“Utnapishtim parlò a lui, a Gilgamesh: “Una cosa nascosta, Gilgamesh, ti voglio rivelare, e il segreto degli dei ti voglio manifestare. (…) Bramò il cuore dei grandi dei di mandare il diluvio. (…)
Uomo di Shuruppak, figlio di Ubartutu, abbatti la tua casa, costruisci una nave,
abbandona la ricchezza, cerca la vita! Disdegna i possedimenti, salva la vita! Fai salire sulla nave tutte le specie viventi! (…)
Appena l’alba spuntò, si raccolse attorno a me tutto il paese. (…)
Al quinto giorno disegnai lo schema della nave; la sua superficie era grande come un campo, le sue pareti erano alte 120 cubiti.
Il bordo della sua copertura raggiungeva anch’esso 120 cubiti.
Io tracciai il suo progetto, feci il suo modello:
suddivisi la superficie in sei comparti,
innalzai fino a sette piani.
La sua base suddivisi per nove volte.
Nel suo mezzo infissi pioli per le acque;
scelsi le pertiche e approntai tutto ciò che serviva alla sua costruzione:
tre sar di bitume grezzo versai nel forno,
tre sar di bitume fine impiegai;
tre sar di olio portarno le persone portatrici dei canestri. (…) Come approvvigionamento macellai buoi,
giorno dopo giorno uccisi pecore; mosto, birra, olio e vino gli artigiani bevvero come fosse acqua del fiume,
essi celebrarono una festa come se fosse la festa del Nuovo Anno!
Al sorgere del sole io feci un’unzione;
al tramonto la nave era pronta.
Il varo della nave fu molto difficile; corde per il varo furono lanciate sopra e sotto; due terzi di essa stavano sopra la linea d’acqua.
Tutto ciò che io possedevo lo caricai dentro: tutto ciò che io possedevo di argento lo caricai dentro,
tutto ciò che io possedevo di oro lo caricai dentro,
tutto ciò che io possedevo di specie viventi le caricai dentro:
sulla nave feci salire tutta la mia famiglia e i miei parenti, il bestiame della steppa, gli animali della steppa, tutti gli artigiani feci salire.
L’inizio del diluvio me lo aveva indicato Shamash:
“Al mattino farò scendere focacce, la sera farò piovere
una pioggia di grano;
allora sali sulla nave e chiudi la porta!”. (…)
Appena spuntò l’alba,
dall’orizzonte salì una nuvola nera. (…)
Gli Anunnaki (in genere, sono gli dei, ma in questo caso il riferimento è a quelli favorevoli al diluvio, ndr) sollevano fiaccole,
con la loro luce terribile infiammano il paese.
Il mortale silenzio di Adad avanza nel cielo,
in tenebra tramuta ogni cosa splendente.
Il paese come un vaso egli ha spezzato.
Per un giorno intero la tempesta infuriò,
il vento del sud si affrettò per immergere le montagne nell’acqua:
come un’arma di battaglia la distruzione si abbatte
sugli uomini.
A causa del buio il fratello non vede più suo fratello,
dal cielo gli uomini non sono più visibili.
(…)
Sei giorni e sette notti
soffia il vento, infuria il diluvio, l’uragano livella il paese.
Quando giunse il settimo giorno, la tempesta, il diluvio cessa la battaglia,
dopo aver lottato come una donna in doglie.
Si fermò il mare, il vento cattivo cessò e il diluvio si fermò.
Io osservo il giorno, vi regna il silenzio.
Ma l’intera umanità è ridiventata argilla.
Come un tetto è pareggiato il paese.
Aprii allora lo sportello e la luce baciò la mia faccia.
Mi abbassai, mi inginocchiai e piansi.
Sulle mie guance scorrevano due fiumi di lacrime.
Scrutai la distesa delle acque alla ricerca di una riva: finché ad una distanza di dodici leghe non scorsi un’isola.
La nave si incagliò sul monte Nisir.
Il monte Nisir prese la nave e non la fece più muovere; un giorno, due giorni, il monte Nisir prese la nave
e non la fece più muovere;
tre giorni, quattro giorni, il monte Nisir prese la nave
e non la fece più muovere;
cinque giorni, sei giorni, il monte Nisir prese la nave
e non la fece più muovere.
Quando giunse il settimo giorno, feci uscire una colomba, la liberai.
La colomba andò e ritornò, un luogo dove stare non era visibile per lei, tornò indietro.
Feci uscire una rondine, la liberai; andò la rondine e ritornò, un luogo dove stare non era visibile per lei, tornò indietro.
Feci uscire un corvo, lo liberai.
Andò il corvo e questo vide che l’acqua ormai rifluiva, egli mangiò, starnazzò, sollevò la coda e non tornò.”
“Tavoletta del Diluvio”, VII-VI secolo a. C. circa. Tavoletta di argilla, classificata come XI, trovata da Henry Austen Layard nella Biblioteca Reale di Assurbanipal e decifrata nel 1872 dallo studioso autodidatta George Smith.
***
“Allora Manu portò il pesce al mare.
Nell’oceano Matsya (è il nome del perché, ndr) trovò spazio a sufficienza, anche se continuava a ingrandirsi a vista d’occhio. Prima di scomparire nelle profondità delle acque disse a Manu: “Non scorderò le cure che mi hai offerto e del tuo buon cuore. Ascolta, presto Brahma il creatore si addormenterà e un enorme diluvio distruggerà la terra. Costruisci un’arca abbastanza grande da accomodare un seme di ogni tipo e i sette Rishi, i saggi asceti che vivono da sempre sulle montagne. Quando il cielo diventerà nero e la pioggia comincerà a cadere ininterrotta entrate nella barca e aspettate. Io arriverò con l’acqua che sale dall’oceano. Lega l’arca alla pinna sulla mia schiena e vi condurrò in salvo”.
Manu fece come il pesce aveva spiegato e quando arrivò il diluvio universale per anni e anni la sua arca navigò sulle acque in tempesta. Quando tornò il sole non c’era che un’infinita distesa di acqua. Il pesce condusse Manu sulla cima dell’Himalaya, unica parte della terra non sommersa dal mare. Dopo qualche tempo l’acqua cominciò a scendere, finché di nuovo la terra comparve.”
“Shatapatha Brahmana”, testo sacro indù, composto intorno al 300 a. C.