“La comunicazione è ciò che oggi dobbiamo tenere vivo per difenderci dall’omicidio. Per questo, ora lo sappiamo, dobbiamo lottare contro l’ingiustizia, contro l’oppressione, contro il terrore, perché sono questi tre flagelli a far regnare il silenzio tra gli uomini e alzare tra di loro barriere. Abbiamo passato una lunga notte, adesso sappiamo cosa fare di fronte al mondo dilaniato dalla crisi. Ma che cosa dobbiamo fare?
1. Dobbiamo chiamare le cose con il loro nome e renderci conto che uccidiamo milioni di uomini ogni volta che accettiamo di pensare certi pensieri: un uomo non pensa male perché è un assassino, è un assassino perché pensa male. Perciò si può essere un assassino senza apparentemente avere mai ucciso ed è così che siamo più o meno tutti degli assassini. La prima cosa è quindi il rifiuto puro e semplice con i pensieri e con l’azione di qualunque pensiero realista e fatalista.
2. La seconda cosa da fare è decongestionare il mondo dal terrore che vi regna e che impedisce di pensare bene. E poiché ho sentito che proprio in questa città (New York) si tiene una sessione importante delle Nazioni Unite, potremmo suggerirle che il primo testo importante scritto da questa organizzazione mondiale proclami solennemente dopo il processo di Norimberga la soppressione universale della pena di morte.
3. La terza cosa da fare è ridimensionare il ruolo della politica attribuendole il ruolo secondario che le spetta: non si tratta infatti di dare a questo mondo un vangelo, un catechismo politico o morale . La grande iattura della nostra epoca è invece che la politica pretende di fornirci un catechismo, una filosofia completa e persino, talvolta, un’arte di amare, ma il ruolo della politica è far funzionare le cose, non risolvere i nostri problemi interiori. Ignoro per quel che mi riguarda, se esista un assoluto, ma so che non è di ordine politico. L’assoluto non è qualcosa che ci riguarda collettivamente, riguarda ciascuno di noi singolarmente e occorre impostare i rapporti reciproci affinché ciascuno abbia l’agio interiore di interrogarsi sull’assoluto. La nostra vita può anche appartenere agli altri ed è giusto donarla quando necessario, ma la nostra morte appartiene solo a noi e questa è la mia definizione di libertà.
4. La quarta cosa è cercare di creare a partire dalla negazione. I valori positivi che permetteranno di conciliare un pensiero negativo e le possibilità di un’azione positiva: è il compito che spetta ai filosofi e del quale ho fornito solo un accenno, mentre la quinta cosa è capire che questo approccio implica la creazione di un universalismo in cui potranno ritrovarsi tutti gli uomini di buona volontà.
5. Per uscire dalla solitudine occorre parlare, ma occorre parlare in modo schietto, non mentire mai e dire tutta la verità, naturalmente tutta la verità che si conosce. Ma si può dire la verità solo in un mondo in cui questa è definita e fondata su valori comuni a tutti gli uomini: non è certo Hitler a poter dire che questo è vero e quest’altro non lo è. A nessun uomo al mondo, né oggi né mai è permesso decidere che la sua verità è così giusta da poter essere imposta agli altri. Solo la coscienza comune degli uomini, infatti, può nutrire una simile ambizione e occorre ritrovare i valori in cui vive questa coscienza comune. La libertà che, per finire, dobbiamo conquistare è il diritto di non mentire. Solo a queste condizioni conosceremo le nostre ragioni di vivere e di morire.
Questo è, per quel che mi riguarda, il punto a cui siamo giunti e forse non era il caso di arrivare tanto lontano per arrivare qui, ma dopo tutto la storia degli uomini è la storia dei loro errori e non la storia delle loro verità, la verità forse è come la felicità è semplice e non ha storia. Significa forse che tutti i problemi sono risolti? Assolutamente no. Questo mondo non è né più migliore né più ragionevole, non siamo ancora usciti dall’assurdo, ma abbiamo perlomeno una ragione per provare a cambiare la nostra condotta ed è proprio quella ragione che finora ci mancava. Il mondo continuerebbe ad essere un posto desolante se non ci fosse l’uomo, ma l’uomo c’è e ci sono le sue passioni i suoi sogni e la sua comunità. Alcuni di noi in Europa, uniscono una visione pessimistica del mondo a un profondo ottimismo riguardo all’uomo. Non abbiamo la pretesa di sottrarci alla storia perché nella storia ci siamo già, pretendiamo solo di lottare dentro la storia per preservare dalla storia quella parte dell’uomo che non le appartiene, ovvero l’amore, la solidarietà, la felicità. Vogliamo solo ritrovare una civiltà in cui l’uomo senza distogliersi dalla storia non le sarà più asservito, in cui il dovere che ogni uomo avrà nei confronti degli altri uomini sarà controbilanciato dalla riflessione, dal tempo a propria disposizione e dalla parte di felicità che ciascuno deve a se stesso.”
Albert Camus, “La crisi dell’uomo”, in “Conferenze e discorsi (1937-1958)”, edito da Bompiani
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René Magritte, “La reproduction interdite”, 1937