Pensieri

L’arte di amare

07.02.2022

Ovidio secoli fa insegnava ai maschi
giovani romani, soldati, servi, padroni,
come conquistare le donne. Li esortava a essere tenaci, furtivi, avidi, rapaci di furbizia e di galanteria.
“Sono le piccole cose a conquistare le teste leggere delle donne” diceva.
Ora io voglio rovesciare le tue parole. Ovidio Nasone, poeta gentile e nemico.
La tua voce festosa io la faccio mia e dico:
se tra voi c’è qualcuna che non conosce l’arte dell’amore legga questi versi, sciolti nell’acqua dell’orgoglio,
e fatta esperta, imponga il suo furore.

Quella mano perversa e gentile che ti ha
lavato la faccia e il sedere, che ti ha imboccato
e pulito, carezzato e punito, quella mano è
la tua nemica più dura perché è una mano di donna che ti insegna le regole dell’uomo.
Buttiamo via le bende del pudore!
Gettiamo per una volta il dio del sacrificio
nell’immondizia e guardiamoci negli occhi impauriti e viziosi per troppa servitù, donne mie amate.

Donna che ti attacchi al suo torace fertile di maschio sapendo che ti vuole come vuole il pane, con serena languida passione, senza amore e tu sei dolce e lui aspro, tu sei molle e lui è duro, tu sei debole e lui è forte,
e quando ti dice con la sua voce fragile:
“io ti prendo, sei mia”, tu accetti naturalmente
quel suo possesso che è sociale e non naturale, ruzzolando in un fiato nella degradazione.

Ed ecco che ti svegli e sei già corrotta,
la convinzione del tuo destino servile ti
si è piantata in testa come un chiodo che
tiene fermi per sempre i tuoi pensieri, le tue certezze , i tuoi sensi, le tue voglie, le tue paure.
Quel chiodo ti ha fissato con un colpo splendente
nel buio ordinato e assennato del firmamento sociale.
Un chiodo infilato così bene e così a fondo
dentro le viscere del tuo cervello delicato
che dopo penserai di essere nata così.

Ma se tu, fin da principio accetti te
come persona intera, senza incrinazioni o ammacchi, se tu accetti di guardare con occhi franchi
il mondo, le voglie, i raggiri, l’eternità,
vedrai, ti cambierà la vita fra le mani,
e la tua testa camminerà da sola e ti sembrerà strano e bello e forse pauroso, ma la mortificazione
l’avrai pestata come la serpe di tutte le vergogne e i dolori ti sembreranno più veri, più radiosi.

Ed eccoti là, il giorno che hai deciso. Sei sposa, sei amata, sei acconciata a festa. Hai avuto il permesso ufficiale di rompere quel piccolo opaco
velo del tuo onore e oggi aprirai le gambe
al potere carnoso del tuo padrone legale.
Sei lì e tutto ti mortifica, ma la mortificazione
la scambi per malessere naturale.
Ti guardi intorno contenta perché questa è la tua parte da recitare oggi,
pura, festosa, solida, sorridente, consapevole
degli occhi ansiosi che ti immaginano a letto,
ritrosa e poi vogliosa, con sopra il tuo sposo
trionfante, ambiguo, accaldato, che ti “fa” donna.

E poi viene la notte e ti chiudi nella stanza,
ti sfili il vestito bianco, pesante, costoso.
Ti apparecchi, gentile e carnosa, a recitare adesso un’altra parte, quella di moglie
alla prima notte di matrimonio, timida, impacciata;
rassegnata, pudica, amorosa.
A te hanno insegnato, vergine bella, come a me, a lei, a tutte, non a parole chiare e precise,
ma con il linguaggio mutolo dei segni sociali, che il movimento è indice di partecipazione,
che l’ignoranza è indice di innocenza, che
l’immobilità è indice di accettazione.
Ma se tu, sposa mia, provassi a cambiare
il tuo cuore rovesciandolo sottosopra?

Tu credi di avere paura della natura, ma le paure sono solo sociali, credimi, tu non temi il dolore ma il giudizio altrui.
Non farti usare. Colui che prende, che fa, che decide, ha ragione poi
a dire: l’ho presa, l’ho posseduta, è mia!
Perché tu ti sei fatta prendere, possedere.
Mentre un corpo umano non si possiede mai.
Se tu saprai questo,
il tuo fare l’amore non sarà più una resa.
Tu darai come lui, parteciperai all’amore con tutta la furia,
il candore, l’egoismo, l’odio e l’orgoglio
necessari, distruggendo il vecchio ammuffito pudore.

Il pudore sociale che tu credi naturale
vuole che tu sia ritrosa, ambigua, dolce.
Sii tu a baciarlo, a spogliarlo,
a carezzarlo, senza per questo rifiutare le sue
carezze e i suoi baci, ma che sia chiaro chiarissimo
lampante che siete in due a fare l’amore, non uno solo sopra l’altro, contro l’altro, a danno dell’altro.
Rifiuta il gioco del corri e scappa che può divertire ma alla fine ti porterà alla trappola.
La civetteria è un’arma così povera e infelice
che poi quando sei incastrata contro un muro non ti rimane che sorridere e acconsentire.
Ma non c’è niente da nascondere, lo vuoi capire.
Devi prenderti il tuo piacere da lui come
lui lo prende da te, senza infingimenti,
con pari entusiasmo e passione. Fagli la corte, inseguilo, parlagli apertamente. Decidi tu quando vuoi fare l’amore, non lasciarlo mai
pregare e supplicare, perchè poi quando deciderai
non sarà più una decisione ma un cedimento
e subito lui urlerà di essere il tuo padrone
e avrà ragione perchè sarai vinta e
non vincitrice, avrai accettato la regola
del cacciatore che corre appresso alla preda.

Sono passati secoli e secoli di ardimenti,
di guerre, di rivoluzioni e di trasformazioni.
Ma le sue parole (Ovidio) sprezzanti e dolciastre sulle donne sono rimaste vive.
La donna, amici e compagni, è stata tenuta fuori dalla storia, con mani e piedi di latte.

Provate a essere donna voi, per un giorno solo,
provate la leggerezza, l’oltraggio, la denigrazione
che si sono fatte carne nella carne e
nessuno ci bada più per niente affatto.
Provate a cercare un posto, un lavoro
che non sia di asina da soma, che non sia l’esposizione
e la vendita di una pelle levigata che aggrinzisce
al primo autunno.
Provate voi a cucinare, cucire, lavare, stirare,
scopare, pulire, strigliare. E dopo mi direte cosa rimane del vostro bel fiato d’uomo forzuto.
Provate sempre a dire sì, ad aspettare
l’imbeccata, a chinare la testa, a ringraziare
di cuore.
Provate a stare sotto, nell’amore, come coniglie squartate, le gambe aperte, il cuore chiuso, aspettando che lui prenda il suo piacere come un’ape indaffarata e poi voli via, carico di miele e di superbia, convinto
di avere lasciato sul corpo femmina di lei
il marchio della sua virilità infuocata.
Provate, provate, provate, e poi saprete cosa significa disprezzare se stesse senza saperlo,
amare la propria prigionia senza capirlo,
perdere l’orgoglio.
Perciò compagni ombrosi, sappiatelo, non basta
diventare una classe sola, abolire la proprietà privata.
Finirà lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, ma non quello triviale e grandioso, istintivo e antico dell’uomo sulla donna.

La donna può liberarsi solo da sè, con la sua testa e le sue mani, imparando a conoscere la sua diversità, tanto ti hanno insegnato che
il corpo della donna non vale una cicca spenta, che lo vendi o lo regali fa lo stesso.
Ma quella che subisci è una commedia, la commedia
dell’inganno. Tu inganni te stessa pensando
di farti oggetto e ti metti in vendita con
un cartello al collo, soavemente, con fiocchi e ghirlande e collane d’ambra, in una parodia d’amore che ti fa iridescente e stregata.

Tu credi di essere una donna e invece sei un vaso, un sacco, una vagina vestita di nero, piena di rispetto
e di mistero. Tu sei il recipiente dell’uomo e in nome del tuo contenuto ti si chiede fedeltà, rinuncia, sacrificio, amore eterno.

Ti si dirà che sei noiosa e vecchia e stupida ed egoista e vanitosa e inumana.
E tu, per gentilezza d’animo e candida bontà, per un equivoco senso del dovere e per amore, piegherai la testa e ti acconcerai a rimanere quella cosa graziosa e tenera che è
una madre serva che gira per la casa come un fantasma
indaffarato, silenzioso, ardente.
E lo ringrazi per la sua oppressione, perchè
sei convinta che sei nata per servire, per riverire, per faticare
chinando la testa arresa al grande favore che ti fanno lasciandoti vivere, sfruttandoti teneramente, senza parere.

E’ facile amare chi rinuncia alla sua vita
eppure neanche questo basta. Una donna vecchia sa quanto poco conta e quanto disgusto ispira agli altri. La sua vecchiaia non fa pensare alla ricchezza,
alla saggezza, agli onori, all’esperienza,
la sua vecchiaia fa pensare solo alle rughe…
Una donna vecchia è una nullità, vale meno di un soldo bucato, è solo un corpo avvizzito.
La si butta in un angolo e buonanotte.

Se penserete che la vecchiaia non è una colpa di cui vergognarsi, se penserete che quello
che fa viva una donna non è soltanto la freschezza
della pelle e di un paio di labbra tornite,
Se saprete questo non sarete più vecchie e inutili ma forti e utili.

Ma tutto questo non sarà finchè la donna
non scoprirà che è diventata diversa
dall’uomo per ragioni storiche e non naturali.
Una storia mimetica da colonizzate ci
ha fatto come siamo, deformi, candide,
accanite, incerte, passive.
E’ da questa storia che dobbiamo tirare fuori i nastri che ora sono lacci che ci legano le mani e domani saranno bandiere sbattute al sole.
Donne mie amate predilette e disgraziate,
vi siete identificate con l’uomo per sfiducia
in voi stesse, avete seguito il modello maschile del forte virile sicuro e con questo avete tradito le vostre compagne,
le donne di tutti i tempi perchè voi pensate che
la donna è fatta di fango e avete coperto
questo fango con uno strato di porcellana lucente.

Ma ora basta, spacchiamo questa copertura dura,
che ci tiene segrete e fatate.
Usiamo quel fango per costruire nuove donne
meno belle forse e levigate, ma più salate
del sale dell’orgoglio e dell’amore.

Dacia Maraini, da “L’arte di amare”, 1974

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Foto di Sonia Simbolo

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