Epistolario

Sigmund Freud e Arthur Schnitzler

24.01.2022

Tra Schnitzler e Freud esisteva una singolare e profonda affinità spirituale, che non mancò di sconcertare il fondatore della psicanalisi. Di qui, il suo timore di incontrare Schnitzler, di conoscerlo, quasi avesse paura di vedere nello scrittore una sorta di “doppio”, di specchio riflesso della sua stessa immagine.

“Vienna, 14 maggio 1922

Stimato dottore,

ecco che anche Lei è giunto al sessantesimo compleanno, mentre io, di sei anni più vecchio, mi sono avvicinato al termine dell’esi­stenza e posso attendere di veder presto la fine del quinto atto di questa commedia, abbastanza incomprensibile e non sempre di­vertente.
Se avessi ancora conservato un residuo della fede nella “onni­potenza dei pensieri”, non mancherei oggi di inviarle i più sentiti e cordiali auguri per gli anni che verranno. Lascio questa sciocca procedura alla immensa schiera di contemporanei che il 15 maggio si ricorderanno di Lei.

Voglio invece farle una confessione che Lei sarà così buono, per riguardo a me, di tenere per Sé e di non comunicare né ad amici né a estranei. Mi sono posto spesso in modo tormentoso la do­manda perché mai in tutti questi anni non ho mai tentato di frequentarla e di intrattenere con Lei un colloquio (senza considerare naturalmente se Lei avrebbe accolto volentieri questo ap­proccio da parte mia).
La risposta a questa domanda contiene la confessione che a me sembra troppo intima. Penso di averLa evitata per una specie di “timore del sosia”. Non perché io sia facilmente incline a identi­ficarmi con qualcun altro, o perché volessi nascondere a me stesso la differenza di talento che mi separa da   Lei, ma sempre, quando mi sono abbandonato alle Sue belle creaazioni, ho creduto di tro­vare dietro la loro parvenza poetica gli stessi presupposti, interessi e risultati che conoscevo come miei propri. Il Suo determinismo come il Suo scetticismo — che la gente   chiama pessimismo, — la Sua penetrazione nelle verità dell’inconscio, nella natura pulsionale dell’uomo, la Sua demolizione delle certezze convenzionali della civiltà, l’adesione dei Suoi pensieri alla polarità di amore e morte, tutto ciò mi ha commosso come qualcosa di una familiarità per­turbante. (In una piccola opera del 1920, Al di là del principio di piacere, ho tentato di indicare nell’eroe e nella pulsione di morte le forze primigenie il cui antagonismo domina ogni enigma della vita.) Così ho avuto l’impressione che Ella sapesse per intuizione – ma in verità a causa di una raffinata autopercezione — tutto ciò che io con un lavoro faticoso ho scoperto negli altri uomini. Credo, anzi, che nel fondo del Suo essere Lei sia un esploratore degli abissi psicologici, così onestamente imparziale e impavido come non ve ne sono stati mai, e che se non lo fosse, le Sue doti artistiche, la Sua maestria linguistica e la Sua energia plasmatrice avrebbero avuto libero gioco e avrebbero fatto di Lei un narratore assai più accetto ai desideri della massa. È ovvio che io dia la preferenza al ricercatore. Ma mi perdoni se sono scivolato nell’ana­lisi, non riesco proprio a fare nient’altro. Solo che io so che l’analisi non è un mezzo per rendersi graditi.

Cordialmente, Suo devotissimo

Freud

Da parte sua, Schnitzler, in un biglietto di auguri del 6 Maggio 1906, riconosceva a Freud il proprio tributo verso la psicanalisi:

“Ai suoi scritti io devo molteplici, significativi e profondi impulsi e questa circostanza mi può forse offrire la possibilità di dirglielo e di assicurarle la mia più sincera e fervida ammirazione.”

Schnitzler, tuttavia, mantenne sempre non poche riserve nei confronti della psicanalisi, già a partire dalla convinzione che fosse impossibile pretendere di analizzare e di categorizzare il materiale contenuto  nella mente umana, che per sua natura è caotico ed irrazionale.

“Simili, ma ancora più difficili da tracciare, sono i confini tra conscio e inconscio, responsabilità e irresponsabilità. E qui purtroppo l’impulso a rendere incerti i confini è molto più grande (…)
L’inconscio è infatti un territorio molto esteso, e in questo territorio ci sono più interruzioni ed intrichi di strade di quanto gli psicoanalisti sospettino. Esistono probabilmente altri complessi, e in parte anche diversi, rispetto a quelli di cui si parla continuamente. Solo che essi ricorrono più raramente di quanto affermino gli psicoanalisti. Gli analisti si appellano continuamente, nella loro enunciazione e nei loro dogmi, all’interpretazione dei sogni, ma intraprendendo quella stessa interpretazione sulla base dei loro dogmi (…).”

“La psicoanalisi ha ampliato la conoscenza della psiche, inducendo a ricercare entro profondità in precedenza inesplorate per la forza delle convenzioni, talvolta anche per un fatto di gusto, assai spesso per viltà o paura. Ma ha commesso l’errore di indugiare in queste profondità più a lungo di quanto fosse utile e necessario, rovistando senza posa”.

“Il totalmente conscio è raro, ma anche il totalmente inconscio, nel senso che sarebbe davvero necessaria la magia psicoanalitica per renderlo conscio. Esso è molto più raro di quanto oggi si ritenga. La psicoanalisi parla di coscienza e di subconscio, ma troppo spesso trascura di considerare il medioconscio”.

Il “medioconscio” è un concetto che ricorre spesso nelle opere di Schnitzler: limbo?  “Terra di nessuno”? Forse.
Ma in questa sorta di misteriosa zona franca, in bilico tra il  conscio e l’inconscio freudiani,  razionale ed irrazionale si mescolano,  si confondono, così come si intrecciano esigenze del reale e visioni oniriche, pulsioni libidiche e istanze morali.
E forse il medioconscio
rappresenta anche uno spazio privilegiato degli artisti, fragile ma efficace grimaldello con il quale forzare la serratura delle apparenze, del perbenismo borghese per spingersi “oltre la facciata”.

“«Che dobbiamo fare, Albertine?».
Lei sorrise, e dopo una breve esitazione rispose: «Ringraziare il destino, credo, di essere usciti incolumi da tutte le nostre avventure… da quelle vere e da quelle sognate».
«Ne sei proprio sicura?» chiese Fridolin.
«Tanto sicura da presentire che la realtà di una notte, e anzi neppure quella di un’intera vita umana, non significano, al tempo stesso, anche la loro più profonda verità».
«E nessun sogno» disse egli con un leggero sospiro «è interamente sogno».”

Arthur Schnitzler, da “Doppio sogno”, 1925

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Foto di Sonia Simbolo

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