“Qui non c’è straniero
siamo fratelli, tutti
venuti a celebrare la pura acqua”
Mohammed Bennis, “Canto per il giardino dell’acqua”
“La mia appartenenza al Mediterraneo è appartenenza al viaggio.”
“L’idea poetica, per me, non si ferma alle frontiere. Ogni poesia mediterranea è mia. Ogni poesia che annuncia il viaggio, che dà ospitalità, che semina generosità. In ogni angolo del mondo. E lì che comincia il Mediterraneo. Non un luogo recintato da principi geografici o da un’idea che rinnega l’Altro che viene da Sud, da Oriente o da Occidente”. “Spazio libero e ospitalità come pratica quotidiana: è stata questa lezione che mi ha permesso di comprendere la poesia. La poesia non ammette frontiere chiuse e non obbedisce alla logica degli interessi. Ogni volta che mi trovo nella poesia sento il Mediterraneo divenire la mia casa aperta, senza soffitto né muri né porte. Aperta su uno spazio infinito”.
“Il Mediterraneo non è un luogo recintato da principi geografici o da un’idea che rinnega l’Altro, piuttosto un’idea aperta, dimora poetica in una realtà globalizzata che dimentica le lingue e la poesia”.
“La storia della cultura mediterranea non solo prevede lo scambio, ma gli assegna una funzione di “creazione”. E in questo scambio creativo colgo ciò che perpetua l’essenza del Mediterraneo in quanto dimora comune, a prescindere dall’immaginario generalizzato. Storia latente. Sepolta sotto i fasti di un discorso che enfatizza l’elemento di separazione a discapito del sentimento di condivisione. È questa storia della cultura che oggi ci chiama a valorizzare ciò che dovrebbe restare la nostra dimora comune, in un tempo in cui l’atteggiamento di chiusura è dominante e rischia di restare la sola scelta, come lasciano presagire i fanatici di ogni fazione. Ogni volta che lo spirito poetico sembra compromesso, le lettere, le arti, le dottrine filosofiche, mistiche e scientifiche mi conducono verso un Mediterraneo di ospitalità.”
Mohammed Bennis, da “Il Mediterraneo e la parola.
Erranza
Ogni volta
che fraternizza con una steppa
la sua clemenza giunge copiosa
è chiamato a una soglia di luce
da una schiera di steppe
Ogni volta
che nel blu fissa
il suo fiore
nell’intangibile germogliano
altri fiori
Lui
ondeggia incantato
dalla luce che scende
su voci
che occultano altre voci
che non hanno radici
in
una gola
che si disseta al sogno di un soffio
A volte
celebra l’ignoto
altre volte
non
torna
Mohammed Bennis, da “Il dono del vuoto”
Testamento
Ciò che rimane
del canto di coloro che arrivano sono frammenti
nei balbettii di quelli che partono
prendete
dai nomi
la cancellazione del cielo di ogni legge
passata
dagli anelli delle mie porte
qui un tatuaggio
là una danza
che ha svelato
le mie peregrinazioni
prendete un volto disperso
nel suo deserto
prendetelo
perché celebri il silenzio
la sua risata gioiosa
il breve
schiamazzo
aizzato dal severo
passaggio
dell’origine della lontana aurora
Mohammed Bennis, da “Il dono del vuoto”
Desiderio
Se avessi ora ciò che non è mio
una lingua
per scoprire l’aria
un passo
che avanza nella sua propria voce
e ritorna a me
carico
della discesa del cielo
una direzione
attendo in piena quiete il momento
dell’accendersi della pulsazione
tra
un crollo di cupole
e un principio che i poeti ereditano
Se avessi
ora ciò che non
ho
finirei davanti ad un baluardo
che è mio
fatto della polvere della sera
Mohammed Bennis: “Il dono del vuoto”
“Io, Ibn Hazm,
nella tua amicizia e nel tuo amore
t’ho accompagnato
ma un altro cammina con noi
non ho temuto che la solitudine partecipe
sia il mio ultimo rifugio
essa m’offre lume e gazzella
in questo tempo di violenza
non mio.”
Mohammed Bennis, da “Libro dell’amore”
“Il mio cielo
e sotto i cieli che inveiscono:
Cielo di spada
cielo di t’offro secondo il tuo desio
cielo di dire
cielo di chi non ha cielo
cielo di quiete
cielo d’ecco per loro
il mio cielo
cielo del legame. ”
Mohammed Bennis, da “Poesie brevi”
(Mohammed Bennis, nato a Fès nel 1948, è poeta, editore, docente di lingua araba all’Università di Rabat, presidente della Casa della poesia a Casablanca, dove cura incontri e convegni internazionali di poesia. In risposta a un suo appello l’Unesco ha proclamato il 21 marzo «Giornata mondiale della Poesia»)
“Questa è la parola che fa durare la parola, umana, lingua dell’infinito e dell’ignoto. Che significa interazione del soffio tra il poeta e gli altri nel e con il mondo” (Mohammed Bennis)
La caduta del mare
Luce
su luce
scenderanno le uve
dagli antichi germogli
in una danza che si estende all’estremo sud del mare
accompagnata da un soffio anticipatore di morti.
Qui
nulla
ruba la sua traccia solare
il declivio di polvere
si nasconde di roccia
in roccia
in acqua
e questo orizzonte intento nel rito del silenzio
o dei primi uccelli luminosi.
In direzione del mare la traccia dei piedi segna l’oblio
forse solo la luce ricorda
chi venne un giorno
guidato dai tatuaggi
per liberare le onde dall’esilio delle tempeste
forse la luce cancellerà il resto
e la mia via sarà questo mare
dimenticherò
che ho preparato il latte con i datteri
per la tribù degli antenati
ho preparato l’hennè
e le tombe ho cosparso di incenso
dimenticherò
che per la grazia dei palpiti veglio
un luogo limitato da traversate di luce
e dormo
delle arterie
lieto
davanti ai loro mari.
Attizza i profumi, oh polvere
e tu l’illuminato nelle mie cellule
risvegliati palma
cinta dai quattro punti cardinali
dalla catarsi
tutto questo oceano fiorisce nei miei istanti
pioggia che irradia sino all’eccelso
panna che spande in parti eguali i tremiti di ieri
queste gemme si ammantano
dei raggi dell’arcobaleno
e la macchia sommersa minaccia il mio corpo
A quale giaciglio ho abbandonato il mio respiro
elargirò alle quiete il tremito degli occhi
e alle mani
lascerò la quiete
della luce
un paesaggio verso l’essenza della scrittura
l’onda dell’Atlantico
trabocca
oscura
sul mio corpo. (
Dâr Tûbqâl, “Il luogo pagano”, Casablanca, 1992
Dubbi
Per questi dubbi
che ci illuminano
Per questi esili
che tra loro
si intrecciano
Noi riveliamo il colore
della traccia
e le seminiamo
pellicani
la seminiamo
onde
o pietra.
Dâr Tûbqâl, da “Habat al-farağ” ((“La ventata del vuoto”), Casablanca, 1992
Campane
Campane suonano nella stanza del mio silenzio
una schiera di soli
erranti
come me
campi
accerchiano i teatri
del senso della vita e dell’esistenza.
Erano palme quelle campane
specchi lustrati da un bimbo
nella sua quiete
nei pressi
dell’onda.
Preparati, bambino,
semina la prima ombra gravida dei carri dell’erranza
fiamma fissata nelle forme del silenzio.
Bianco orizzonte è questa notte
un paese crea la mia foresta
si eleva.
Né l’Oriente mendica
né l’Occidente è volto di macchine o tirannide reale
ed io accolgo il dettato delle palme
le campane
alla porta del mio tempo
diventano
conversione del soffio
A volte mi vedo: navi
venti
della sete primigenia
mi insinuo tra le mie membra
uno spettro di luce
mi copre di un abito di polvere
Nelle tenebre della terra
le campane si mischiano
a una spiga di sofferenza?
Nelle campane le foglie del mondo sono trasparenti.
Dâr Tûbqâl, da “Habat al-farağ” (“La ventata del vuoto”), Casablanca, 1992
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Foto di Sonia Simbolo