“Ciao caro Davide, sono stato a Medina, nella casa dove si dice sia stato sepolto Maometto, sotto il pavimento. Gli ultimi giorni del profeta sono avvolti nel mistero. La storia è curiosa, voglio raccontartela.
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Quella sera Maometto fece venire Fatima e la strinse a sé.
«Figlia mia» disse, «quando voglio sentire il profumo del paradiso è il tuo collo che annuso. Questa è l’ultima volta che lo farò».
Lei proruppe in lacrime. Maometto le chiese di avvicinarsi e le sussurrò alcune parole all’orecchio. Il buonumore tornò sul volto della ragazza, che scoppiò a ridere.
«Che ti ha detto?» le domandò poco dopo Ali, che aveva assistito alla scena.
«Che lo seguirò in paradiso molto presto».
Ali la guardò atterrito. Quando Maometto aveva annunciato a Fatima la sua intenzione di darla in sposa al cugino Ali, lei in lacrime aveva riposto: «Mi daresti in sposa a quel pancione dagli occhi cisposi e le gambe storte? Lo sai anche tu che passa gran parte del tempo a dormire steso per terra, ovunque capiti. Per questo ha sempre i vestiti impolverati. Non riesce a tenersi sveglio nemmeno per la preghiera serale, e usa addormentarsi con gli abiti che ha addosso, senza nemmeno spogliarsi. E poi è povero in canna. Vuoi davvero che sposi uno che si guadagna da vivere portando secchi d’acqua a un ebreo il cui nome, Banu Quraydha, non è degno di rispetto?».
«Ali è mio cugino» rispose il Profeta, «gli voglio bene. E poi è Dio che lo vuole».
Udendo quelle parole, Fatima si piegò al volere del padre, e naturalmente a quello di Dio.
Quella sera stessa, Maometto prese la mano ad Ali e disse: «Sarai tu a lavare il mio corpo, una volta che sarò morto, con l’acqua del pozzo di Ghars, che come sai ha origine nel paradiso; all’acqua mescolerai rami e foglie di spincervino. Nessun altro dovrà toccarmi. Chi vedrà il mio sesso, sarà accecato. Dopo le abluzioni, profumerai il mio corpo con olio di canfora, avvolgendolo poi in tre teli bianchi di cotone dello Yemen».
«È un grande onore, quello che mi fai, Inviato di Dio. Spero di riuscire a fare tutto questo, senza l’aiuto di nessuno» rispose il genero.
«E ricorda: mi seppellirete con la mia qatifa rossa, non sopporterei di separarmene».
Vedendo che le mogli, attorno a lui, si abbandonavano al pianto, Maometto le redarguì: «Tacete, solo i miscredenti si disperano a quel modo!».
Immerse le mani nell’acqua della bacinella e poi disse: «La febbre sta tornando. Portatemi un panno bagnato da mettere sulla fronte. E tu, Hasfa, tira le tende: sta per scoppiare un temporale. Lo sai che non amo i tuoni: mi fanno male al cuore!».
Un attimo dopo perse coscienza e cominciò a tremare e rantolare. Dalla gola, a tratti, usciva un fischio spaventoso.
In un angolino della stanza Abu Bakr, arrivato da poco, non smetteva di fissarlo serio in volto. Era chiaro che l’amico aveva le ore contate.
«Ho un solo cruccio, – si disse. – Non avere trascorso più tempo con lui. Ma ormai è tardi. Di quanti rimpianti è costellata la nostra esistenza!»
Accanto a lui, la figura imponente di Omar teneva tutti in apprensione, con il suo sguardo severo. Era temuto perfino da Aisha, solitamente così coraggiosa e padrona di sé. Nessuno poteva immaginare che perfino lui in quel momento era attraversato da pensieri di pentimento: «Mi vergogno di essermi occupato dei miei affari perfino mentre l’Inviato di Dio soffriva così profondamente nel suo letto. Avrei dovuto stargli accanto. Chissà chi designerà come suo successore.»
Ali, convinto che sarebbe stato il prescelto, si teneva in disparte, accanto alla finestra, in silenzio; e tuttavia era pieno di dubbi.
Aisha, dal canto suo, cercava di nascondere le lacrime che le rigavano il volto, e nel contempo pensava a come aiutare il padre, Abu Bakr, a succedere al marito alla guida della Umma.
*
La mattina dopo, Maometto ebbe ancora un momento di lucidità. Chiese una scapola e un calamaio per mettere per iscritto le sue ultime volontà.
«Non abbiamo forse già il Corano? Non è forse sufficiente?» saltò su Omar, in preda all’agitazione.
«Non sentite quello che vi dice? Il Profeta vuole affidarvi le sue ultime parole» dissero, una dopo l’altra, le mogli presenti, come di comune accordo.
Omar le zittì.
Maometto allora trovò la forza per dire, con un filo di voce: «Lasciale in pace, loro sono migliori di tutti voi».
«Date al Profeta di che scrivere» insisté una delle mogli.
Ma nessuno si mosse.
«Lo farò io!» sbottò Aisha, alzandosi.
Ma ormai era tardi. Il Profeta aveva di nuovo perso conoscenza.
Poco dopo Maometto fu di nuovo tra loro. Risvegliatosi dall’ennesima sincope, invitò tutti a smettere di litigare.
«Per te darei la vita» disse Omar, come per farsi perdonare. «Senza di te saremmo morti tutti!».
«Ti portiamo da scrivere?» domandò qualcuno.
«No, lasciatemi in pace, sto troppo male. Ormai è troppo tardi. Dove è Abu Bakr?».
«Non è qui» gli venne risposto.
«Nessuno sa dove si trova? Ho una cosa importante da dirgli. Di tutti è il più saggio. A lui affiderei senza esitare tutto ciò che mi è più caro».
«No, Inviato di Dio, nessuno lo sa» mormorò Omar.
«Avvicinati» gli disse Maometto. «E anche voi, venite qui».
I suoi compagni più intimi gli furono accanto.
«Vi affido la mia famiglia» disse, «abbiatene cura. Soprattutto a te, Omar. So quanto la tua spada sia solida. Tu sei necessario all’Islam forse più di ogni altro. Dopo di me, il diritto sarà con te».
Posò una mano sul cuore e indicando con l’altra Ali aggiunse: «Per colui di cui io sono il signore, Ali è il suo signore».
Dicono anche che una volta morto il corpo di Maometto si fece così leggero che la bara si sollevò da terra e prese a fluttuare, restando sospesa nell’aria per ore. Ma forse sono solo leggende.
Venne sepolto nella stanza di Aisha, in una fossa scavata sotto il letto. Abbas giurò di avere smarrito un prezioso anello mentre scavava, e con la scusa di cercarlo fu l’ultimo a vedere in volto il Profeta, prima che la terra lo ricoprisse fino a formare un tumulo. Accanto al suo corpo, nella stanza da letto di Aisha, molti anni dopo sarebbero stati sepolti anche Abu Bakr e Omar, primo e secondo Califfo. Quando Aisha, già in là con gli anni, si spogliava nella sua stanza al riparo dallo sguardo di estranei, lo faceva non senza nascondersi dietro un paravento: «Passi che a contemplare la mia nudità siano mio marito e mio padre» diceva a se stessa, «ma che sia quel dannato bestione di Omar, questo non posso proprio tollerarlo: mi imbarazza!».
Tumulato il corpo di Maometto, alla riunione della saqifa tenutasi nel giardino dei Banu Sa’ida, sotto un rigoglioso pergolato, Omar si presentò armato, ma Abu Bakr ne trattenne la mano: «Lascia che sia io a parlare».
Al termine della discussione aveva convinto tutti: sarebbe stato lui il primo Califfo della Umma. I signori degli Ansar di Medina, con l’avallo di Sa’d Ibn Ubada, capo indiscusso dei Khazraj, erano pronti a sottomettersi.”
Gianluca Barbera, da “Cartoline dal mondo”
Fonte: Pangea
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Nell’immagine: “La morte di Maometto”: Miniatura contenuta nel manoscritto ottomano del Siyar-i Nebi, datato 1595 (conservato a Istanbul)