Affabulazioni

La Crona

04.02.2022

La grotta era quasi inaccessibile, incastonata come un occhio nel cranio di un uro. L’unico sentiero possibile era un passaggio così basso e stretto da dover percorrere pancia a terra e ritrovarsi cosce e ventre graffiati. Lei non aveva problemi a passare, aveva ancora il corpo flessuoso come l’erba del fiume che scorreva molto più in basso, con il fragore delle acque invernali. Anche stavolta riportava un bottino di bacche e noci che assieme alla caccia avrebbe fornito cibo per tutti.

Trenta esseri umani vivevano pochi passi più sotto, su uno sperone di roccia protetto da un aggetto che aveva il profilo di un vecchio; trenta legami di carne e sangue che dipendevano uno dall’altro per restare vivi. Lei non sapeva bene cosa volesse dire attraversare la Terra di sopra e passare alla Terra di sotto anche se i racconti della Crona dicevano che ci si addormentava nelle braccia della Madre in attesa d’essere richiamati qui. Il richiamo… fin da piccolissima amava i racconti della Crona; Lei le era accanto spesso, seguendone attenta i gesti segreti; sarebbe diventata un giorno Crona essa stessa, di questo era consapevole. Il rifugio e la grotta che più in alto si apriva sulla montagna erano tutto per Lei; ventre caldo che accoglieva i suoi figli quando stanchi o ammalati vi si rifugiavano, la grotta era il luogo dove si pregava la Madre. Poggiando le mani sul suo corpo, nelle profondità scure e umide delle sue ossa, si poteva ascoltare la voce che avrebbe aiutato nelle giornate di caccia. Si potevano lasciare desideri e sogni tracciati con l’ocra e il carbone per chiedere favori o aiuto.

Sul riparo si svolgeva invece la maggior parte della vita di ognuno di loro. Lì si mangiava, si dormiva, ci si stringeva al corpo di chi si era scelto, ci si riposava mentre si masticava la pelle e renderla così morbida da potercisi coprire, si preparavano pezzi di carne da mettere sul fuoco sempre acceso. Un tempo erano molti di più gli umani che formavano il gruppo, in parecchi poi decisero di scendere più a valle per seguire le mandrie che numerose correvano sempre più verso i pascoli lontano dagli inverni di neve. Il suo gruppo aveva deciso di restare, la Madre non doveva essere lasciata sola; la bocca con cui essa parlava loro sarebbe stata protetta ancora, almeno finché la Crona sarebbe stata su questa terra. Più di una volta altre Crone avevano sostenuto che la Madre parlava anche da altre bocche e che bastava seguire la linea delle sue ossa.

Le montagne correvano lungo la prateria rincorrendosi in picchi e strapiombi lasciando di tanto in tanto larghe labbra aperte piene di vento da cui si poteva avvertire il respiro della Madre. Magnifico era il territorio attorno alla loro grotta. Ancora pieno di cibo e di acqua e di riparo per chi sapeva guardare e sapeva muoversi con esso.

Lei era in perfetta armonia; Lei era armonia. Nel suo clan c’erano 6 cuccioli e poi 4 giovani uomini e 6 giovani donne; 13 erano invece, tra maschi e femmine i cacciatori; e poi c’era la Crona. I piccoli che strisciando e barcollando restavano sotto l’occhio vigile dei giovani che vivevano sempre su al riparo a sorvegliare il fuoco e sbucciare bacche. Almeno fino al rito del primo passaggio quando le giovani donne versavano il primo sangue sacro della vita. Per i giovani maschi invece arrivava il momento, deciso da tutti gli altri maschi adulti, nel quale venivano portati di peso nel punto più profondo del ventre della Madre; rimanevano nella grotta per il tempo di un quarto di luna; solo allora potevano uscire con le proprie gambe, senza paura ma affamati come lupi. Avrebbero dimostrato agli altri che erano stati richiamati su questa parte della Terra degni della Madre che li aveva richiamati.

I cacciatori erano sempre via, impegnati nella caccia e nella raccolta; spesso formando fazioni in gara fra loro per chi avrebbe portato più cibo. La Crona era quasi sempre appena fuori dell’ingresso della grotta. Il copricapo di conchiglie preziose sulla testa tintinnava ogni qualvolta volgeva rapido lo sguardo ai confini del loro mondo alla ricerca di segni: i fuochi nel cielo che avrebbero annunciato tempeste, nubi da terra sollevate dall’arrivo di mandrie tardive che correvano verso sud o folate di penne scure che muovendosi in armonia volavano alte sempre alla ricerca di anime da portare altrove. Quelle conchiglie tenute assieme una all’altra da piccolissimi nodi erano fonte di un faticoso scambio con un gruppo che veniva dalle grandi acque; costate quasi dieci giorni di caccia ma erano il segno del suo lignaggio. La cosa più preziosa, dopo i cuccioli che possedeva il clan; Esso proteggeva il potere della Crona che era quello di vedere le cose prima che accadessero.

La Crona era la guardiana dei due mondi e tutti erano ben coscienti che senza di lei la Madre avrebbe potuto colpire; la Madre era cieca, la Crona no. Il corpo ricoperto con cura di ocra rossa per segnare il confine tra ciò che è su questo lato della Terra da ciò che è nella Terra di sotto, la Crona era quel confine; senza di lei non vi sarebbe stato più equilibrio e la Madre avrebbe potuto scegliere di riprendersi la vita di tutti il tempo di un respiro. La Madre aveva il suo misterioso procedere e tutti loro sapevano bene che solo gli occhi della Crona erano in grado di vedere in anticipo i suoi passi.

Quando venne il suo tempo la Crona fu messa sotto la pelle della Madre; fu scavato un giaciglio, simile a quelli che usavano per dormire e deposta lì, su uno spesso strato di foglie profumate, con accanto quelle che un tempo erano stati i suoi utensili di caccia; il volto completamente coperto da una pelle di cervo, suo animale affine; un rito necessario per evitare che gli occhi potessero vedere anche nella Terra di sotto e lì rimanervi incantata e non poter sentire più il richiamo; il corpo rivolto verso l’occhio di fuoco che sempre riappare al mattino avrebbe dato il suo sguardo veggente a qualche nuova cucciola del clan pronta a nascere.

Lei rimase due giorni e due notti accanto al giaciglio funebre. Incapace di allontanarsi dal corpo di ciò che era stata la Crona che non le avrebbe più insegnato nulla se non in sogno e solo se richiamata da potenti riti che pure le aveva svelato; il cuore gonfio di tristezza, ancora incredula del copricapo di conchiglie preziose che tintinnavano ora la sua testa. Una nuova Crona era nata.

Alessandra de Nardis, da “La fonte del drago”, 2020

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Nell’immagine: Cueva de las Manos (Caverna delle Mani), nella provincia argentina di Santa Cruz

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