“Sorella, la terra si ricorderà ancora di Te?
Lei che ti tenne per poco,
sopra la marea crescente.
Sorella, sentirà ancora le tue canzoni,
sotto il tambureggiare delle onde?
Sorella, tremerà di vergogna,
quando le toglierai il manto di pandano?
Sorella, manterrà l’orgoglio
quando logorerai
il suo taro* fradicio di salmastro amaro?
Sorella, il vento sentirà ancora
Il suo battito
nella corrente della tua voce?
Sorella, si struggerà d’avere traccia
delle tue figlie,
come già delle tue molte madri?
Tornerà?
Saprà il tuo nome?”
*Pane
Michelle Ngamoki, “Tai Pari, Tai Ope”,
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“Stamattina presto
si è rigirato nel sonno
Increspature m’han sbiancato il corpo
mi son salite le bolle
su per le narici
M’ha lavato la faccia
lasciandomi al freddo
coi brividi
“Tangaroa”, gli ho detto
“che brutte maniere,
specialmente
a letto!”
*Il dio degli oceani, nel mito māori.
**Divinità del sole.
Mary Maringikura Campbell, “Tangaroa”
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“Nonna,
indugiasti un attimo prima di incamminarti nel mare?
Ti voltasti mai verso la spiaggia?
Dimenticasti i tuoi figli?
O immaginasti che sarebbero stati meglio senza di te?
Nonna, anch’io l’ho contemplato.
Ti sentivi sola o piena di rabbia?
Vorrei tanto saperlo
Ferma i miei passi, questi pensieri sono come avvoltoi.
Nonna, capisco perché facesti ciò che facesti:
troppe tempeste.
Abbracciamoci, per un momento.”
Mary Maringikura Campbell, “Ethel Mary”
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“Pensavo di trovare un carnevale infinito.
Il turbinio di suoni meccanici
la polvere e il giro d’una ruota gigantesca,
chiromanti che leggevano carte e cristalli
elisir di signore che non erano me.
Ma sussurrarono le atua wāhine**
vieni ragazza, hine***, vieni via
dalla musica di questo sole denso e madido
con i suoi incantatori di serpenti, con il suo fumo.
Appesa al cordame tra un mondo e l’altro
ho sentito il loro karanga**** la voce all’alba
secoli di donne che si sollevano
in un wiri vocale dal motu
a declamare la prima donna,
muscolosa sotto la sabbia
venne la lacerazione cataclismica
il primo sanguinamento.
Al principio non c’era la gente.
Solo acqua costante lungo i suoi fianchi dalla montagna
fino al suolo.
Solo l’arco mostruoso del suo dolore.
Solo lei.”
Anahera Gildea, “Alla ricerca di mana wahine”*
*In lingua māori, l’espressione ‘mana wahine’ si traduce generalmente con il singolare: ‘donna forte’ (il plurale usa il macron: ‘mana wāhine’), tuttavia, come spiegato dalla poetessa, in questo contesto ‘wahine’ è usato come vocabolo non numerabile, nella sua valenza collettiva: “tutte le mana wahine dell’universo sono una cosa sola…e non dipende dal numero dei partecipanti.”
** Antenati illustri femminili.
***Ragazza.
****Richiamo/invito formale a una cerimonia, nella tradizione maori.
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“Sappiamo che gli scultori inducono qualcosa o qualcuno
che già si trova dentro il legno.
Ne tolgono un pezzetto alla volta, uno a uno, finché non
è pronto.
Sappiamo entrambi che un linguaggio attende sulle mie
labbra.
Per favore, posa la scure, la sega, la lima:
parlami dolcemente sì che possa riconoscere cosa vi si
trova.
No, non scheggiare la carne rosea e le papille gustative:
trasudata e gonfia, soffocherò nel mio stesso sangue
prima che tu abbia finito.
Il legno che stai provando a intagliare è ancora un
albero.”
Alice Te Punga Somerville
Rākau
*Albero.
Le poesie sono tratte da AA.VV., “Matariki, sciame di stelle” (a cura di Antonella Sarti Evans, trad. di Antonella Sarti Evans, Francesca Benocci, Eleonora Bello)