Dei gradi della vita vegetativa sulla via della bellezza esteriore
Non appena nel cortile dell’Antica Dimora, fu vuoto di me il grembo del fiat!
Dal sommo potei discendere sino all’infimo, ottemperando umilmente al comando divino.
E qui una Balia incontrai di stirpe antica, che era stata generata con il moto dei cieli.
Una vecchia maleodorante, una ruota possente, ignara del sole come pure dell’ombra.
Ella aveva preceduto le creature del mondo, ed era stata la nutrice persino di Adamo.
Di ogni animale, secondo il rango e il valore, ella era balia, cuoca o attendente.
Ebbene costei si mise al mio fianco, volle accudirmi al modo di una madre.
Ella è la causa prima della generazione, specie delle piante le devono tutto.
Per lei il virgulto ha un aspetto per lei il cedro libero svetta.
Per lei i roseti dischiudono le corolle, per lei i cipressi si ergono al cielo.
Per lei spunta a primavera la mano delle foglie verziere sboccia il volto dei fiori.
Ogni sostanza che questa Ruota accresce, di poi il suo moto la innalza nel cielo.
E i ruscelli, i tesorieri dell’acqua, per lei scorron diritti come alef o sinuosi come nun.
All’inizio, quand’ero un infante, ella non sapeva distinguermi da un ceppo.
Come ignaro vegetale mi nutrivo senza posa vivendo al modo di un giovane arbusto.
La Balia, ad ogni stadio della mia esistenza, si mostrava a me con tutte le sue arti.
In principio mi cucì un abito verde che poi acquistò il colore del rubino.
Poi che persi speranza del verde e del rosso; ella mi donò una veste bianchissima.
E quando strappai quella candida veste, ella mi cucì una tunica del color del giuggiolo.
Poi mi preparò, per meglio dissimularmi, una maglia di aloe e una celletta di canfora.
E dopo avermi abbigliato nell’intimo, mi rivestì esternamente con una guaina.
Cosi ebbi un riparo, sia pur brulicante di demoni eptacefali, con sei lati, quattro parti e cinque usci.
Ed erano porte di argento, di onice e d’ambra, una era chiusa e quattro erano ben aperte.
Poi a me, per ogni colore della rugiada, i nove astri si mostrarono dalle sfere celesti.
E come si chiuse la splendida parata, ella fece della mia veste e cibo e bevanda.
In ultimo, allorché il fondamento fu radice ben salda, ella mi inviò alla Città del Padre.
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Esternamente era nuova, internamente antica,
meravigliosa la sua terra, la sua aria fetida.
Le sue piante somigliavano al cuore di un sapiente, le
radici in alto e i rami volti al basso.
Vi sorgevano tende di polvere e aria, con chiodi di
fuoco e corde d’acqua.
Il suo spazio era aperto a viandanti e marinai, il suo
riposo era fatto di lotte e uccisioni.
Vi regnava un Re dai due volti e delle dieci teste,
figlio di due madri e di due padri.
Aveva cinque teste che osservavano il deserto
e cinque teste che scrutavano il cielo.
Era fonte di nobiltà e causa di sperpero, opera di
scienza e insieme di giustizia.
Aveva una veste di brame, ingordigia e rancore, una
anima di demone, di animale feroce e pur mansueto.
Egli è luce esternamente, ma il suo interno è fuoco,
da fuori appare uno, da dentro quattro.
L’armonia delle sue parti è causa di vita, ma la loro
discordia porta il figlio alla morte.
Egli ottiene vigore dall’armonia dei suoi elementi,
debolezza dalla discordia tra padri e madri,
E fonte di energia e di coscienza, è causa di mani e
occhi e naso e lingua e orecchi.
E sottomette la prole alla ruota dei cieli: guarda
l’oppressione che deriva dal suo influsso!
Qual è la natura d’armonia? È prosperità. E qual è il
volto della discordia? E’ rovina.
Il verde abito di primavera deriva da ordine, il volto
giallo dell’autunno da dispersione.
Ed è solo nelle radici d’armonia che si piantano i
chiodi delle tende smaltate dei cieli!
Ma questo mio breve sermone lo comprende il saga-
ce, lo stolto ne ride soltanto.
Nella giustizia alberga la rettitudine: lo sappia colui
che non la coltiva.
La giustizia priva della retta alef è una belva, così
come il vento privo dell’alta alefè funesto.
[In questa Città] ora il padre assume il volto della
madre, ora la madre l’aspetto del padre.
I suoi soldati, votati al male e all’oppressione
sono demoni e fiere, belve rapaci.
Tre sono i Suoi servitori: Il fuoco, la luce e la tenebra
due le sue giumente: la fulva e la bruna.
I suoi operai son pittori di vane speranze e i suoi
cavalli spregevoli cavalcature.
Invero ciò che elargisce è la rovina dei suoi operai,
ciò che genera è pastura pel suoi cavalli.
Il suo Governatore è un amico e un pittore di vane
forme; il suo Tesoriere è maestro e servitore.
Quando infine il signore della mia indole mi presentò
al Principe della vita e della corruzione,
Questi mi accolse con doni e lusinghe, volle educarmi
e mi eresse una piccola cella.
ma quando ebbe misurato i suoi limiti, egli dispose
di affidare a mio solo vantaggio
Le quattro barriere ai Sette Mansueti e le cinque
porte al Cinque Ricercatori.
Branchi di leoni io vedevo e di onagri, e mandrie di
mostri e animali da soma.
Tutti di natura triste ma di fede assai lieta, gran di-
voratori ma dalla Vista corta.
Intenti in azioni o in desideri d’offesa
eran presi unicamente dal cibo e dal sonno.
Simili a oranghi, viaggiavano per mesi e anni ma
immobili restavano come bestie da mola.
Pur percorrendo un cammino interminabile, non fa-
cevano che ruotare intorno al loro sterco.
E io simile a demone o asino, a fiera o giumenta,
smanioso dl agi, di cibo, di sonno e di voglie,
Senza posa vagavo per monti e deserti, arrancando
come gli ammali più mesti.
Se vuoi la verità, il mio cuore in quei luoghi fu presto
ben sazio di questi occhi ingordi.
I sensi han da piegarsi alla nostra elevazione, essi
sono al servizio dell’Anima Loquente.
E invero, quand’Ella mi mostrava il suo volto, tutto
intero mi strappava a questa terra!
Mi liberava da quel mio vano cercare e m’innalzava
dalla terra sino alla volta celeste!
Ma quando ricadevo nella mia antica natura,
ridiventavo demone o fiera o bestia da tiro.
La mia natura mi sospingeva dunque verso il basso ,
la la mia essenza mi chiamava all’ alto.
E io ristavo nel mezzo, come sospeso- la meta sempre
lontana, la via ardua e spaventosa,
La casa avvolta nel fumo, gli occhi dolenti, la Strada
irta di spade e frecce, le membra inerti
Come abbagliato io ero e privo di scienza e vigore,
né altra guida avevo che un cieco ammale.
Più non possedevo scienza, umana o divina, né –
né in esse nutrivo fiducia alcuna.
Oh, se anche tu avessi per guida una bestia accecata,
la tua dimora più dolce sarebbe Ia tomba!
Finalmente io fuggii quei pascoli e quei cammini,
divenni bramoso di una guida e di una via.
E un giorno, andando per uno stretto sentiero
all’improvviso io vidi attraverso le tenebre
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Della vita razionale o dell’intelletto passivo
Incontrai un vecchio gentile e luminoso quale
è un credente nelle tenebre dell’empietà.
Era umile, amabile e misurato, arguto, elegante profondo e garbato.
Il suo tempo fluiva più veloce del nostro,
la sua vecchiezza fioriva più di nuova primavera.
Occhio era la sua anima intemerata, e il corpo, i sette
organi e le sei cause, si riducevano a un cuore.
I suoi piedi erano di luce inviolata, l’ombra della
schiena rifletteva il suo petto.
Sovrastava i terreni orizzonti su nulla poggiando, era
causa di spazio e spazio non prendeva.
Gli dissi: «O fiaccola delle mie notti, o messia che
guarisce le mie febbri!
Donde lo splendore, la perfezione e la maestà che tu
mostri? E tanta grazia e avvenenza e nobiltà?
Oh, regale condizione è quella di chi si getta ai tuoi
piedi! É quale meraviglioso luogo è un pozzo oscuro,
se tu in esso qual luna ti rimiri!
O tu, sostanza pregiata e impalpabile, infine dimmi.
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Sana’i di Ghazna (noto anche come Ḥakīm Sanāʾi, mistico persiano vissuto tra il 1080 ca. e il 1150 ca.), da “Viaggio nel regno del ritorno”
Il “viaggio” è un percorso iniziatico durante il quale il viandante, dopo essere disceso nell’inferno sublunare, popolato di esseri immondi e dopo aver attraversato il regno degli astri, che rappresenta l’impotenza della ragione e del sapere, ascende alla pura Luce. Evidente il parallelismo con la “Divina Commedia”, tanto più che Dante, forse anche per il tramite del suo maestro Brunetto Latini (che si recò in Spagna alla corte di re Alfonso X) doveva conoscere sia l’opera di Sana’i, sia la tradizione degli ḥadīth (racconto) sull’ isrāʾ e sul miʿrāj (rispettivamente: il viaggio notturno di Maometto in sella Buraq e la sua successiva ascesa al Cielo), alla quale quasi sicuramente si ispirò.