“Spesso le nostre aspettative si infrangono contro una dura realtà. Cerchiamo di capire come porci di fronte alle difficoltà, sapendo che le nostre reazioni influenzeranno il mondo esterno
Jean-Baptiste Alaize è un atleta paraolimpico specializzato in salto in lungo e sprint. Nella sua storia Jean-Baptiste ha dovuto affrontare diversi eventi traumatici: nato in Burundi, infatti, alla vigilia di una guerra civile, ha perso durante il suo percorso di vita entrambi i genitori, il fratello e una gamba, e ha trascorso gran parte della sua infanzia in un orfanotrofio. Eventi questi che sarebbero bastati anche singolarmente a generare delle profonde fratture, e se vogliamo a far sì che Jean-Baptiste potesse comprensibilmente arenarsi e non proseguire in maniera così brillante la sua vita.
Cosa ha fatto sì allora che Jean-Baptiste ce la facesse? Cosa lo ha spinto a non abbattersi, a trovare nuove strade e nuove risorse interne? Sicuramente possiamo ipotizzare che il contesto di vita e le persone che l’atleta ha incontrato successivamente nella sua storia abbiano avuto un impatto importante, ma, probabilmente, queste opportunità da sole non sarebbero bastate se non ci fosse stata anche una particolare forza interiore e una capacità di gestire degli eventi traumatici.
Nella vita di ciascuno è fondamentale come ci si pone dinanzi agli eventi positivi o negativi che ci capitano.
L’interpretazione degli eventi può essere più importante degli eventi stessi e modificare le conseguenze in un senso o in un altro. Prendendo come esempio quello di Jean-Baptiste, possiamo ipotizzare che persone che si trovino a vivere situazioni così drammatiche possano più volte aver sperimentato un forte senso di ingiustizia, tristezza e disperazione. E senza voler pensare unicamente a casi estremi come questo in questione, sicuramente a ciascuno di noi sarà capitato di dover affrontare situazioni particolarmente difficili da gestire: perdere il lavoro, separarsi dal proprio partner, una malattia e così via.
Dinanzi a tali difficoltà le scelte sono due: assumere un’attitudine retroattiva o un’attitudine proattiva.
Nell’attitudine retroattiva, dinanzi a degli eventi traumatici o a delle situazioni di crisi, l’individuo tenderà a vivere il mondo esterno come ostile, e come non in grado di accogliere le sue esigenze. Frasi del tipo «ah, come sono stato sfortunato nella mia vita» oppure «ah, se solo non avessi perso il lavoro», «ah, se gli altri mi capissero», ecc. sono tipiche di un atteggiamento retroattivo. Il soggetto parte tendenzialmente sfiduciato dinanzi alle cose che gli capitano nella vita, assume un atteggiamento passivo e sente di non poter modificare nulla, non essendo padrone del proprio destino.
Le persone che, al contrario, assumono un atteggiamento proattivo, hanno delle aspettative più positive nei riguardi dell’ambiente esterno e riescono il più delle volte a sfruttarlo a proprio vantaggio. Questo tipo di approccio non è di tipo utopico ma realistico. L’ambiente esterno viene valutato per quello che è, si accoglie quello che avviene, senza la certezza che tutto si modificherà nel verso giusto, affrontando certo anche momenti di sconforto, tristezza e disperazione, ma mettendosi sempre al centro della propria vita, prendendo in mano il timone del proprio percorso senza abbattersi. Chiedendosi piuttosto: cosa posso fare per modificare quello che sta accadendo? Quale parte del mio carattere ha contribuito a generare questa situazione e può quindi essere in parte cambiata? Quale parte invece va accolta ed accettata perché non dipendente da me? Laddove ci sono situazioni che non posso modificare, cosa posso fare per far sì che la mia vita migliori? E così via.
Concludendo possiamo affermare, quindi, che sebbene sia necessario sempre essere consapevoli che non si può prescindere dall’ambiente in cui ci si trova, si può in ogni caso sperare di avere un’influenza su quell’ambiente, per cercare in parte di modificarlo. Tenendo sempre in considerazione che non è tanto drammatico o invalidante quello che succede nella vita di ciascuno di noi, ma come lo interpretiamo e lo reintegriamo all’interno dei nostri percorsi di vita. Jean-Baptiste ha trovato la sua strada nello sport, l’atleta in un recente documentario, racconta di come correre lo abbia salvato. Certo, lo sport non ha cancellato la sofferenza vissuta, ma lo ha aiutato a ritrovare un nuovo percorso, una possibilità di rinascere dalle macerie. È importante quindi non scoraggiarsi e cercare di capire quale possa essere per ciascuno di noi la modalità che aiuti a recuperare, a riprendersi per far sì che la vita continui a scorrere.
Serena Scotto D’Abusco – Fonte: Città Nuova