Non so se avete mai sentito pronunciare la parola Prossemica. In lei ero inciampato molti anni fa, lavorando sui linguaggi del corpo in ambito teatrale. Ed era rimasta lì, intrappolata in qualche meandro dell’archivio, forse aspettando giorni come questi per tornare in superficie.
Prossemica viene dall’inglese Prox(imity), «Prossimità». E’ stata coniata dall’antropologo Edward T. Hall nel ‘63, ed è una sorta di termometro dei rapporti umani dal punto di vista della distanza fisica che stabiliamo con gli altri nelle diverse situazioni.
La nostra capacità di comunicare e – quando siamo fortunati – di capirci, è ciò che ha permesso alla nostra specie di sopravvivere, nel lungo tratto dell’evoluzione. Ci siamo illusi, per secoli, che la chiave fosse il lessico. Quello imparato a scuola – a seconda della parte del mondo in cui siamo nati – dimenticando spesso che abbiamo un corredo infinito di codici corporali – emozionali – di trasmissione dei messaggi. Se lo ricordano bene di solito i bambini, stabilendo stupefacenti legami comunicativi con i loro simili, con gli animali, o con noi stessi, se solo fossimo in grado di ascoltarli. Semplicemente “comunicando” (mettendo in-comune) con ogni lembo di corpo, mani, suoni, sapori… fino a quando la scuola non li trasforma in modelli seriali, a nostra immagine e somiglianza, imponendo loro dei limiti che saranno da lì in poi quelli di intere congregazioni di individui, nati una volta liberi.
Tornando a Mister Hall.
Nei suoi studi aveva osservato che la distanza relazionale tra le persone è correlata con la distanza fisica. E ha definito e calcolato quattro “zone”, cosiddette interpersonali:
– Distanza intima: Cioè quella stabilita tra due che vorrebbero che la distanza non ci fosse: 0-45 cm.
– Distanza personale: quella di una rapporto amichevole: 45–1.00 m.
– Distanza sociale: stabilita tra conoscenti, senza alcuna intenzioni di maggiore intimità – Rapporto insegnante – allievo. Datore di lavoro – impiegato: 1,2-3,5 metri.
– Distanza pubblica – Quella in cui è necessario alzare la voce, o gesticolare di più. Atti pubblici, “politici”, conferenze…: oltre i 3,5 metri
Non so a quale distanza comunicheremo nel mondo che verrà. Oggi ci illudiamo di poter farlo in modo “planetario”, anche attraverso mezzi come questo, su cui scrivo a delle persone che no vedo, che non percepiscono di me altro che quello che la mia mente mi sta permettendo di rendere evidente. Ci manca quello spazio che creavamo, soltanto un mese fa. Le distanze che potevamo accorciare, semplicemente allungando una mano, facendo scivolare uno sguardo, spalancando le porte di casa all’altro, quelle più intime, abbandonandoci a un abbraccio. Dovremo rimparare a rapportarci, nel gelo di un mondo dove il minimo contatto fisico porterà i segni di un’arida stagione appena vissuta, quella che oggi ci sta lasciando dei segni sulla pelle.
Una paura che toccherà a noi debellare, che potrebbe diventare il virus da combattere nella vita, nel mondo che verrà.
Milton Fernàndez – Fonte: https://miltonfernandez.wordpress.com/