Venzone, provincia di Udine. Uno dei borghi più belli e pittoreschi d’Italia. Ma anche custode di un mistero…
Questa storia comincia nel lontano 1647: sono in corso i lavori di ampliamento del Duomo e gli operai cercano di spostare un pesante sarcofago trecentesco, forse appartenuto alla famiglia degli Scaligeri, quando improvvisamente si trovano di fronte ad una mummia perfettamente conservata. Viene battezzata “il gobbo“, anche se quella che sulle prime appare come una malformazione, risulterà, in seguito ad un’analisi più accurata, la conseguenza di una sepoltura scorretta che ha compresso il corpo per riuscire a farlo entrare in un sepolcro troppo piccolo.
Col tempo “il gobbo” si sarebbe trovato…in allegra compagnia, perché tra il 1825 ed il 1891 saranno estratte altre 41 mummie, la cui fama oltrepasserà ben presto i confini del piccolo borgo.
“Vox populi” narra, infatti, che i soldati francesi sarebbero rimasti così impressionati dallo spettacolo di virilità offerto da alcune delle mummie, che ne avrebbero strappati dei lembi di pelle confidando nelle loro capacità afrodisiache.
Quel che è certo è che lo stesso Napoleone visitò la cripta nel 1807, incuriosito dallo strano fenomeno di cui tanto si parlava…
Le mummie appartengono tutte ad un periodo compreso tra il 1348 e il 1881, ma solo pochissime sono state identificate. La più antica è proprio quella del Gobbo, morto probabilmente in un’età compresa tra i 45 ed i 60 anni e sepolto verosimilmente poco anni dopo il 1338, data, questa, in cui avvenne la consacrazione del Duomo da parte del patriarca Bertrando di Aquileia.
Quel poco che rimane degli abiti che indossava, tutti confezionati in velluto pregiato, attesta una persona di rango, forse proprio appartenente alla famiglia degli Scaligeri. D’altronde, in tempi passati, era consuetudine inumare nelle chiese i nobili o i notabili cittadini, mentre le persone umili venivano sepolte, senza troppe cerimonie, nel vicino cimitero.
Nel 1845, questa e le altre mummie furono spostate nella Cappella di S. Michele, finché, nel ’76, il terremoto del Friuli ne distrusse una buona parte, per cui oggi ne sono rimaste solo 15.
Quali siano state le cause del processo di mummificazione, è tutt’oggi un mistero che perdura dai primi del ‘900, quando la rivista “Cosmos” pubblicò sull’argomento un articolo di F. Savorgnan de Brazza , articolo che fu ripreso, nel 1906, dalla rivista statunitense “The Literary Digest”. L’ipotesi formulata dallo studioso era che il processo di mummificazione, precedentemente attribuito alla combinazione tra elementi diversi (come temperatura e grado di umidità adeguati) e la natura del terreno, ricco di calcio, solfato di calcio e di calce carbonata, fosse da imputarsi all’azione di un fungo, l'”Hipha tombicina”, che provoca la disidratazione dei corpi assorbendo i liquidi secreti dal processo di decomposizione e indispensabili al suo sviluppo.
Di diverso parere è il prof. Aufderheide, dell’Università del Minnesota, tanto più che lo studioso pare non avesse reperito alcuna traccia del fungo in questione. A suo avviso, quindi, il processo di mummificazione andrebbe attribuito al fatto che i corpi siano stati tumulati in una tomba il cui basamento conteneva calcare naturale, il che avrebbe creato le condizioni più favorevole al verificarsi del fenomeno.
Si apriva, nel frattempo, un altro capitolo della storia: questa volta ci trasferiamo nel 1950, quando il giornalista Jack Birns, a caccia di qualcosa in grado di catturare l’attenzione del pubblico, scopre per caso le mummie di Venzone. Così piomba in paese con tutto il suo staff e convince gli abitanti a sfilare per le strade in compagnia delle mummie, pubblicando poi il macabro servizio sulla rivista “Life”.
Fortunatamente oggi le mummie, considerate di grandissimo valore antropologico, vengono preservate dagli insulti del tempo e soprattutto da quelli degli uomini, al riparo del “Museo del lutto”.
Maddalena Vaiani