettano, pigiati, il prodigio! Il sangue! L’aldilà!
Quando dal sorriso voleranno i bianchi petali di un fiore…