Questa cerva che vedete, è mia cugina ed anche moglie: era giovanissima, quando la sposai. Siamo vissuti insieme per trent’anni, senza avere figli. Fu solo il desiderio di poterne finalmente avere uno che mi spinse a sposare una schiava, dalla quale ebbi un figlio che prometteva molto. Mia moglie allora si ingelosì; prese in odio madre e figlio, ma nascose così bene i suoi sentimenti, che io me ne accorsi troppo tardi.
Intanto mio figlio cresceva ed aveva dieci anni, quando fui costretto a fare un viaggio. Prima di partire, raccomandai a mia moglie la schiava e suo figlio, pregandola di prendersene cura durante la mia assenza, che durò un anno intero. Ma lei approfittò di quel tempo per dare sfogo a tutto il suo odio. Cominciò a dedicarsi alla magia e quando conobbe abbastanza di quest’arte diabolica, la scellerata portò mio figlio in un luogo appartato, con i suoi incantesimi lo trasformò in un vitello e lo dette al mio fittavolo. Il suo furore non si limitò a questa azione abominevole: trasformò anche la schiava in vacca e dette anche lei al mio fittavolo.
Al mio ritorno, le domandai notizie di madre e figlio. “La tua schiava è morta — mi disse — e, quanto a tuo figlio, e sono due mesi che non lo vedo e ignoro cosa gli sia successo.”
Fui molto dispiaciuto per la morte della schiava, ma pensai di poter ritrovare mio figlio, che si era solo allontanato da casa.
Trascorsero otto mesi senza che ritornasse o che ne avessi notizie, quando arrivò la festa del gran Bairam. Per celebrarla, ordinai al mio fittavolo di portarmi una vacca delle più grasse per farne un sacrificio. Egli obbedì, scegliendo la vacca che era stata appunto la schiava. Io la legai, ma nel momento in cui mi preparavo a sacrificarla, quella cominciò a muggire in modo pietoso e mi accorsi che dagli occhi le scorrevano rivoli di lagrime. La cosa mi sembrò incredibile, ma io non riuscii a colpirla e ordinai al mio fittavolo di andare a prenderne un’altra.
Mia moglie, che era presente, si indispettì per la compassione che avevo provato. “Che stai facendo? — gridò — devi immolarla!”
Per compiacerla, mi avvicinai alla vacca e, lottando con la pietà che mi spingeva a sospendere il sacrificio, feci l’atto di infliggerle il colpo mortale, ma la vittima, raddoppiando le lagrime ed i muggiti, mi disarmò per la seconda volta. Allora passai la scure al fittavolo e gli dissi: “Prendetela, sacrificatela voi; i suoi muggiti e le sue lacrime mi spezzano il cuore!”
Il fittavolo, meno compassionevole di me, la sacrificò, ma squartandola si accorse che aveva solo le ossa.
Io ne provai un grande dispiacere e dissi al fittavolo: “Prendetela per voi, ve la regalo, e se avete un bel vitello grasso, datelo a me al posto suo.”
Poco tempo dopo, vidi arrivare un vitello grassissimo, che, appena mi vide, fece uno sforzo così grande per raggiungermi, da spezzare la corda che lo teneva legato. Si gettò ai miei piedi prostrandosi a terra, come se avesse voluto ottenere la mia compassione. Io rimasi ancora più sconcertato di quando avevo sentito i gemiti della vacca. “Andate — dissi al fittavolo — portate via il vitello. Abbiatene molta cura e portatemene un altro al posto suo.”
Quando mia moglie mi sentì parlare così, cominciò a gridare: “Ma che fai? Devi sacrificare questo vitello!” “No, non lo voglio immolare! – esclamai — Voglio risparmiarlo.”
Quella megera, però, non volle arrendersi alle mie preghiere e fece di tutto per farmi cambiare idea, ma per quante me ne dicesse, io fui irremovibile, anche se, per calmarla, le promisi che l’avrei sacrificato l’anno successivo.
Il mattino del giorno dopo, il mio fittavolo chiese di parlarmi da solo. “Voglio confessarvi una cosa. – Mi disse.- Io ho una figlia che sa qualcosa di magia. Ieri, quando riportai all’ovile il vitello che non avete voluto sacrificare, notai che lei, vedendolo, scoppiò a ridere, ma un momento dopo si mise a piangere e, quando le domandai il motivo del suo strano comportamento, mi rispose: “Padre mio, questo vitello è il figlio del nostro padrone. Io ho riso di gioia vedendo che era ancora vivo e ho pianto ricordandomi del sacrificio di sua madre, che era stata trasformata in vacca. Queste metamorfosi sono state provocate dagli incantesimi della moglie del nostro padrone, che odiava madre e figlio. Ecco ciò che mi ha detto mia figlia.”
“Pensate quale e quanta fu la mia sorpresa a quelle parole” – continuò il vecchio.
Immediatamente andai via col fittavolo, per parlare io stesso con sua figlia. Appena arrivato, andai subito alla stalla dove si trovava mio figlio. Quando la figlia del fittavolo ci raggiunse, le chiedo: “Figlia mia, potete restituire a mio figlio le sue sembianze umane?”
“Sì, certo – Mi rispose – Ma vi avverto che i farò soltanto a due condizioni: la prima, che me lo diate in sposo e la seconda, che mi sia permesso di punire la persona che lo ha trasformato in vitello.”
“Sì, acconsento – le risposi – ma prima restituitemi mio figlio”.
Allora la ragazza prese un vaso pieno di acqua, vi pronunciò sopra delle parole magiche che non riuscii a capire, e, volgendosi verso il vitello, disse:
“Se tu sei stato creato dall’Onnipotente sovrano e padrone del mondo nella forma in cui sei, allora resta nel tuo stato: ma se sei un uomo e sei stato
trasformato in vitello da un incantesimo, riprendi la tua naturale figura con il consenso del sovrano creatore.”
Pronunciate queste parole, gettò l’acqua su di lui, che immediatamente tornò alla sua forma originaria. “Figlio mio! Caro figlio! – Esclamai abbracciandolo con gioia. – È Dio che ci ha inviato questa giovinetta per distruggere l’orribile incantesimo che ti teneva prigionieri e vendicarti del male che fatto a te ed a tua madre. Sono sicuro che per riconoscenza vorrai prenderla come tua sposa, come io mi sono impegnato. Lui acconsentì con gioia, ma prima di sposarsi, la ragazza trasformò mia moglie nella cerva che vedete. Dopo qualche tempo, mio figlio rimase vedovo e cominciò a viaggiare. Poiché da molti anni non ho più sue notizie, mi sono messo in cammino per andare a cercarlo, ma non volendo affidare mia moglie a nessuno, ho deciso di portarla con me. Ecco la mia istoria e quella della mia cerva. Non è forse una delle più sorprendenti e delle più meravigliose?”
“Sono d’accordo, – ammise il Genio, – per cui ti concedo il terzo della grazia di questo mercante.”
Il secondo, che portava due cani neri, si diresse verso il Genio e gli disse:
“Io vi racconterò ciò che successe a me ed a questi due cani e sono sicuro che troverete la mia storia ancora più sorprendente di quella che avete ascoltato ora. Ma quando ve l’avrò raccontata, mi promettete il secondo terzo della grazia di questo mercante?”
“Sì, – rispose il Genio – purché la tua storia risulti ancora più nuova di quella della cerva.”
Da “Le mille e una notte”
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Illustrazione di H. J. Ford